Chesterton, il formidabile
Dopo decenni di oblio, torna a essere tradotto e pubblicato in italiano il brillante letterato inglese inventore di padre Brown. Alla scoperta di un gigante della penna e della fede.
15 Ottobre 2012
|
Franz Kafka, il grande scrittore boemo di inizio Novecento, non fu un profondo conoscitore del coevo collega Gilbert Keith Chesterton, e tuttavia, dopo aver letto una sua opera, se ne uscì con questa espressione di meraviglia: «Chesterton è così felice che si sarebbe quasi tentati di credere che abbia davvero trovato Dio».
A distanza di un secolo, ora anche i lettori italiani possono arrivare alla stessa conclusione, magari perfezionandola negli esiti, ovvero cedendo alla «tentazione» descritta da Kafka. Ciò è possibile per due ordini di motivi: perché davvero Chesterton aveva trovato il Dio di Gesù Cristo nella Chiesa cattolica, e perché finalmente le opere del brillante autore britannico sono ristampate nella nostra lingua, dopo un lungo periodo di oblio nel quale erano sparite dal mercato librario, tranne proprio la serie di racconti di padre Brown e poco altro ancora.
Il personaggio di padre Brown, il pretino detective dall’insospettabile arguzia e dalla profonda saggezza, è spesso la scintilla che fa scattare tra il pubblico il ricordo dell’autore, complice la famosa interpretazione televisiva di Renato Rascel, con Arnoldo Foà a fare da spalla nei panni di Flambeau.
Ma è una memoria che può appartenere a cinefili e over 45 – correva infatti l’anno 1970 –, i più giovani sono tagliati fuori. Come spiegare allora il boom editoriale delle opere di Chesterton in questo scorcio di inizio millennio? Un nugolo di editori impegnati (tra tutti Lindau, Marietti, Morganti, Rubbettino, San Paolo), nuove traduzioni, nuovi titoli a disposizione, con un crescendo che dalle tre edizioni del 2006 fa arrivare alle dodici del 2010, record ribadito nel 2011, solo limitandosi ai libri che portano la firma di Chesterton e tacendo dei saggi che lo riguardano. Il 2011, addirittura, ha visto l’esordio di una rivista dedicata, ovvero l’edizione italiana della The Chesterton Review, mentre risale al 2006 il varo del blog (http://uomovivo.blogspot.it/) della Società chestertoniana italiana, punto di ritrovo degli estimatori dello scrittore inglese, attivo dal 2002. Nemmeno il fatto che nel 2006, a settant’anni dalla morte dell’autore, siano scaduti i diritti, appare sufficiente a spiegare un tale exploit.
Ragionevolmente cattolico
Questo articolo è dedicato a lui, Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), corpulento intellettuale, scrittore, giornalista, poeta, saggista, polemista inglese. Ma sei qualifiche professionali e un paio di aggettivi non bastano ancora a descrivere la fecondissima poliedricità del personaggio. Il modo migliore per conoscerlo è prendere in mano uno dei suoi scritti, magari iniziando proprio dai racconti di padre Brown, e lasciarsi conquistare. Vi si troverà una prosa frizzante e coinvolgente – dove temi anche decisamente seri sono affrontati mescolando limpidezza di pensiero, sagace umorismo, gioioso paradosso che riattiva il cervello del lettore nella lontana ipotesi in cui fosse tentato di assopirsi –, ma anche un vero e proprio mezzo conoscitivo per esplorare la realtà. E poi ci sono gli argomenti trattati, che contano eccome, perché di per sé tutti i grandi della letteratura – lo diamo per assodato – scrivevano bene. Tuttavia non si assiste in questa stagione a un revival di Aristofane, di Chaucer o di Manzoni, per citarne alcuni. Allora bisognerà darsi la briga di cercare l’attualità di Chesterton nell’attualità delle sue argomentazioni e dei suoi temi. Un esempio tra mille viene proprio dal suggerimento di lettura dato sopra.
