L'Altra Italia e il rischio della deriva
Italiani all'estero sempre più emarginati. L'appello del vicepresidente della Commissione Affari esteri e presidente dell'Unaie: facciamo rete per non perdere la nostra storia.
22 Giugno 2010
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Roma
L’attuale crisi economica internazionale sta avendo riflessi pesanti sull’economia italiana. E a pagarne le conseguenze sono anche gli italiani nel mondo: tagli ai fondi per la formazione, pensioni che perdono potere d’acquisto, tagli addirittura retroattivi ai finanziamenti per la stampa italiana all’estero.
Bettero. Onorevole Narducci, siamo in piena emergenza. Che cosa sta succedendo?
Narducci. Sicuramente siamo nel bel mezzo di una crisi finanziaria senza precedenti che ci accompagna ormai dal 2009 e che ha colpito anche i nostri emigrati: molti nostri cittadini italiani ultracinquantenni hanno perso il lavoro in Svizzera, in Germania e in altre parti del mondo. Da parte sua, il Governo italiano, già a partire dal 2008, ha cambiato brutalmente direzione nell’ambito delle politiche per gli italiani all’estero e dei loro diritti. È sintomatica, per esempio, l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, un beneficio da cui sono stati esclusi i cittadini italiani all’estero, nonostante una legge del 1994 avesse equiparato, su questo piano, gli italiani all’estero ai cittadini italiani residenti in Italia. Una palese violazione, a mio vedere, dei diritti costituzionali a cui hanno fatto seguito una serie di misure come i tagli pesanti ai corsi di lingua e cultura, ai fondi destinati all’assistenza degli indigenti, cioè dei nostri connazionali che vivono in condizioni di estrema povertà. Oppure, i cittadini italiani all’estero che rientrano in patria sono stati equiparati, sul piano dell’assistenza sociale, agli immigrati: non avendo vissuto almeno dieci anni in Italia, sono esclusi da qualsiasi tipo di assistenza sociale. Insomma, sembra che questo Governo ritenga che gli italiani all’estero meritino meno considerazione. Una sensazione comprovata non solo dai tagli, ma anche dal fatto che il Governo non abbia messo mano a nessuna delle riforme che le comunità emigrate chiedono da tempo. Un disinteresse immeritato visto tutto quello che gli italiani all’estero hanno fatto non solo negli anni della ricostruzione del Paese dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale, con le loro rimesse economiche o con le navi cariche di grano inviate per sfamare gli italiani, ma anche quello che fanno tutt’oggi con la loro diffusa presenza a rete in ogni parte del mondo; una vera e propria risorsa strategica che produce un indotto di 60 miliardi di euro l’anno. Basti pensare alla promozione del made in Italy, ai prodotti italiani consumati e diffusi all’estero o al turismo di ritorno. Con amarezza si deve constatare che sembrano svaniti perfino i toni trionfali e incoraggianti della Prima Conferenza degli Italiani nel Mondo.
Che posizioni hanno assunto i parlamentari italiani eletti nelle Circoscrizioni estero?
Molti nostri concittadini nel mondo, di fronte all’attuale linea del Governo italiano, accusano i parlamentari eletti all’estero di non produrre risultati. Penso in primo luogo che tutti dovrebbero riflettere sul funzionamento del Parlamento italiano che, al pari di quanto avviene in tutte le democrazie, opera con la regola di maggioranza e opposizione. Si aggiunga che in questi due anni, chi ha dettato legge è il Governo: il Parlamento italiano è impegnato fondamentalmente ad approvare le linee politiche e le leggi che passano attraverso i decreti emanati dal Governo. Noi abbiamo presentato innumerevoli proposte di legge, emendamenti su tutte le questioni che riguardano gli italiani all’estero. Inoltriamo continuamente interrogazioni, mozioni e ordini del giorno, ovvero usiamo gli strumenti di cui un parlamentare normalmente si serve. Certo che l’opposizione, di fronte a un Governo che ha questo atteggiamento di chiusura, ha forti difficoltà a ottenere risultati, anche se ci confrontiamo in modo serrato, quando è possibile, con il sottosegretario agli Affari esteri, Alfredo Mantica e, per alcuni aspetti, con il Ministero dell’economia e delle finanze.
