Un'Università proiettata nel futuro
Caxias, Rio Grande do Sul
Quarant’anni di vita, celebrati il 10 febbraio scorso con una messa di ringraziamento nella cattedrale di Santa Teresa, hanno offerto l’occasione per ripensare genesi e sviluppo della UCS, e insieme riproiettarla nel futuro di crescita del brasiliano Rio Grande do Sul. «In questi 40 anni di esistenza la UCS ha messo radici profonde in tutta la regione, identificandosi con essa e dando risposte all’intera comunità: questa è la strada che dobbiamo continuare a percorrere, pensando la UCS come «Università Comunitaria della Serra», e non solo di Caxias do Sul», ha dichiarato il professor Isidoro Zorzi, da un anno rettore della dinamica istituzione. Un filo ideale e insieme reale unisce il cattolico Zorzi, laureato in filosofia, specializzato in sociologia e scienze politiche – e da decenni docente del dipartimento di Sociologia della UCS – al principale ideatore dell’università, e cioè al suo compianto zio, monsignor Benedito Zorzi. Il prelato, da vescovo della diocesi, fu il propulsore dell’alleanza tra la Chiesa cattolica, la Società Scientifica Nostra Signora di Fatima e la Prefeitura Municipal (il comune) per formare l'associazione Università di Caxias do Sul. La Chiesa manteneva le facoltà di Filosofia, Scienze e Lettere, Scienze economiche e Medicina; la Società Fatima, il corso di Diritto e il Municipio quello di Belle Arti. Un esempio di feconda collaborazione tra l’organizzazione ecclesiale e il potere pubblico locale. «Non per nulla la parola “università” – come piace sottolineare al rettore – viene dal latino universitas, cioè unità nella diversità. Per questa ragione la UCS è un luogo di libero dibattito di tutte le forme della conoscenza». Ma come è potuto nascere e svilupparsi un progetto tanto distante da quelli delle nostre illustri superaccentrate e superburocratizzate accademie laiche? Si provi ad immaginare il contesto storico (risaliamo ad oltre 130 anni!) di una realtà dove la religione cattolica, con riti e tradizioni importati dai villaggi di partenza, era stata unico motivo di riferimento identitario per migliaia di famiglie rurali attratte dalla speranza di una vita degna, ma lasciate in stato di abbandono dalla patria di origine e di isolamento da quella di accoglienza. Prova di ciò, oltre alla tradizione orale tramandata da padre in figlio per cinque generazioni, sono una serie di studi dedicati alla colonizzazione italiana nel Rio Grande do Sul, con le sue implicazioni economiche, politiche e culturali. «Per molti anni – afferma il sociologo Olivio Manfroi in una sua opera del 1975, riedita nel 2001 dalla EST di Porto Alegre – vissero nell’isolamento e nell’abbandono, contando unicamente con coraggio sulla forza delle proprie braccia e sulla solidarietà coloniale (dove per coloniale s’intende comunitaria, essendo definiti “colonie” i terreni assegnati e “coloni” i contadini)». E ancora: «Lontani dai centri urbani e commerciali, isolati nel mezzo della foresta vergine, praticamente senza strade e mezzi di comunicazione, gli immigrati – poveri e in stato di necessità – vivevano al margine della società gaucha. In questo contesto di isolamento fisico e sociale, la preservazione della lingua, delle tradizioni e dei costumi fu naturale e spontanea». Ciò spiega, tra l’altro, il fenomeno del Talian, koinè linguistica formatasi e sviluppatasi dalla combinazione di diverse forme espressive in uso nelle zone del lombardo-veneto, comprensive anche di friulano, trentino e tirolese. Parlato, studiato, ampiamente pubblicato a tutt’oggi, e non solo nel Rio Grande, il Talian (che dell’italiano grammaticale ha ben poco) è lingua corrente di comunicazione, seconda solo al portoghese, la lingua ufficiale del Brasile.
«In questo contesto culturale e religioso – leggiamo – il nazionalismo italiano non ebbe eco alcuna e la causa dell’italianità incontrò solo indifferenza. La religione cattolica, peraltro, ebbe uno sviluppo straordinario... Fu la cattolicità e non l’italianità la vera coscienza di gruppo, la forza d’integrazione degli emigranti italiani del Rio Grande do Sul». La cattolicità quindi come identità culturale. Da tutto ciò noi oggi abbiamo molto da imparare e da meditare. Per avere una maggiore umiltà nell’accostare determinate realtà, senza giudicarle a priori e senza pretendere di offrire alternative stridenti, non necessarie, modelli estranei alle stesse. Dalla struttura e dallo sviluppo della società riograndense si ricava un esempio di fede nell’uomo in armonia con la natura e perciò con il divino. Da questa realtà ebbe origine quindi anche la UCS, che resta oggi ben radicata nel territorio e continua nella sua missione di risposta alle reali esigenze dell’attuale sviluppo umano: culturale, economico, politico, sociale, tecnologico, spirituale.
Alcune cifre a sintesi dei quattro decenni trascorsi: 45.300 professionisti formati, dei quali oltre 37 mila solo nel campus di Caxias. Dalle iniziali sei facoltà alle attuali quaranta, con 37.841 alunni e 1.434 professori. Alla fine degli anni ’60, l’università aveva già creato i campus di Bento Gonçalves, Lajeado, Estrela e Vacaria. Vi si aggiunsero in seguito i nuclei di Canela, Guaporé, Nova Prata, Veranopolis, Farroupilha e San Sebastiano do Caí. Oggi la UCS è collegata a 69 municipalità e a un milione di abitanti. «Dobbiamo portare avanti una sola università nella regione – dice Zorzi – ma con campi e nuclei che rispondano alla domanda di ogni microregione. Ciò non significa necessariamente percorsi di laurea, ma anche corsi tecnici, programmi di educazione continuativa». In questi 40 anni la UCS ha conquistato prestigio, e, nonostante la giovane età, è riconosciuta nazionalmente e internazionalmente. Con oltre duecento accordi di cooperazione internazionale firmati con università di cinque continenti, gli accademici hanno possibilità di realizzare interscambi di laurea, post-laurea e stages remunerati. Dal 31 marzo di quest’anno, inoltre, il dipartimento di Relazioni Interistituzionali e Internazionali della UCS raccoglie iscrizioni di laureandi interessati a recarsi per studio, da sei mesi a un anno con crediti riconosciuti, in paesi come Portogallo, Colombia, Spagna, Stati Uniti, Argentina, Francia, Italia, Germania, Canada e Cina. Nello scorso 2006, gli interscambi con altri paesi hanno interessato 343 studenti e 77 docenti della UCS, mentre l’università riograndense ospitava 86 alunni e 106 professori di istituzioni straniere. Il prof. Isidoro Zorzi, giustamente orgoglioso dell’istituzione che regge, altrettanto fiero della lontana padovanità della sua famiglia (originaria di Piombino Dese) oltre che delle sue radici brasiliane (Nova Padua), ha in programma di visitare Padova e il Veneto in maggio.