L’esordio di padre Brown avviene col racconto La croce azzurra, dal nome del reliquiario d’argento con zaffiri di cui il famoso ladro Flambeau cerca di impadronirsi, travestendosi da sacerdote per entrare nelle grazie del custode del gioiello, un insignificante pretino di campagna dal volto rotondo – padre Brown per l’appunto – che contro le aspettative riesce a sventare il furto, avendo riconosciuto il malvivente dietro la rispettabile maschera. Nell’epilogo, denudato della sua fasulla identità, Flambeau pretende di sapere dal suo antagonista che cosa gli abbia permesso di scoprirlo. Questa la risposta, che fa riferimento al dialogo avvenuto tra i due: «Voi attaccaste la ragione. Questa è cattiva teologia». Ecco il passo falso del falso prete. Ed ecco cosa il lettore troverà a piene mani nelle pagine di Chesterton: l’accordo possibile, concreto, tangibile di fede e ragione.
Un’altra citazione, nella forma della domanda retorica, dice: «Non dobbiamo anche noi oggi mostrare la bellezza e la ragionevolezza della fede, portare la luce di Dio all’uomo del nostro tempo, con coraggio, con convinzione, con gioia?». Potrebbe sembrare Chesterton, e invece è Benedetto XVI (il 13 giugno 2011 al Convegno ecclesiale della diocesi di Roma) che in questo modo – secondo i principali commentatori – ha voluto indicare un metodo per la nuova evangelizzazione. Ora, anche nel contesto dell’Anno della fede, questo è senz’altro un motivo della «rinascita» di Chesterton, formidabile autore che sulla «ragionevolezza della fede» ha ancora tanto da insegnare, perché, come ha compreso egli stesso, «diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo» (La Chiesa cattolica, p. 79). Ritroviamo allora, in fila, le tre caratteristiche individuate dal Pontefice.
A Chesterton non mancò la convinzione, né certo il coraggio, visto che non si curò del danno d’immagine quando decise di passare dall’anglicanesimo al cattolicesimo. Che dire infine della gioia? A questo tema sono dedicate le pagine conclusive di Ortodossia, il trattato sulla fede più profondo e denso uscito dalla penna dell’autore britannico, dove si legge: «L’uomo è più se stesso, è più simile all’uomo quando in lui la gioia è un elemento essenziale (…). La gioia (…) è il gigantesco segreto del cristiano». Non è solo teoria: Chesterton visse questa gioia profonda in prima persona, sull’esempio di uno dei suoi santi preferiti, san Francesco d’Assisi, cui nel 1923, all’indomani della conversione, dedicò una biografia. Dieci anni più tardi, il bis verrà concesso con un analogo saggio dedicato invece a san Tommaso d’Aquino. Acuto e intelligente come il domenicano – di cui condivideva anche la stazza –, innamorato di Dio e della creazione come il santo di Assisi, Chesterton unisce i carismi dei due giganti della fede, negli scritti come nella vita, tant’è che alcuni lo vorrebbero sugli altari: una provocazione, ma nemmeno eccessiva.
