Sfogliando Gesù Cristo
San Francesco d’Assisi è stato da subito riconosciuto come «somigliantissimo a Cristo», capace lui, simplex et idiota, di lasciar trasparire dietro il suo volto e il suo agire, l’umanità di Gesù. Ma da dove nasceva questa somiglianza spirituale, questo diminuire perché Cristo crescesse nei cuori di chi lo incontrava? Dalla familiarità di Francesco con la Scrittura, e in particolare con il Vangelo, dal suo frequentare assiduamente e tenere in altissima considerazione i testi biblici: una venerazione che porta Francesco ad annotare nel Testamento che, se trovate «in luoghi indecenti», esse devono essere «raccolte e collocate in luogo decoroso» (FF 114). Tale è la santità delle Scritture che anche coloro che le spiegano devono essere onorati «come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita» (FF 115).
All’interno delle Scritture Francesco privilegia il riferimento al Nuovo Testamento e in particolare ai vangeli. Anzi, al Vangelo, che egli nomina rigorosamente sempre e solo al singolare. Perché nei differenti vangeli è sempre lo stesso Cristo che parla. E che parla oggi, qui e ora. Frequente è l’espressione sicut dicit Dominus seguita da una citazione evangelica (FF 13; 33), oppure dicit Dominus in evangeli (FF 8; 19; 44) o, semplicemente, dicit Dominus (FF 42; 56). Francesco non usa il verbo al passato, perché nel Vangelo il Signore parla attualmente, parla a Francesco e ai suoi frati nel loro oggi. Le indicazioni per la missione rivolte un tempo da Gesù ai discepoli, per Francesco sono parole che riguardano i frati che partono per la missione «tra i saraceni»: «Dice il Signore: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10,16)» (FF 42). Nel Vangelo parla Cristo: il testo biblico, e particolarmente il Vangelo, è presenza di Cristo.
Emerge una concezione sacramentale della Scrittura per cui si deve «onorare nelle sue parole il Signore che le ha pronunciate» (FF 225). L’approccio di Francesco alla Scrittura non è intellettuale, non è mosso da interesse storico, ma coinvolto, partecipe, vitale, teso a dare forma all’esistenza cristiana. Tanto che possiamo vedere l’intera sua vita di radicalità cristiana come esegesi del Vangelo, anzi, la possiamo inquadrare tra la lettura iniziale dei Sinottici e la lettura finale del IV vangelo, quasi a indicare un percorso e un’evoluzione spirituale che porta Francesco a privilegiare il vangelo giovanneo. Tommaso da Celano narra l’episodio in cui Francesco, dopo aver ascoltato durante la Messa la lettura del brano evangelico presente nei Sinottici relativo al mandato della predicazione e all’invio dei discepoli in radicale povertà, ha chiesto spiegazioni del passo al sacerdote e quindi ha esclamato: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore» (FF 356). Il testo è interessante anche per la sua dimensione simbolica: la parola di Dio è consegnata a Francesco dalla Chiesa, in una tradizione che nella liturgia trova il suo strumento privilegiato, e certamente la liturgia è stata il tramite fondamentale della conoscenza della Scrittura per Francesco.
Un’altra tradizione narra dell’ingresso di Francesco, insieme a Bernardo, suo primo seguace, nella chiesa di san Nicolò, dove aprì per tre volte il libro dei vangeli trovando successivamente le tre espressioni: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri» (Mt 19,21); «Non portate niente durante il viaggio» (Lc 9,3); «Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). La reazione di Francesco mostra che egli accolse quelle parole evangeliche come parole viventi e vivificanti rivolte a lui e a Bernardo, parole da obbedire e mettere in pratica subito: «Questa è la vita e la regola nostra e di tutti quelli che vorranno unirsi alla nostra compagnia» (FF 1054). I testi evangelici per Francesco sono consigli da seguire, comandi da obbedire, parole con cui entrare in dialogo. E rappresentano per lui la rivelazione della volontà del Signore. In riferimento a questa triplice apertura del vangelo, Francesco dice nel suo Testamento: «Dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo vangelo» (FF 116). La «rivelazione» non si riferisce ad alcun fenomeno mistico, ma all’ascolto delle parole evangeliche che segneranno la forma di radicalità cristiana a cui Francesco darà vita.