Che cosa vi ha risposto il sottosegretario Mantica?
Con Mantica ci sono continui momenti di incontro e di «scontro politico», in particolare nelle audizioni in Commissione Affari esteri, soprattutto sugli aspetti finanziari e sulla «riorganizzazione della rete consolare»: un’operazione molto contestata anche dagli stessi parlamentari eletti all’estero che sostengono la maggioranza di governo. Come parlamentare, sono evidentemente cosciente della difficile fase economica che stiamo attraversando, ma proprio per questo noi non chiedevamo che si investissero ulteriori fondi nella rete consolare, quanto piuttosto che si procedesse al declassamento dei consolati generali, mantenendo però le agenzie ovvero le antenne territoriali per erogare i servizi alle nostre comunità. Al sottosegretario Mantica abbiamo contestato l’incomprensibile mancato rinnovo degli organismi di rappresentanza degli italiani all’estero, il Cgie (Consiglio generale degli italiani all’estero) e i Comites, perché il mandato dura cinque anni e, nonostante la proroga di un anno, si è proceduto a un’ulteriore proroga che potrebbe addirittura portare la durata del mandato a otto anni; una durata che segnerebbe la morte per inedia di questi organismi. Io sono tra quelli che hanno sostenuto con forza l’inutilità della riforma della legge sui Comites, visto che nel 2004 erano stati rinnovati con una nuova legge. Diverso è il discorso per il Cgie che va riformato, dandosi però un’agenda per farlo, e dunque senza procedere a colpi di proroga.
Sul versante del welfare le conseguenze della congiuntura internazionale appaiono pesanti per molti connazionali all’estero indigenti o in difficoltà economiche. I pochi soldi che arrivavano erano almeno una garanzia per una sopravvivenza dignitosa. Ora, onorevole Narducci, quali conseguenze si profilano all’orizzonte?
Lei ha sollevato un aspetto che oggi è al centro di tutte le manovre dei Paesi europei volte ad affrontare la crisi finanziaria ed economica, e a difendere l’euro dalle speculazioni. È pur vero che i Paesi occidentali hanno costruito faticosamente un welfare in grado di assicurare un minimo di assistenza e di tranquillità economica ai propri cittadini e pensionati. Ma l’allungamento della vita media e l’ingresso nel mondo del lavoro in età più avanzata, hanno innescato un appesantimento di questo sistema che non può essere sopportato, come in passato, dalle casse dello Stato. Paesi come Argentina, Brasile, Cile, Uruguay e, per certi versi, anche alcune realtà europee, nazioni che ospitano le nostre comunità da decenni, devono farsi carico dei nuovi fenomeni di povertà e di marginalità. In Paesi come l’America Latina, dove esistono pochissimi ammortizzatori sociali in grado di aiutare le persone che vivono in assoluta povertà, il nostro intervento con l’assistenza diretta ai cittadini italiani, gestita attraverso la rete consolare, è stato fondamentale per assicurare condizioni minime di vita dignitosa, e per garantire almeno l’essenziale a persone che altrimenti non avrebbero avuto nulla per vivere. I tagli pesanti a questi capitoli di spesa hanno fatto aumentare sia i problemi legati a una sopravvivenza dignitosa che quelli connessi all’assistenza sanitaria. Noi abbiamo, tra l’altro, sollecitato il Governo italiano a trovare soluzioni diverse come, per esempio, forme di assistenza sanitaria meno costose di quelle individuate finora.
Quali riforme strutturali – anche intercettando le priorità imposte dall’attuale congiuntura – sarebbero in grado di rimettere in gioco le comunità italiane nel mondo senza disperdere un patrimonio di esperienze e di valori che queste hanno saputo costruire in decenni di impegno, spesso volontaristico?
