Lettere al direttore
A 15 anni in vacanza da sola?
«Quest’anno mia figlia di 15 anni non vuole venire in vacanza con noi. Dice che si annoia, che noi non capiamo le sue esigenze e che le sue amiche già vanno in campeggio da sole. Lei è l’unica mosca bianca, martirizzata da genitori che vivono fuori dal tempo e che per giunta non si fidano di lei. Ogni volta che posso cerco di accontentarla: la festa con le amiche, l’uscita in piazza, il ritrovo a casa di compagni, il soggiorno all’estero per l’inglese. Resto sconcertata da alcuni genitori che mandano le figlie di questa età in discoteca fino a notte fonda, magari accompagnate a casa da ragazzini freschi di patente. Alcune hanno in effetti una libertà di movimento che io reputo davvero eccessiva per l’età e ciò rende i miei “no” sempre più difficili. E ora anche le vacanze! Per quanto io e mio marito cerchiamo di scegliere luoghi che hanno caratteristiche interessanti per nostra figlia e ci siamo adattati, nostro malgrado, ai villaggi vacanze con animazione per teenager, nulla pare abbastanza. Agosto si avvicina e già cominciano i musi lunghi. Inutile dirle che come genitori siamo pieni di dubbi, tuttavia a noi sembra ancora giusto fare quello che stiamo facendo. Anche se non le nascondo che un po’ mi sento in colpa. Lei cosa ne pensa?».
Lucia64
La difficoltà più grande dei genitori credo stia proprio nella ricerca dell’equilibrio – sempre precario e costantemente da rinegoziare – tra distacco e cura nei confronti dei propri figli. Una difficoltà aggravata dal fatto che oggi i ragazzi tendono a bruciare le tappe, complici i molti stimoli a loro disposizione. Questo equilibrio non è uguale per tutti ed è per questo che non si possono dare ricette. Si può, però, provare a fare qualche riflessione insieme.
Il conflitto in molti casi non è evitabile, tuttavia diventa una palestra che fa crescere se si riesce a creare una base di dialogo, un terreno comune sul quale genitori e figli possano incontrarsi e, se serve, scontrarsi. Per far ciò è indispensabile accettare «le regole del gioco». La prima: sforzarsi di comprendere le ragioni dell’altro; è normale che un adolescente chieda di stare con gli amici e tenda a distaccarsi dalla famiglia in cerca della propria autonomia. Ma è altrettanto normale che un genitore si preoccupi di capire se i tempi e i modi siano adeguati al livello di maturità del proprio figlio. La seconda: accettare il fatto che crescere o far crescere qualcuno, se da un lato è una bella sfida dall’altro è un percorso faticoso e altalenante, che richiede progressive prove di responsabilità, disponibilità a venirsi incontro, spazi e tempi lunghi. Un percorso non facile in un’epoca in cui impera il tutto e subito.
Il non tener presente queste «regole d’ingaggio» può generare due opposte derive: ci sono genitori che permettono tutto perché non riescono a sostenere il conflitto, e ci sono genitori che permettono poco perché non riescono a sostenere l’ansia da distacco. In entrambi gli atteggiamenti c’è in realtà un disimpegno, una non disponibilità al confronto reale che, a mio avviso, blocca il processo di maturazione: se un figlio può tutto fin da piccolo, chi gli insegnerà dove sta il limite, cioè la cornice entro la quale sviluppare la capacità di orientarsi nella vita, il senso di libertà e conquista, e il rispetto dell’altro? Se, al contrario, al figlio si concede troppo poco, come può autodeterminarsi, credere in se stesso ed evitare di crescere nella paura del mondo e degli altri?
Alla luce di quanto detto, il conflitto tra voi e vostra figlia è del tutto normale. E fisiologica mi pare anche la vostra risposta: non avete chiuso porte; considerate l’esperienza prematura per lei, ma cercate di andarle incontro negoziando spazi di libertà. L’unica cosa che mi sentirei di consigliarle è di non dare per scontato il percorso che state facendo insieme, di creare quel famoso spazio di dialogo di cui parlavo prima. Spiegatele, per esempio, perché pensate che questa esperienza sia precoce per lei. Ciò che invece non condivido è il suo senso di colpa. Quale genitore non vorrebbe accontentare il proprio pargolo! Ma io sono convinto che sua figlia, anche se ora è arrabbiata, in fondo capisca che dire di «no» per un genitore è spesso più difficile che dire di «sì», richiede un supplemento d’amore: il coraggio di accettare il rifiuto della persona più importante, in vista di un bene più grande per lei.
SANT’ANTONIO INCONTRA I GIOVANI SPOSI
I frati della Provincia italiana di sant’Antonio di Padova lanciano un’iniziativa dedicata alle famiglie nate negli ultimi dieci anni. Si tratta di una due giorni non residenziale, a Padova, dall’eloquente titolo «S. Antonio incontra i giovani sposi». Vitto e alloggio a carico dei partecipanti. Per le iscrizioni, aperte fino a esaurimento posti, è a disposizione il numero di telefono 049 8757052 (dal lunedì al venerdì, 9.00-12.00 e 15.00-18.00) e l’e-mail curia@ppfmc.it.
