La gioia di essere prete

Apprezzato in ambito ecclesiastico e civile, il cardinale Dolan ha un enorme carisma, e la personalità di un uomo colto e impegnato, ma sempre vicino alla gente comune.
12 Aprile 2012 | di

Il 23 febbraio 2009, monsignor Dolan fu nominato decimo arcivescovo di New York, da papa Benedetto XVI, dopo essere stato, per sette anni, arcivescovo della diocesi di Milwaukee, nel Wisconsin. Il 31 maggio 2010 è stato inviato dal Papa in Irlanda per investigare sulle vicende legate agli abusi sessuali nella Chiesa locale. Il 16 novembre dello stesso anno è stato eletto presidente della Conferenza dei vescovi cattolici americani. E il 5 gennaio 2011 è stato scelto dal Pontefice come membro del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, accanto a porporati del calibro di Angelo Scola, arcivescovo di Milano; Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; George Pell arcivescovo di Sidney, in Australia; Christoph Schönborn arcivescovo di Vienna, in Austria; l’arcivescovo Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi; l’arcivescovo William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Il 18 febbraio 2012 è stato elevato al rango di cardinale.

Msa. Quale di questi incarichi è per lei più importante?
Dolan. Quello di essere prete: servire la gente celebrando l’eucaristia, confessare, visitare i malati e i poveri, predicare il Vangelo, e infondere nel cuore e nella mente dei fedeli la fede, la speranza e la carità. Il prete di parrocchia è vicino alla gente in molti modi: fornendo assistenza ai bisognosi, aiutando le famiglie in caso di violenza, alcolismo, malattie e lutti; visitando gli ospedali e i carcerati; celebrando matrimoni, amministrando battesimi, cresime; istruendo i parrocchiani sulla parola di Dio e sulla dottrina della chiesa. In una parola: la cura delle anime, come diceva san Giovanni Bosco.

Da chi è stato ispirato a diventare prete?
Innanzitutto dalla mia famiglia. Il più grande dono soprannaturale che uno possa avere è la fede, e il più grande dono naturale è una famiglia felice dove alberga l’amore. Sono stato fortunato: mio padre e mia madre mi hanno dato questa testimonianza.
Oltre alla famiglia, ho avuto un grande aiuto dalla mia parrocchia di Gesù Bambino di Ballwin, in Missouri, dove i sacerdoti e le suore sono stati per me un riferimento sia per l’esempio sia per la dottrina. Non dimenticherò mai la loro fede profonda espressa in modo coraggioso, il loro senso della preghiera e della devozione a Gesù, alla Madonna e ai Santi, il loro amore per tutti, soprattutto per i più deboli. Grande importanza ha avuto anche la figura di papa Giovanni XXIII, il cui motto preferito mi ha sempre guidato nell’apostolato: «In cose essenziali unità, in cose non essenziali diversità, ma in tutto carità».

Lei ha sempre avuto una predilezione per papa Giovanni Paolo II. Perché?
Più che un moralista o un esegeta, lui era un costruttore: tutto ciò che contraddice, soverchia o nega la dignità dell’uomo è stato oggetto del suo agire forte e leale, dovunque lui andasse. Inoltre nel suo magistero ha privilegiato, su tutti, i rapporti improntati alla solidarietà, in nome di quel bene indivisibile che è la famiglia umana. A partire dal diritto alla nascita fino al dovere di garantire la vita. Ci ha insegnato che a domande fondamentali non si possono dare risposte astratte, diplomatiche, emotive, consolatorie e individuali, ma risposte che siano basate su una fede vissuta e sempre orientata a Dio. L’invito rivolto a tanti esponenti di religioni diverse a recarsi ad Assisi per pregare insieme è stata una lezione che non potrò mai dimenticare.


Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017