I carabinieri nel cinema
La finzione come la vita. Anzi, di più. L'immagine che il cinema italiano ha saputo restituire dei carabinieri, rispetta e rispecchia il valore dell'Arma: due secoli di storia rossoblù iniziata nel lontano 13 luglio 1814, quando re Vittorio Emanuele I istituì l'antico Corpo dei Carabinieri Reali.
L'Arma di oggi, divenuta tale nel 1861, si è sempre circondata di uomini e idee forti, di gente vicina alla gente, in una continua osmosi con la società di cui è stata, nel tempo, attenta osservatrice e tutrice. Nella sventura o nella bega domestica, nel disagio o nelle calamità , gli italiani, istintivamente, hanno sempre chiamato, prima di tutto, i carabinieri. Questi non incarnano solo l'idea di «stato». Nell'immaginario collettivo sono infatti i superman di casa nostra, l'istituzione che si fa persona per soccorrere il cittadino e per trarlo in salvo. Perciò eroi popolari di tal fatta non potevano non trovare, e hanno trovato, fertile terreno nell'immaginario per antonomasia: il cinema, appunto, che ha saputo evocarne eroismo e passione, dedizione e lealtà , oltre a quell'indomito spirito di servizio speso sempre a tutela della legge e a difesa dei cittadini, imbevuto di un'etica dell'onore che fa della Benemerita e dei suoi membri, anche dopo che si sono congedati, una sorta di moderno ordine cavalleresco.
La lunga saga cinematografica di questo corpo scelto, costellata da decine di film girati fin dall'epoca del muto, esportati con successo perfino in Inghilterra e negli Stati Uniti quando l'assenza del parlato offriva evidentemente qualche vantaggio commerciale, tocca in alcune pellicole i suoi momenti più alti. Nel 1909, la Cines dedica ai carabinieri quello che oggi chiameremmo un real movie. Intuendo la potenzialità del filone, la Cines realizza altri film negli anni successivi. Tra questi ricordiamo Il dovere, Brigante e carabiniere, e Generosità di rivale, storia di un conflitto amoroso tra un carabiniere e il suo superiore, entrambi innamorati della stessa donna; uno «strong subject, well dealt», come lo definì un critico del Moving Picture World di New York. Fino ad arrivare alle vicissitudini, risibili quanto brillanti, dei vari Robinet, Tontolini e Cretinetti, comici degli anni Dieci, autori di irriverenti goliardate a spese dei carabinieri o addirittura nei loro panni.
Ma anche altri media danno risalto all'Arma. Quando la televisione di massa è ancora un oggetto vaticinato solo dagli scienziati, la stampa quotidiana e quella periodica illustrano l'epopea della Benemerita con reportage e articoli corredati dalle splendide tavole di artisti del calibro di Beltrame, Pisani e Molino. Sulla Domenica del Corriere o sulla Tribuna illustrata, il crudo episodio di cronaca diventa icona, impresa, fino a trascendere al mito. Satura la fantasia popolare, si fa storia, non solo di uomini ma anche di costume, pensiero, civiltà . Una presenza peraltro già radicata in letteratura, dove i carabinieri si erano conquistati un posto in prima fila nel Pinocchio di Collodi, un classico dell'infanzia. Qui un carabiniere acciuffa per il lungo naso il ribelle burattino di legno, riconsegnandolo a mastro Geppetto.
Con l'avvento del sonoro, che in Italia coincide con l'ascesa del fascismo, il ruolo delle fiammate divise rossoblù sembra declinare. La propaganda mette da parte il popolo, almeno sul grande schermo, o più verosimilmente teme la lealtà dei carabinieri alla monarchia, «alleato» scomodo del regime. L'Italia ha bisogno di miti, perciò vengono rispolverati la romanità classica, la mitologia, i biopic (film biografici), alla vana ricerca di una grandeur che poi naufragherà tra le gelide steppe russe, i deserti del Nord Africa e, alla fine della parabola discendente, in piazzale Loreto a Milano.
Non è un caso che in età repubblicana, l'eroe di riferimento dell'Arma diventi Salvo D'Acquisto, martire vero dell'occupazione tedesca ne La fiamma che non si spegne (1949), e nel più recente e omonimo Salvo D'Acquisto - interpretato nel 1975 da Massimo Ranieri diretto da Romolo Guerrieri, su soggetto di Giuseppe Berto - dove un giovane sottufficiale dei carabinieri offre la sua vita per salvare 22 suoi concittadini dalla feroce rappresaglia nazista.