«Uomovivo», il manifesto
Chesterton non si limita a presentare modelli medievali: un narratore del suo stampo si lascia provocare dagli esempi storici e li pensa in azione nella sua contemporaneità. È quanto avviene in Uomovivo, «il manifesto chestertoniano per eccellenza» a detta di Marco Sermarini, presidente della Società chestertoniana italiana. Già il nome del protagonista – Innocent Smith – è tutto un programma, col quale l’autore vuol dire: l’innocenza (ovvero la felicità) è alla portata di ciascuno, anche di un qualunque Smith che si trovi a esistere sulla terra. Caratteristica di Innocent è essere un uomo riconoscente, sempre disposto a riposizionarsi pur di scoprire di nuovo ogni giorno il bello di quanto gli è stato donato, che sia un fiore, un oggetto, oppure sua moglie. Sottotitolo del romanzo potrebbe essere questa frase che si legge in Ortodossia (p. 75): «La misura di ogni felicità è la gratitudine». Ma le strategie messe in atto per tenere desto il gusto della meraviglia – o, per dirla con Chesterton, per restare «vivi» – creano scompiglio tra gli altri personaggi del romanzo, di volta in volta benpensanti e razionalisti, annoiati e scettici, che tanto «vivi» non dimostrano di essere, incapaci di superare l’estrosa apparenza dell’«uomovivo», tanto da trascinarlo a processo. Così, nel dibattimento si potrà chiarire che una pistola in mano a Innocent può diventare un’arma di salvezza; che il presunto bigamo è un amante appassionato della propria (unica) moglie; che entrare furtivamente dalla finestra della propria abitazione è come nascondere un oggetto per il gusto di ritrovarlo; che per vedere bene una cosa bisogna allontanarsene.
Quanto conta allora lo sguardo! Sguardo disposto a stupirsi, perché lo stupore conoscerà il mondo, e lo cambierà. «Tutto passerà, resterà solo lo stupore e soprattutto lo stupore per le cose quotidiane» dice Chesterton. Ma sguardo anche in un’altra accezione, come leggiamo nel San Francesco d’Assisi: «Non ci fu mai nessuno (…) che guardando in quegli ardenti occhi scuri non abbia avuto la certezza che Francesco Bernardone provava un sincero interesse per lui in quanto individuo, dalla culla alla tomba; la sensazione di essere stimato e preso sul serio» (p. 92).
Passare dalle parti di Chesterton e leggerne le opere, in definitiva, rischia di far cambiare al lettore la prospettiva con cui osserva quanto lo circonda. Lo aveva capito anche Kafka. Ma c’è di più. Rivela scherzando (ma non troppo) Marco Sermarini: «Tutti quelli che si sono appassionati di Chesterton hanno manifestato, presto o tardi, una violentissima forma di chestertonite, tale da ritenere lo scrittore inglese uno di famiglia, un vicino di casa, solo per il fatto di averlo letto e di essergli grati per quanto ha loro rivelato. Con Leopardi non verrebbe in mente di fare lo stesso». Il peggio è che la chestertonite è malattia contagiosa e senza rimedio, prestate attenzione, dunque…
A distanza di un secolo, ora anche i lettori italiani possono arrivare alla stessa conclusione, magari perfezionandola negli esiti, ovvero cedendo alla «tentazione» descritta da Kafka. Ciò è possibile per due ordini di motivi: perché davvero Chesterton aveva trovato il Dio di Gesù Cristo nella Chiesa cattolica, e perché finalmente le opere del brillante autore britannico sono ristampate nella nostra lingua, dopo un lungo periodo di oblio nel quale erano sparite dal mercato librario, tranne proprio la serie di racconti di padre Brown e poco altro ancora.
Il personaggio di padre Brown, il pretino detective dall’insospettabile arguzia e dalla profonda saggezza, è spesso la scintilla che fa scattare tra il pubblico il ricordo dell’autore, complice la famosa interpretazione televisiva di Renato Rascel, con Arnoldo Foà a fare da spalla nei panni di Flambeau.
Ma è una memoria che può appartenere a cinefili e over 45 – correva infatti l’anno 1970 –, i più giovani sono tagliati fuori. Come spiegare allora il boom editoriale delle opere di Chesterton in questo scorcio di inizio millennio? Un nugolo di editori impegnati (tra tutti Lindau, Marietti, Morganti, Rubbettino, San Paolo), nuove traduzioni, nuovi titoli a disposizione, con un crescendo che dalle tre edizioni del 2006 fa arrivare alle dodici del 2010, record ribadito nel 2011, solo limitandosi ai libri che portano la firma di Chesterton e tacendo dei saggi che lo riguardano. Il 2011, addirittura, ha visto l’esordio di una rivista dedicata, ovvero l’edizione italiana della The Chesterton Review, mentre risale al 2006 il varo del blog (http://uomovivo.blogspot.it/) della Società chestertoniana italiana, punto di ritrovo degli estimatori dello scrittore inglese, attivo dal 2002. Nemmeno il fatto che nel 2006, a settant’anni dalla morte dell’autore, siano scaduti i diritti, appare sufficiente a spiegare un tale exploit.