Io credo che il problema nodale sia quello di un disinteresse verso le comunità italiane all’estero, quasi che si volesse tagliare il cordone ombelicale con l’Italia. E questo sarebbe un danno enorme per il nostro Paese, soprattutto in termini strategici visto che abbiamo una rete di presenze, in ogni parte del mondo, che è davvero straordinaria e che contribuisce a diffondere l’italianità e il nostro sistema Paese a costo zero. Ricordiamoci, come detto, che i nostri concittadini sono anche formidabili consumatori di prodotti italiani. E poi ci sono le nuove professionalità, e i ruoli sociali raggiunti dai cittadini italiani nel mondo. Se ciò non viene percepito come una potenzialità anche nell’attuale congiuntura economica, questo patrimonio rischia di disperdersi, di non essere più visibile. Avremo solo dei cittadini che hanno il nome italiano ma che non hanno quel legame che è stato invece difeso strenuamente e mantenuto vivo con amore, grazie anche alla stampa degli italiani emigrati. Basti pensare al ruolo fondamentale che ha l’edizione cartacea del Messaggero di sant’Antonio-edizione italiana per l’estero, e il suo settimanale radiofonico Incontri, ma anche i tantissimi piccoli giornali italiani all’estero che, in questo momento, vengono guardati con distacco, tagliando loro i finanziamenti quasi a volerne interrompere il ruolo di collegamento con l’Italia e di informazione per gli italiani nel mondo. Se si guarda al futuro, ritengo che questo sia un aspetto fondamentale che il Governo deve assolutamente cogliere. Altrimenti sarà responsabile dell’affossamento di un’identità e di un senso di appartenenza che hanno dato tantissimo all’Italia e che sono ancora molto forti ovunque. Prova ne sia che le nostre comunità all’estero stanno chiedendo, proprio in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia, che non ci si dimentichi di loro ma che, anzi, siano esse stesse partecipi di queste celebrazioni. Gli italiani all’estero si sono sentiti italiani, appartenenti a una comunità nazionale, ben prima che nascesse la Repubblica italiana. Se i parlamentari italiani, nella quotidianità del loro lavoro di legislatori e di amministratori, perdono di vista questi valori fondamentali, allora credo che si scriva davvero un brutto capitolo della nostra storia.
L’attuale crisi economica internazionale sta avendo riflessi pesanti sull’economia italiana. E a pagarne le conseguenze sono anche gli italiani nel mondo: tagli ai fondi per la formazione, pensioni che perdono potere d’acquisto, tagli addirittura retroattivi ai finanziamenti per la stampa italiana all’estero.
Bettero. Onorevole Narducci, siamo in piena emergenza. Che cosa sta succedendo?
Narducci. Sicuramente siamo nel bel mezzo di una crisi finanziaria senza precedenti che ci accompagna ormai dal 2009 e che ha colpito anche i nostri emigrati: molti nostri cittadini italiani ultracinquantenni hanno perso il lavoro in Svizzera, in Germania e in altre parti del mondo. Da parte sua, il Governo italiano, già a partire dal 2008, ha cambiato brutalmente direzione nell’ambito delle politiche per gli italiani all’estero e dei loro diritti. È sintomatica, per esempio, l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, un beneficio da cui sono stati esclusi i cittadini italiani all’estero, nonostante una legge del 1994 avesse equiparato, su questo piano, gli italiani all’estero ai cittadini italiani residenti in Italia. Una palese violazione, a mio vedere, dei diritti costituzionali a cui hanno fatto seguito una serie di misure come i tagli pesanti ai corsi di lingua e cultura, ai fondi destinati all’assistenza degli indigenti, cioè dei nostri connazionali che vivono in condizioni di estrema povertà. Oppure, i cittadini italiani all’estero che rientrano in patria sono stati equiparati, sul piano dell’assistenza sociale, agli immigrati: non avendo vissuto almeno dieci anni in Italia, sono esclusi da qualsiasi tipo di assistenza sociale. Insomma, sembra che questo Governo ritenga che gli italiani all’estero meritino meno considerazione. Una sensazione comprovata non solo dai tagli, ma anche dal fatto che il Governo non abbia messo mano a nessuna delle riforme che le comunità emigrate chiedono da tempo. Un disinteresse immeritato visto tutto quello che gli italiani all’estero hanno fatto non solo negli anni della ricostruzione del Paese dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale, con le loro rimesse economiche o con le navi cariche di grano inviate per sfamare gli italiani, ma anche quello che fanno tutt’oggi con la loro diffusa presenza a rete in ogni parte del mondo; una vera e propria risorsa strategica che produce un indotto di 60 miliardi di euro l’anno. Basti pensare alla promozione del made in Italy, ai prodotti italiani consumati e diffusi all’estero o al turismo di ritorno. Con amarezza si deve constatare che sembrano svaniti perfino i toni trionfali e incoraggianti della Prima Conferenza degli Italiani nel Mondo.