Nell'ultimo cinquantennio, i carabinieri nel cinema hanno conosciuto alterne fortune. Film d'impegno civile e sociale si sono mescolati a commediole e a farse velleitarie, scritte e recitate spesso con svogliatezza, ripetitività e fastidioso sarcasmo.
Tra i film più riusciti, ricordiamo In nome della legge (1949) di Pietro Germi; Tormento (1950) con Amedeo Nazzari, regia di Raffaello Matarazzo; Non c'è pace tra gli ulivi (1950) con Raf Vallone, regia di Giuseppe De Sanctis; il tragico Proibito (1954), tratto dal romanzo La madre di Grazia Deledda, regia di Mario Monicelli; Pane, amore e fantasia (1953) e Pane, amore e gelosia (1954), diretti entrambi da Luigi Comencini, con l'esuberante maresciallo Carotenuto, interpretato da un simpatico, galante e disinvolto Vittorio De Sica accanto ad un'avvenente Gina Lollobrigida destinata alla celebrità internazionale; Siamo donne (1953) dove i carabinieri sono protagonisti dell'episodio in cui Anna Magnani, diretta da Luchino Visconti, finisce in una caserma dell'Arma in seguito ad un alterco con un tassista; Ladro lui, ladra lei (1958) di Luigi Zampa con l'irresistibile Alberto Sordi, ladruncolo della periferia romana travestito da carabiniere.
Negli anni Sessanta, spiccano Il Gobbo (1960) di Carlo Lizzani, tragica storia di un teppistello delle borgate romane a cui dà la caccia un maresciallo interpretato da Bernard Blier; Il carabiniere a cavallo (1961) ancora di Lizzani, con Nino Manfredi; e il grottesco I due marescialli (1961) di Sergio Corbucci, in cui si cimenta l'immancabile Totò, qui ladro da strapazzo. Ne Il disco volante (1964) troviamo ancora Alberto Sordi, questa volta impegnato a condurre una serrata indagine sull'atterraggio di un fantomatico disco volante in un paesino del Veneto. Il film più importante dell'epoca rimane, però, Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani, con Franco Nero, tratto dall'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia.
Negli anni Settanta, in clima di contestazione, tensioni sociali e austerity, non mancano film «politici» come Il caso Mattei (1972) di Francesco Rosi, in cui gli uomini dell'Arma hanno un ruolo importante nelle indagini sulla morte del presidente dell'Eni; poi il già citato Salvo D'Acquisto con Massimo Ranieri; Il prefetto di ferro (1977) di Pasquale Squitieri; e Cristo si è fermato a Eboli (1979) di Francesco Rosi, con Gian Maria Volonté.
A recuperare uno stile semiserio è Carlo Verdone che dirige e interpreta, accanto a Enrico Montesano, I due carabinieri (1984), una pochade densa di umanità e valori civili. Certamente duro per tematica e circostanze è invece Cento giorni a Palermo (1984) di Giuseppe Ferrara con Lino Ventura e Stefano Satta Flores, che ricostruisce il drammatico epilogo della vita del generale dei carabinieri Carlo Albero Dalla Chiesa, assassinato dalla mafia con la giovane moglie Emanuela Setti Carraro.
Il 1992 è l'anno de Il ladro di bambini di Gianni Amelio, con Enrico Lo Verso, delicato poemetto neorealista su un carabiniere alle prese con una coppia di bambini, senza parenti e disadattati, che nessuno sembra volere. È il ritorno a un cinema intimista in cui l'uomo in divisa si trova a fare i conti con un'umanità dolente, dimostrando un eroismo moderno che poco si discosta da quello ottocentesco. La lotta contro il brigantaggio ha ceduto il posto a quella contro l'emarginazione e i dissidi sociali. L'impegno dei carabinieri è rimasto immutato. A muoverli è una lealtà incondizionata alle istituzioni e ai cittadini, tesa a smascherare ipocrisie e infingimenti, a denunciare ammiccamenti e connivenze che nella finzione scenica - come, purtroppo, nella realtà - hanno visto e vedono spesso intrecciarsi interessi politici e malaffare, legalità e violenza.
Oggi, osservando al cinema i carabinieri in azione, o seguendo in televisione le gesta di Gigi Proietti nei panni del maresciallo Rocca, a dispetto della criminalità crescente nel nostro Paese, dell'arroganza dei poteri forti, e della palude della giustizia, l'Arma continua a suscitare stima e rispetto, ad essere depositaria degli ideali di ordine e sicurezza, talvolta al prezzo della vita stessa dei suoi uomini. E anche questa, in fondo, è una conquista orgogliosa e sofferta della democrazia e della libertà .