Rompiamo la solitudine!

«Il mio più ardente desiderio è che si stabilisca, tra le culture del mondo, un patto di solidarietà e un sentimento d'appartenenza comune a tutta l'umanità».
15 Dicembre 2006 | di

Vancouver

Michaelle Jean: una donna che ha dedicato la vita al dialogo, alla libertà e alla dignità umana. I suoi antenati neri avevano spezzato le catene della schiavitù; i genitori quelle della feroce dittatura di Papa Doc Duvalier ad Haiti quando, nel 1968 con lei bambina, avevano cercato rifugio in Canada. Da governatrice generale, lei sta lavorando per spezzare le solitudini dei canadesi: non solo quelle storiche di francesi e inglesi, ma anche quelle dei sottoprivilegiati della società.
Briser les solitudes è il motto che sostiene il suo stemma, sintesi delle sue origini e dei suoi ideali. Fin dal discorso d’insediamento si era percepita la sua precisa volontà di trasformare il ruolo formale di rappresentante della regina Elisabetta II, capo di Stato del Canada, in un’occasione di promozione sociale e umana: «Occorre aprirsi al mondo intero, ispirandosi all’ideale di una società di uguali diritti per tutti i cittadini. La nostra storia parla potentemente della libertà d’inventare un nuovo mondo, del coraggio di sottolineare avventure eccezionali».
Quale 27° governatore generale, la ex giornalista Michaelle Jean ha messo a disposizione di tutti i canadesi una straordinaria capacità di comunicatrice. Il suo sito personale (www.citizenvoices.gg.ca) è diventato palestra attiva di dialogo con i cittadini. 
Ma Michaelle Jean, prima di essere governatrice, non è stata solo una celebre e premiata giornalista televisiva. È stata un’attivista sociale impegnata in Quebec nell’assistenza a donne e bambini vittime di maltrattamenti. E per breve tempo era anche stata docente di Lingua e letteratura comparata alla facoltà di Italian Studies dell’Università di Montréal: lo stesso ateneo presso il quale, giovanissima, aveva conseguito un Bachelor in lingue Italiana e Spagnola, completato poi con un Master in Letteratura comparata. L’italiano è – con il francese, l’inglese, lo spagnolo e il creolo – una delle lingue da lei studiate e utilizzate per comunicare.
Vale la pena ritornare su quanto da lei stessa detto, nel luglio scorso a Perugia, quando quell’Università per Stranieri l’ha insignita della laurea honoris causa in Sistemi di Comunicazione nelle Relazioni Internazionali. Dalla sua lectio doctoralis, tenuta in perfetto italiano, mi permetto di citare – a guisa di intervista virtuale – alcuni passi fondamentali. Parlano ampiamente del pensiero e dei sogni di Michaelle Jean. Per noi, italiani nel mondo, sono di orgoglio, di esempio e di stimolo.

Il primo viaggio in Italia
«Sono giunta in Italia negli anni Settanta, anni di grande effervescenza in cui, sulla scia del maggio ‘68, si reclamava a gran voce: l’immaginazione al potere! Mi ricordo le strade animate dalle rivendicazioni degli operai, delle femministe e degli studenti che si davano alla pazza gioia per rovesciare certezze acquisite e inventare un nuovo patto sociale. La parola straripava ovunque e tutto veniva rimesso in discussione, a volte in modo virulento, in un molteplice appello alla libertà».

Le reazioni iniziali e la scoperta
«Ero stravolta sotto l’effetto dell’onda d’urto rappresentato da queste diverse identità, identità del nord e del sud, identità di queste regioni orgogliose della loro storia, identità di uomini e donne che osavano sognare a voce alta nuovi modi di vivere insieme e sentivano l’urgenza di reinventare il mondo. Qui è cominciato per me un nuovo viaggio, diverso la quello che avevo immaginato, un viaggio dal quale non dovevo più tornare e che mi avrebbe condotto su sentieri che non ho ancora finito di esplorare».

Un incontro fondamentale
«Per la giovinetta in fiore che ero allora, un tantino ribelle, che con i genitori era fuggita da un Paese tormentato e ridotto al silenzio dalla dittatura e dall’oppressione, per questa figlia dell’esilio che aveva trovato rifugio e sicurezza in Canada, un Paese dove invece tutto è possibile, l’esperienza italiana è stata un incontro con la potenza della parola.
Lontana da tutti i miei punti di riferimento, ma stranamente vicina all’esuberanza dei Caraibi, l’Italia mi ha dato il gusto di esprimermi e di esplorare a modo mio quello che più mi stava a cuore.
È come se l’incontro con l’altro mi avesse permesso di capire meglio la mia identità. L’Italia mi ha rivelato a me stessa».

