Il cancro ha gli anni contati
Philadelphia
Nemo propheta in patria (nessuno è profeta in patria, ndr). La massima latina vale anche per Antonio Giordano, 37 anni, medico-manager napoletano, professore di Patologia alla Jefferson University di Philadelphia. La sua è una storia simile a quelle di tanti altri eminenti cervelli italiani, incom- presi e ignorati in patria, ma affermati e famosi all'estero.
La professione medica, in casa Giordano, si pratica da generazioni. Antonio, appena diciannovenne, durante le vacanze estive negli Stati Uniti, si rende conto delle differenze qualitative dell'ambiente americano, soprattutto sul piano organizzativo, nel sistema di raccolta dei fondi per la ricerca e nella tutela dei pazienti. «Mi ha entusiasmato osservare e conoscere tanti giovani che, come me, provenivano da tutti i Paesi del mondo e che stavano facendo esperienza clinica o di ricerca - rammenta Giordano - . L'opinione unanime era quella di una grande gratificazione, l'impressione di un sistema snello ed efficiente, capace di fare didattica». Il prezzo per continuare questa esperienza è, però, molto alto. Significa abbandonare Napoli, il golfo, l'Italia. Una scelta non facile. Ma Antonio ha le idee chiare.
Dopo la laurea in Medicina si trasferisce negli Stati Uniti. È attratto dalla ricerca di base, in particolare quella oncologica. È affascinato dalla possibilità di comprendere perché ogni singola cellula «impazzisca» e quali siano i livelli molecolari delle anomalie.
«Volevo capire come avrei potuto organizzare un grande progetto di ricerca in grado di trasferire il risultato del laboratorio ai pazienti, con rapidità , serietà ed efficacia». A raggiungere questa consapevolezza contribuisce l'esperienza maturata da Giordano a New York, nei laboratori di biologia molecolare di Jim Watson, uno degli scopritori del Dna. «È stato uno dei momenti formativi più importanti della mia vita. Lì, oltre a rendermi conto delle scelte su cui puntare, dell'impostazione mentale nell'approccio con la tecnica e la ricerca, sono entrato in contatto con i personaggi di maggior rilievo nel campo della biologia e della genetica molecolare. Ho avuto importanti insegnamenti che hanno contribuito a costruire la mia struttura culturale scientifica».
«Il grande entusiasmo, le energie messe in campo, l'enorme passione, e soprattutto credere fortemente in quello che ho sempre fatto e voluto, hanno trasformato qualche piccola sconfitta in una vittoria, in un patrimonio personale positivo da utilizzare e sfruttare in ogni successiva sfida con me stesso, con gli altri e con la ricerca».
L'intenso e ininterrotto lavoro di Giordano è premiato nel 1993 quando con i suoi collaboratori, isola il gene Rb2 appartenente alla famiglia del Retinoblastoma, di cui fanno parte altri due geni, il prototipo, che è il Retinoblastoma Rb/p105 e il p107. In condizioni fisiologicamente normali l'Rb2 agisce come soppressore del tumore, bloccando la replicazione di cellule danneggiate da molteplici agenti. Se questo gene o la sua espressione proteica sono alterati, prevale la replicazione di cellule malate.
«La prossima frontiera - dice Giordano - è decodificare il 'libro della vita': dobbiamo imparare la grammatica e la sintassi, capire come dialogano i geni tra loro. Sicuramente ogni malattia dipende dalle alterazioni di più geni, il che si esprime in un'alterazione del 'dialogo' tra di essi».
Per leggere correttamente il libro della vita saranno necessari alcuni anni, ma soprattutto molti soldi. La ricerca sta bruciando tutte le tappe del passato. Antonio è entusiasta: «Mentre Folkman ha dovuto aspettare trent'anni per poter sperimentare sugli animali, e poi sugli uomini, l'angiostatina, la sostanza da lui scoperta che blocca la formazione di nuovi vasi sanguigni nel tumore, noi abbiamo isolato il gene Rb2 nel 1993, e già nel 1999 eravamo pronti ad applicare sui topi la terapia genica, che utilizza questo soppressore del tumore, come farmaco molecolare contro il carcinoma, non a piccole cellule, del polmone. Tra non molto passeremo agli esperimenti sull'uomo».
Il professor Giordano è prudente: i passi avanti della genetica e delle terapie molecolari che utilizzano i risultati del Progetto Genoma, non saranno la panacea di tutti i mali. È bene non suscitare false speranze. Possiamo aspettarci l'identificazione dei geni responsabili delle malattie ereditarie. Riconoscendoli precocemente si potrà intervenire con la terapia genica. In ambito oncologico potranno essere sperimentate terapie geniche alternative a quelle tradizionali e alla chemioterapia. Tuttavia bisogna stare allerta contro le possibili speculazioni. «Americani ed europei condividono una cultura caratterizzata dall'ideale di una società aperta di tipo partecipativo in cui tutti devono godere dei benefici della ricerca - osserva Giordano - . Scienziati e politici devono farsi carico della promozione di una ricerca condotta in maniera etica». L'Italia ospiterà prossimamente una conferenza internazionale su questo tema, organizzata dall'Istituto Ramazzini e dallo Sbarro Institute. La famiglia Sbarro, leader nel campo della ristorazione negli Stati Uniti e all'estero, è in prima linea con il professor Giordano sul fronte della ricerca (cfr. Messaggero di sant'Antonio, maggio 1997, pagg. 32-33).
Sono stati, forse, la napoletanità che condividono e il comune entusiasmo nel perseguire l'obiettivo ambizioso di migliorare la qualità della cura di gravi malattie con la medicina molecolare, a cementare la collaborazione tra Antonio Giordano e Mario Sbarro: è nato così lo Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine. Giordano ha parole di elogio per il suo mecenate: «gli interlocutori dello scienziato serio devono essere imprenditori 'illuminati', capaci di portarci a un 'Rinascimento' culturale e tecnologico. E Mario Sbarro è uno di questi».
A coadiuvare Giordano è un team di ricercatori composto all'80% da scienziati italiani provenienti dall'Università Cattolica di Roma e dalle Università di Sassari, Bari, Siena, Verona e Bologna. Un pezzo d'Italia trapiantato negli Stati Uniti dov'è sempre più massiccia la presenza di nostri connazionali in campo clinico-chirurgico.
E l'Italia? «Il sistema italiano non applica appieno i criteri della meritocrazia - lamenta Giordano - , e le risorse per la ricerca seguono spesso canali che con questa hanno poco a che fare. Quello che non va è l'eccesso di 'burocratismo' che accompagna le attività delle aziende sanitarie e la grave demotivazione della classe medica, frutto della scarsa considerazione in cui è tenuta da amministratori il più delle volte non sufficientemente preparati».
Per Giordano bisognerebbe stimolare la competizione fra i ricercatori e premiare i più meritevoli, soprattutto valorizzare il ruolo delle facoltà di Medicina come fonte primaria di conoscenza e cultura, di cui possa poi avvantaggiarsi, per ricaduta, tutto il sistema sanitario.
Il sogno nel cassetto, Giordano ce l'ha: «poter incontrare anche in Italia una personalità illuminata come Mario Sbarro, e una classe dirigente capace di dare vita a un Rinascimento tecnologico e scientifico nell'ambito del quale siano tanti i ricercatori italiani ad essere felici e orgogliosi di lavorare nel proprio Paese e per il proprio Paese».