Programma:
SABATO 26 SETTEMBRE
- ore 15.00 accoglienza dei partecipanti al Centro parrocchiale S. Antonio dell’Arcella;
- ore 16.00 catechesi, inserita all’interno di una liturgia in chiesa;
- ore 21.00 visita serale guidata alla Basilica del Santo con gesto del pellegrino e consegna del segno.
DOMENICA 27 SETTEMBRE
- ore 11.00 Santa Messa presieduta da fra Giovanni Voltan, ministro Provinciale, con recita dell’atto di affidamento e di consacrazione della propria famiglia al Santo.
Aggiornamenti sul sito:
Lettera del mese
Fede e devozione
A ciascuno la sua aureola
In paradiso non ci sono classifiche legate alla santità, né santi che siano in qualche modo più potenti di altri. Essere in paradiso, e cioè abitare per sempre nel cuore di Dio, significa vivere la pienezza di tutti quei piccoli e poveri gesti d’amore che ognuno di noi ha potuto fare in Terra.
«Caro direttore, esistono santi “di serie A”? Forse in paradiso sussistono delle gerarchie? E che senso hanno i santi protettori di nazioni, mestieri, associazioni? Possibile che un santo abbia preferenze e protegga di più un Paese anziché un altro? Se i carabinieri, che hanno per patrona la Virgo fidelis, la Madonna, rivolgono a Lei le loro suppliche, allora i finanzieri dovrebbero sempre invocare san Matteo (che di mestiere faceva l’esattore)? Una loro preghiera alla Vergine sarebbe forse meno efficace? Chiedo scusa per i tanti interrogativi, ma sono una persona che si sforza di vivere in maniera coerente con le proprie convinzioni».
Lettera firmata
Cominciamo col confermare al nostro amico lettore (la cui lettera abbiamo dovuto abbondantemente tagliare per motivi di spazio) che sì, il santo patrono della Guardia di finanza è proprio san Matteo. Ma se è per questo, persino briganti e ladri hanno il loro santo patrono: un altro eminente personaggio del Vangelo, innominato, ma a cui la tradizione ha dato il nome di Disma. E cioè il cosiddetto «buon ladrone», morto accanto a Gesù in croce. Forse che i santi in paradiso non hanno nient’altro da fare che specializzarsi in una malattia piuttosto che in una categoria umana? Se ne stanno lì tutto il giorno a correre dietro alle suppliche dei propri devoti? Probabilmente è proprio così, almeno stando alla caparbia intenzione di santa Teresina di Gesù Bambino (a proposito, protettrice delle missioni) di poter continuare a preoccuparsi del bene delle anime anche dal paradiso. In caso contrario, decisa nemmeno ad andarci. Ma, con linguaggio certamente popolare, che cosa ci dice questo per la nostra fede, ancora prima delle sacrosante esigenze di chiarezza e correttezza teologica?
In paradiso non ci sono certamente classifiche legate alla santità, né santi che siano in qualche modo più potenti di altri. Immagino, piuttosto, che l’essere in paradiso, e cioè abitare per sempre nel cuore di Dio, sia la pienezza di tutti quei piccoli e poveri gesti d’amore che ognuno di noi ha potuto fare in Terra. Tanto più qui, perciò, nessuno rinuncerà ad amare Dio e i fratelli! San Paolo lo aveva chiarito, quando aveva scritto che di speranza, fede e carità alla fine sarebbe rimasta per sempre proprio l’ultima (1Cor 13,13). Questo vuol dire per ognuno di noi, qualsiasi sia la situazione di vita o malattia, essere certi che c’è un pezzo di paradiso per tutti: c’è una parola di misericordia di Dio per ogni ambito e angolo anche oscuro delle nostre esistenze! Vuol dire che il paradiso non è poi così lontano dalla Terra tanto da scordarsene o da disinteressarsene. I santi sono, trainati da Cristo risorto in corpo e anima, schegge di umanità, anche della nostra umanità, conficcate nel cuore della Trinità. Un’umanità fatta di relazioni cui, a immagine della stessa Trinità, non possono perciò mai venire meno. E il nostro sant’Antonio che ci fa ritrovare anche gli oggetti smarriti? Non è bello pensare che anche questa nostra quotidianità perfino casalinga, sia anch’essa abitata da Dio?
Certo, papa Francesco ci ha ricordato che «l’ultima parola di Dio si chiama “Gesù” e niente di più» (messa a Santa Marta, 9 giugno 2015). Ciò significa che siamo impegnati a evangelizzare anche la nostra devozione ai santi. Dobbiamo rammentarci che non sono i santi propriamente a fare i miracoli, in qualsiasi modo li intendiamo, ma Dio. Così come la nostra preghiera non è ai santi che va di per sé indirizzata, ma a Dio. Semmai con la compagnia, il sostegno, la vicinanza fraterna del nostro santo del cuore. Che è un altro modo, oltre alla preghiera in famiglia e con la comunità, di realizzare ciò che dice Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Fuor di dubbio che i santi, e anche la Madonna, non sono più accessibili di un Dio altrimenti occupato in tutt’altre faccende, né sono di lui più «buoni» e comprensivi. Possono essere solo segno e richiamo della preoccupazione e della vicinanza di Dio a ognuno di noi, nessuno escluso. Ma, ancor prima, sprone e testimonianza della vita buona del Vangelo. Perciò nessuna magia né delega in bianco.
Lettere al direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org