Il rientro in Canada e il viaggio della mente
«Dopo un anno esaltante sono tornata a Montréal decisa a prolungare questa esperienza. Alla facoltà di Studi Italiani dell’Università di Montréal mi sono messa a studiare con passione questa lingua e questo modo di esprimersi che m’incantava: lo spirito della lingua italiana mi invadeva e in essa mi sentivo bene. Ho scoperto la profonda meditazione di Dante, le immagini abbaglianti del Petrarca, l’audace vitalità del Boccaccio. Era l’inizio di un meraviglioso viaggio durante il quale ho fatto scalo in mondi di sensazioni e di sensibilità diverse, tappe che si chiamano Foscolo, Moravia, Levi, Sciascia, Morante, Pasolini, Gramsci, Pavese, Pirandello, Eco, Rosi, Visconti, Fellini, Taviani, Antonioni, Strehler, Cavani e... Totò. Un’avventura stimolante».

Di nuovo in Italia
«Grazie alle borse di studio attribuite nel quadro dei rapporti bilaterali italo-canadesi, potevo proseguire la mia ricerca personale nelle Università italiane. Approfittai dell’occasione per estendere il mio studio della lingua e della cultura italiana a nozioni di Etruscologia, soggiogata dalla ricchezza della Storia che mi circondava. Qui il passato si guarda, si tocca, si offre a tutti i nostri sensi. Ogni frammento restituisce il mormorio di una civiltà. Per me proveniente dal Nuovo Mondo che ha fatto tabula rasa della storia precedente la conquista europea delle Americhe, quest’avventura è stata cruciale».

Alla ricerca di un tesoro
«Ero alla ricerca di un tesoro perchè la cultura è un tesoro, un tesoro che attraversa i secoli e che non ha età. La cultura è il divenire perpetuo del mondo. Allorquando la memoria si sbiadisce, ne rimangono gli indizi – segni, pietre, carte, testi – che, a volte, non comprendiamo pienamente. Se sappiamo ascoltarla, la cultura ci parla di qui e di altrove, di vicinanze e di incontri. Per noi che desideriamo indovinarne il principio e le finalità, di comprenderne lo svolgimento per anticiparne il seguito, la Storia, in cui ogni cultura s’incarna, è il respiro del tempo e la testimonianza più commovente del passaggio di uomini e donne sul suo territorio».

L’unica libertà che vince la paura
«Io credo che in questa continua ricerca di senso si trova l’unica libertà che nessuno ci potrà mai togliere: la libertà di capire, delucidare, creare e meravigliarsi; libertà di comunicare; una libertà che non dobbiamo mai considerare acquisita una volta per sempre. In questi tempi difficili minacciati dalla barbarie, in cui la paura dell’altro a volte ci acceca, è importante non dimenticarlo. La nostra libertà e la perpetuazione della nostra esistenza dipendono dalla nostra capacità di pensare. Una persona che non pensa più è una persona che si dimentica. Una persona che si dimentica è votata alla rovina. Una persona votata alla rovina si esclude dalla vita. L’assenza di pensiero conduce alla noia, alla disperazione e, nei casi più gravi, alla violenza».

Immaginando un mondo senza barriere
«La Storia che si scrive sempre al presente esige che ridefiniamo insieme i legami che ci uniscono, quei legami oggi a rischio. Il solo “credo” della domanda e dell’offerta, cui troppo spesso viene ridotta la mondializzazione, non basterà mai a creare questi legami. Piuttosto, e più profondamente, il nostro migliore, se non unico, tentativo di umanizzare l’umanità, sta nel singolare potere che abbiamo tutti di pensare il mondo, di addolcirne gli assalti, proteggerne le fragilità, interrogare le ragioni degli ostacoli incontrati, lenire i dolori e moltiplicarne le gioie. Osiamo immaginare un mondo in cui rifiuteremmo di erigere barriere tra noi, in cui scommetteremmo sui valori che ci uniscono in questo inizio del Terzo millennio. Quale sarebbe la sorte incontrata da un tale pensiero? Audace per gli uni, ingenuo per gli altri, un tale pensiero mi pare comunque essenziale per neutralizzare la stoltezza che si pasce d’ignoranza e che propone come unica possibilità la distruzione».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017