Ragionevolmente cattolico
Questo articolo è dedicato a lui, Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), corpulento intellettuale, scrittore, giornalista, poeta, saggista, polemista inglese. Ma sei qualifiche professionali e un paio di aggettivi non bastano ancora a descrivere la fecondissima poliedricità del personaggio. Il modo migliore per conoscerlo è prendere in mano uno dei suoi scritti, magari iniziando proprio dai racconti di padre Brown, e lasciarsi conquistare. Vi si troverà una prosa frizzante e coinvolgente – dove temi anche decisamente seri sono affrontati mescolando limpidezza di pensiero, sagace umorismo, gioioso paradosso che riattiva il cervello del lettore nella lontana ipotesi in cui fosse tentato di assopirsi –, ma anche un vero e proprio mezzo conoscitivo per esplorare la realtà. E poi ci sono gli argomenti trattati, che contano eccome, perché di per sé tutti i grandi della letteratura – lo diamo per assodato – scrivevano bene. Tuttavia non si assiste in questa stagione a un revival di Aristofane, di Chaucer o di Manzoni, per citarne alcuni. Allora bisognerà darsi la briga di cercare l’attualità di Chesterton nell’attualità delle sue argomentazioni e dei suoi temi. Un esempio tra mille viene proprio dal suggerimento di lettura dato sopra.
L’esordio di padre Brown avviene col racconto La croce azzurra, dal nome del reliquiario d’argento con zaffiri di cui il famoso ladro Flambeau cerca di impadronirsi, travestendosi da sacerdote per entrare nelle grazie del custode del gioiello, un insignificante pretino di campagna dal volto rotondo – padre Brown per l’appunto – che contro le aspettative riesce a sventare il furto, avendo riconosciuto il malvivente dietro la rispettabile maschera. Nell’epilogo, denudato della sua fasulla identità, Flambeau pretende di sapere dal suo antagonista che cosa gli abbia permesso di scoprirlo. Questa la risposta, che fa riferimento al dialogo avvenuto tra i due: «Voi attaccaste la ragione. Questa è cattiva teologia». Ecco il passo falso del falso prete. Ed ecco cosa il lettore troverà a piene mani nelle pagine di Chesterton: l’accordo possibile, concreto, tangibile di fede e ragione.
Un’altra citazione, nella forma della domanda retorica, dice: «Non dobbiamo anche noi oggi mostrare la bellezza e la ragionevolezza della fede, portare la luce di Dio all’uomo del nostro tempo, con coraggio, con convinzione, con gioia?». Potrebbe sembrare Chesterton, e invece è Benedetto XVI (il 13 giugno 2011 al Convegno ecclesiale della diocesi di Roma) che in questo modo – secondo i principali commentatori – ha voluto indicare un metodo per la nuova evangelizzazione. Ora, anche nel contesto dell’Anno della fede, questo è senz’altro un motivo della «rinascita» di Chesterton, formidabile autore che sulla «ragionevolezza della fede» ha ancora tanto da insegnare, perché, come ha compreso egli stesso, «diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo» (La Chiesa cattolica, p. 79). Ritroviamo allora, in fila, le tre caratteristiche individuate dal Pontefice.