Che posizioni hanno assunto i parlamentari italiani eletti nelle Circoscrizioni estero?
Molti nostri concittadini nel mondo, di fronte all’attuale linea del Governo italiano, accusano i parlamentari eletti all’estero di non produrre risultati. Penso in primo luogo che tutti dovrebbero riflettere sul funzionamento del Parlamento italiano che, al pari di quanto avviene in tutte le democrazie, opera con la regola di maggioranza e opposizione. Si aggiunga che in questi due anni, chi ha dettato legge è il Governo: il Parlamento italiano è impegnato fondamentalmente ad approvare le linee politiche e le leggi che passano attraverso i decreti emanati dal Governo. Noi abbiamo presentato innumerevoli proposte di legge, emendamenti su tutte le questioni che riguardano gli italiani all’estero. Inoltriamo continuamente interrogazioni, mozioni e ordini del giorno, ovvero usiamo gli strumenti di cui un parlamentare normalmente si serve. Certo che l’opposizione, di fronte a un Governo che ha questo atteggiamento di chiusura, ha forti difficoltà a ottenere risultati, anche se ci confrontiamo in modo serrato, quando è possibile, con il sottosegretario agli Affari esteri, Alfredo Mantica e, per alcuni aspetti, con il Ministero dell’economia e delle finanze.
Che cosa vi ha risposto il sottosegretario Mantica?
Con Mantica ci sono continui momenti di incontro e di «scontro politico», in particolare nelle audizioni in Commissione Affari esteri, soprattutto sugli aspetti finanziari e sulla «riorganizzazione della rete consolare»: un’operazione molto contestata anche dagli stessi parlamentari eletti all’estero che sostengono la maggioranza di governo. Come parlamentare, sono evidentemente cosciente della difficile fase economica che stiamo attraversando, ma proprio per questo noi non chiedevamo che si investissero ulteriori fondi nella rete consolare, quanto piuttosto che si procedesse al declassamento dei consolati generali, mantenendo però le agenzie ovvero le antenne territoriali per erogare i servizi alle nostre comunità. Al sottosegretario Mantica abbiamo contestato l’incomprensibile mancato rinnovo degli organismi di rappresentanza degli italiani all’estero, il Cgie (Consiglio generale degli italiani all’estero) e i Comites, perché il mandato dura cinque anni e, nonostante la proroga di un anno, si è proceduto a un’ulteriore proroga che potrebbe addirittura portare la durata del mandato a otto anni; una durata che segnerebbe la morte per inedia di questi organismi. Io sono tra quelli che hanno sostenuto con forza l’inutilità della riforma della legge sui Comites, visto che nel 2004 erano stati rinnovati con una nuova legge. Diverso è il discorso per il Cgie che va riformato, dandosi però un’agenda per farlo, e dunque senza procedere a colpi di proroga.
Sul versante del welfare le conseguenze della congiuntura internazionale appaiono pesanti per molti connazionali all’estero indigenti o in difficoltà economiche. I pochi soldi che arrivavano erano almeno una garanzia per una sopravvivenza dignitosa. Ora, onorevole Narducci, quali conseguenze si profilano all’orizzonte?