Ora, se all’inizio della sua vicenda spirituale è attestata l’importanza dei vangeli Sinottici, alla fine della sua vita è il IV vangelo che fornisce a Francesco le espressioni più consone al suo sentire spirituale. In prossimità della sua morte, «mentre i frati versavano amarissime lacrime..., si fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a ciascuno. Volle anche il libro dei vangeli e chiese che gli leggessero il vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: “Prima della festa di Pasqua...” (Gv 13,1)» (FF 808). La pagina di Giovanni 13 contiene quella lavanda dei piedi che è il corrispettivo giovanneo dell’istituzione eucaristica dei Sinottici ed è il programma della vita fraterna dei seguaci di Francesco: «Nessuno sia chiamato priore, ma tutti allo stesso modo siano chiamati frati minori. E l’uno lavi i piedi dell’altro» (FF 23). Il passo della Vita seconda sopra citato indica anche la profonda unità spirituale che Francesco ha sempre sentito e vissuto tra parola di Dio ed eucaristia. Nella Prima lettera ai custodi egli afferma che la Scrittura santa dev’essere venerata come il corpo di Cristo: si veneri «sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo» (FF 241). Questa venerazione è rivolta alla presenza del Signore che si manifesta nella parola stessa del Vangelo. Così in Francesco non troviamo esempi di esegesi allegorica o tipologica diffusa all’epoca, ma una loro lettura immediata e pratica. Emerge un criterio di interpretazione caro a Francesco: la Scrittura la si comprende vivendola. La vita è il luogo fondamentale per comprendere la Scrittura. Altro criterio è l’unità della Scrittura: l’Antico e il Nuovo Testamento formano un unico corpo, spesso Francesco unisce una citazione dell’Antico a una del Nuovo Testamento per mostrare l’unità dei Testamenti e il compimento dell’Antico nel Nuovo.
Altro criterio è quello cristologico. Nella sua Lettera ai fedeli Francesco dice: «Mi sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e messaggio, le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è la Parola del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita» (FF 180). Cristo è il Verbum di Dio in cui si condensa tutta la rivelazione, è colui che si è «abbreviato» con l’incarnazione nel corpo di Maria, è colui che abbrevia anche, cioè rende essenziali le parole e i comandi biblici nel comando dell’amore. Tutto questo è noto a Francesco, ma il tema del Verbum abbreviatum, su cui tanto hanno riflettuto esegeti e teologi medievali, viene da lui inteso con estrema semplicità come indicazione di brevità ed essenzialità di parola da parte dei frati, analogamente al Signore che fece brevi discorsi: egli chiede loro che predichino «con brevità di discorso, poiché brevi discorsi fece il Signore sulla terra» (FF 99).
La semplicità dell’uso della Scrittura nasconde in realtà una profonda intelligenza spirituale e una grande libertà che porta Francesco a legare insieme passi biblici memorizzati, ad accostarli come in un mosaico o a tesserli insieme come in un tappeto. Prendere il Vangelo «alla lettera» per Francesco significa far parlare direttamente la Scrittura, nella coscienza che le frasi bibliche rivelano il Signore che parla. L’Ammonizione VII è un chiaro esempio di questo approccio, applicato al versetto di san Paolo: «La lettera uccide, lo Spirito, invece, dà la vita» (2Cor 3,6). La lettera è l’orgoglio della conoscenza e del sapere, mentre lo Spirito porta l’uomo a non attribuire a se stesso il sapere, ma a riferirlo a Dio da cui proviene ogni bene.
Un passo della Vita seconda di Tommaso da Celano esprime bene il rapporto di Francesco con le Scritture. Vedendolo malato e sofferente, un suo compagno lo esortò a trovare conforto nelle Scritture, come tante altre volte aveva fatto. Francesco gli rispose: «È bene leggere le testimonianze della Scrittura, ed è bene cercare in esse il Signore nostro Dio. Ma, per quanto mi riguarda, mi sono già preso tanto dalle Scritture, da essere più che sufficiente alla mia meditazione e riflessione. Non ho bisogno di più, figlio: conosco Cristo povero e crocifisso» (FF 692). La conoscenza delle Scritture conduce alla conoscenza partecipe, nel proprio corpo, di Cristo e questi crocifisso.
* Priore di Bose