Manovre spirituali
Tempo di grandi manovre «spirituali» nella nostra Chiesa e nella nostra società! Perché mai come ora i problemi attanagliano ugualmente credenti e no. E mai come ora forse finalmente abbandoneremo i toni da guerra ideologica, fatta di slogan più o meno a effetto, per costruire pazientemente «alleanze educative». Anche riscoprendo che come credenti siamo, e con una consapevolezza persino maggiore, cittadini di questo mondo, né più né meno che tutti gli altri. E che per il bene di questo mondo abbiamo anche noi un contributo da offrire.
La lista del contendere è lunga, ma proviamo ad abbozzarla per sommi capi.
La salvaguardia del creato, prima che sia troppo tardi, che non solo chiama in causa gli agenti inquinanti o i problemi atmosferici, quasi dipendessero da oscure forze a noi ignote, ma rimette in discussione i nostri stessi stili di vita e la nostra ingordigia consumistica, come ben evidenzia papa Francesco nell’enciclica Laudato si’.
L’accoglienza e il sostegno a milioni di migranti, già fuggiti dai propri Paesi o in procinto di lasciarli. Lo facciano per la guerra o per la loro stessa sopravvivenza e dignità ben poco importa, in quella che ormai è chiaro a tutti non essere più un’emergenza, ma una realtà di fatto. Che interroga l’identità non solo di ognuno di noi, ma anche delle nostre realtà ecclesiali e degli stessi Paesi democratici dell’Europa.
Il riconoscimento delle coppie di fatto, anche per chi è in vario modo fuori la definizione classica di unione tra un uomo e una donna. Che, ribaditi i valori, è riconoscimento civile di diritti e doveri, ma anche evangelico in quanto tutela delle persone più deboli e non giudizio di condanna sulle scelte di chi non la pensa come noi.
La vita di fede di divorziati e risposati, un problema che esce dal confessionale e a monte comporta la serietà e l’efficacia di una presa in carico pastorale di fidanzati, coppie, genitori e famiglia tutta, comunque essa sia, che ancora si stenta a vedere nelle nostre parrocchie e nei nostri progetti ecclesiali. Ma anche le politiche per la famiglia latitano ancora, eh!
Il «genere», che prima di essere chissà che perversione, è scommessa sulle «differenze di genere», sul nostro essere uomini e donne, biologicamente tali ma anche con i condizionamenti, non tutti positivi, dell’educazione e della cultura. Sulla bellezza di essere diversi ma complementari, necessari gli uni alle altre, e viceversa, per la pienezza di ciò che si è (e, forse, la nostra Chiesa ha ancora qualcosa da maturare su questo, come il Papa spesso ci ricorda). Differenza che è fatta, infatti, per «portare frutto», come sanno bene i nostri papà e le nostre mamme. Ma è anche imparare a rispettare affettuosamente tutti gli altri e le altre.
Davvero un bel guazzabuglio! In cui faccio personalmente un po’ fatica a orientarmi, e lascio a chi di dovere, dall’una e dall’altra parte, gli approfondimenti del caso. Una cosa è però chiara nella mia mente. Che Gesù accoglieva le persone incondizionatamente, prima delle norme. E ciò non significa che non dobbiamo credere a ciò che dobbiamo credere, ma che ogni persona che abbiamo davanti è unica: la cui storia e vicende ci sono fondamentalmente sconosciute.
La vera scommessa del cristiano non è tra fede e ateismo, ma tra fede e idolatria. Non è quando crediamo di meno o facciamo concessioni alle nostre verità, ma quando sbagliamo il bersaglio del nostro assenso di fede. E «gli idoli di oggi non sono le mutande o le calze della ragazza, ma le mutande o le calze al posto della ragazza» (Silvano Petrosino). O, come diceva Gustav Mahler, «la tradizione è la salvaguardia del fuoco, non l’adorazione delle ceneri».