Lei ha sollevato un aspetto che oggi è al centro di tutte le manovre dei Paesi europei volte ad affrontare la crisi finanziaria ed economica, e a difendere l’euro dalle speculazioni. È pur vero che i Paesi occidentali hanno costruito faticosamente un welfare in grado di assicurare un minimo di assistenza e di tranquillità economica ai propri cittadini e pensionati. Ma l’allungamento della vita media e l’ingresso nel mondo del lavoro in età più avanzata, hanno innescato un appesantimento di questo sistema che non può essere sopportato, come in passato, dalle casse dello Stato. Paesi come Argentina, Brasile, Cile, Uruguay e, per certi versi, anche alcune realtà europee, nazioni che ospitano le nostre comunità da decenni, devono farsi carico dei nuovi fenomeni di povertà e di marginalità. In Paesi come l’America Latina, dove esistono pochissimi ammortizzatori sociali in grado di aiutare le persone che vivono in assoluta povertà, il nostro intervento con l’assistenza diretta ai cittadini italiani, gestita attraverso la rete consolare, è stato fondamentale per assicurare condizioni minime di vita dignitosa, e per garantire almeno l’essenziale a persone che altrimenti non avrebbero avuto nulla per vivere. I tagli pesanti a questi capitoli di spesa hanno fatto aumentare sia i problemi legati a una sopravvivenza dignitosa che quelli connessi all’assistenza sanitaria. Noi abbiamo, tra l’altro, sollecitato il Governo italiano a trovare soluzioni diverse come, per esempio, forme di assistenza sanitaria meno costose di quelle individuate finora.
Quali riforme strutturali – anche intercettando le priorità imposte dall’attuale congiuntura – sarebbero in grado di rimettere in gioco le comunità italiane nel mondo senza disperdere un patrimonio di esperienze e di valori che queste hanno saputo costruire in decenni di impegno, spesso volontaristico?
Io credo che il problema nodale sia quello di un disinteresse verso le comunità italiane all’estero, quasi che si volesse tagliare il cordone ombelicale con l’Italia. E questo sarebbe un danno enorme per il nostro Paese, soprattutto in termini strategici visto che abbiamo una rete di presenze, in ogni parte del mondo, che è davvero straordinaria e che contribuisce a diffondere l’italianità e il nostro sistema Paese a costo zero. Ricordiamoci, come detto, che i nostri concittadini sono anche formidabili consumatori di prodotti italiani. E poi ci sono le nuove professionalità, e i ruoli sociali raggiunti dai cittadini italiani nel mondo. Se ciò non viene percepito come una potenzialità anche nell’attuale congiuntura economica, questo patrimonio rischia di disperdersi, di non essere più visibile. Avremo solo dei cittadini che hanno il nome italiano ma che non hanno quel legame che è stato invece difeso strenuamente e mantenuto vivo con amore, grazie anche alla stampa degli italiani emigrati. Basti pensare al ruolo fondamentale che ha l’edizione cartacea del Messaggero di sant’Antonio-edizione italiana per l’estero, e il suo settimanale radiofonico Incontri, ma anche i tantissimi piccoli giornali italiani all’estero che, in questo momento, vengono guardati con distacco, tagliando loro i finanziamenti quasi a volerne interrompere il ruolo di collegamento con l’Italia e di informazione per gli italiani nel mondo. Se si guarda al futuro, ritengo che questo sia un aspetto fondamentale che il Governo deve assolutamente cogliere. Altrimenti sarà responsabile dell’affossamento di un’identità e di un senso di appartenenza che hanno dato tantissimo all’Italia e che sono ancora molto forti ovunque. Prova ne sia che le nostre comunità all’estero stanno chiedendo, proprio in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia, che non ci si dimentichi di loro ma che, anzi, siano esse stesse partecipi di queste celebrazioni. Gli italiani all’estero si sono sentiti italiani, appartenenti a una comunità nazionale, ben prima che nascesse la Repubblica italiana. Se i parlamentari italiani, nella quotidianità del loro lavoro di legislatori e di amministratori, perdono di vista questi valori fondamentali, allora credo che si scriva davvero un brutto capitolo della nostra storia.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017