A Chesterton non mancò la convinzione, né certo il coraggio, visto che non si curò del danno d’immagine quando decise di passare dall’anglicanesimo al cattolicesimo. Che dire infine della gioia? A questo tema sono dedicate le pagine conclusive di Ortodossia, il trattato sulla fede più profondo e denso uscito dalla penna dell’autore britannico, dove si legge: «L’uomo è più se stesso, è più simile all’uomo quando in lui la gioia è un elemento essenziale (…). La gioia (…) è il gigantesco segreto del cristiano». Non è solo teoria: Chesterton visse questa gioia profonda in prima persona, sull’esempio di uno dei suoi santi preferiti, san Francesco d’Assisi, cui nel 1923, all’indomani della conversione, dedicò una biografia. Dieci anni più tardi, il bis verrà concesso con un analogo saggio dedicato invece a san Tommaso d’Aquino. Acuto e intelligente come il domenicano – di cui condivideva anche la stazza –, innamorato di Dio e della creazione come il santo di Assisi, Chesterton unisce i carismi dei due giganti della fede, negli scritti come nella vita, tant’è che alcuni lo vorrebbero sugli altari: una provocazione, ma nemmeno eccessiva.
«Uomovivo», il manifesto
Chesterton non si limita a presentare modelli medievali: un narratore del suo stampo si lascia provocare dagli esempi storici e li pensa in azione nella sua contemporaneità. È quanto avviene in Uomovivo, «il manifesto chestertoniano per eccellenza» a detta di Marco Sermarini, presidente della Società chestertoniana italiana. Già il nome del protagonista – Innocent Smith – è tutto un programma, col quale l’autore vuol dire: l’innocenza (ovvero la felicità) è alla portata di ciascuno, anche di un qualunque Smith che si trovi a esistere sulla terra. Caratteristica di Innocent è essere un uomo riconoscente, sempre disposto a riposizionarsi pur di scoprire di nuovo ogni giorno il bello di quanto gli è stato donato, che sia un fiore, un oggetto, oppure sua moglie. Sottotitolo del romanzo potrebbe essere questa frase che si legge in Ortodossia (p. 75): «La misura di ogni felicità è la gratitudine». Ma le strategie messe in atto per tenere desto il gusto della meraviglia – o, per dirla con Chesterton, per restare «vivi» – creano scompiglio tra gli altri personaggi del romanzo, di volta in volta benpensanti e razionalisti, annoiati e scettici, che tanto «vivi» non dimostrano di essere, incapaci di superare l’estrosa apparenza dell’«uomovivo», tanto da trascinarlo a processo. Così, nel dibattimento si potrà chiarire che una pistola in mano a Innocent può diventare un’arma di salvezza; che il presunto bigamo è un amante appassionato della propria (unica) moglie; che entrare furtivamente dalla finestra della propria abitazione è come nascondere un oggetto per il gusto di ritrovarlo; che per vedere bene una cosa bisogna allontanarsene.
Quanto conta allora lo sguardo! Sguardo disposto a stupirsi, perché lo stupore conoscerà il mondo, e lo cambierà. «Tutto passerà, resterà solo lo stupore e soprattutto lo stupore per le cose quotidiane» dice Chesterton. Ma sguardo anche in un’altra accezione, come leggiamo nel San Francesco d’Assisi: «Non ci fu mai nessuno (…) che guardando in quegli ardenti occhi scuri non abbia avuto la certezza che Francesco Bernardone provava un sincero interesse per lui in quanto individuo, dalla culla alla tomba; la sensazione di essere stimato e preso sul serio» (p. 92).
Passare dalle parti di Chesterton e leggerne le opere, in definitiva, rischia di far cambiare al lettore la prospettiva con cui osserva quanto lo circonda. Lo aveva capito anche Kafka. Ma c’è di più. Rivela scherzando (ma non troppo) Marco Sermarini: «Tutti quelli che si sono appassionati di Chesterton hanno manifestato, presto o tardi, una violentissima forma di chestertonite, tale da ritenere lo scrittore inglese uno di famiglia, un vicino di casa, solo per il fatto di averlo letto e di essergli grati per quanto ha loro rivelato. Con Leopardi non verrebbe in mente di fare lo stesso». Il peggio è che la chestertonite è malattia contagiosa e senza rimedio, prestate attenzione, dunque…
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017