Roma ha riacceso un interesse sopito

Lorenzo Giuffrè e John Mosca: le storie di due giovani italo-canadesi che hanno rappresentato Vancouver alla Conferenza dei giovani italiani nel mondo.
13 Marzo 2009 | di

Vancouver
«Roma è stata davvero interessante. Mi sono reso conto della cultura italiana contemporanea. Avevo visitato Roma in passato, ma questa volta è stata per me un’esperienza differente. Ho preso parte al workshop su Mondo del lavoro e lavoro nel mondo, tema che realmente sottende un grosso problema a livello mondiale». Così ha esordito Lorenzo Giuffrè quando gli ho chiesto le sue impressioni sulla sua partecipazione alla Conferenza dei giovani italiani nel mondo, svoltasi nel dicembre scorso. Ventiseienne studente universitario con focus sull’Industrial Design, Lorenzo ha alle spalle un curriculum non indifferente: possiede diplomi di scuola superiore e college, oltre a dieci anni di accademia di pianoforte al Royal Conservatory of Music. E, a ragione, può esprimere un pensiero sul mondo del lavoro. Fin da ragazzino ha lavorato, e tuttora lavora part-time, per mantenersi e perseguire la sua vocazione artistica. Facendo il cameriere, il barista, l’operaio generico. Come fanno, in modo ammirevole, quasi tutti gli studenti canadesi nelle ore libere dalla scuola, e durante le vacanze estive e invernali.
Anche il coetaneo John Mosca, che con Giuffrè ha rappresentato Vancouver alla Conferenza di Roma, è stato studente-lavoratore. Ambedue hanno scelto di seguire e dare il loro apporto al relativo workshop. Mosca è laureato in Materie umanistiche alla University of British Columbia, ha frequentato i corsi di lingua e cultura italiana delle Università di Perugia e Siena, alternando studi e percorso accademico a lavori di maschera nelle sale cinematografiche, addetto al censimento canadese, e impiegato di Tourism BC: ente che lo impegna tuttora come ricercatore in iniziative atte a promuovere la British Columbia come destinazione turistica. Sta anche pianificando di frequentare, l’anno prossimo, la facoltà di Legge alla UBC «se mi accetteranno – dice – dopodiché non sono ancora sicuro su quanto vorrò fare». Per ora, come volontario, insegna geografia agli allievi del terzo e quarto grado di una locale scuola elementare.
«Non so se la mia presenza alla Conferenza di Roma sia stata positiva. E se io ero il tipo di persona cui era rivolta questa iniziativa – osserva John –. La mia prima impressione è stata di sorpresa per quanto mi apparissero tutti completamente italiani. Come discendente di quarta o quinta generazione italo-irlandese, inizialmente mi sono sentito spiazzato tra i moltissimi giovani nati in Italia o cresciuti con genitori di lingua italiana. La maggioranza di loro aveva la cittadinanza italiana e manifestava forti legami culturali, sociali e politici con l’Italia. Non io. Detto questo, credo ci siano in Canada e negli Stati Uniti molti italiani che, come me, si identificano principalmente come canadesi o americani, provando tuttavia un’affinità culturale con il Paese dei loro antenati».
I genitori di John sono nati a New York: la madre è di origine irlandese, il padre di origine italiana. «Mio nonno arrivò a New York un secolo fa, proveniente da Gragnano di Campania – rammenta John –. La mia relazione con la lingua e la cultura italiana è frutto di una scoperta tardiva: ero diciottenne quando appresi le prime frasi di italiano all’università, e diciannovenne quando andai per la prima volta in Italia a studiare. Non ero cresciuto in un ambiente italiano e, nonostante alcune tradizioni siano sopravvissute nel tempo, la mia famiglia è, culturalmente, più o meno americana». La penseranno in egual modo i suoi due fratelli maggiori: il ventottenne Pete e il trentenne Matthew? Ne parleranno tra loro?
La percezione di Lorenzo Giuffrè sul tema proposto dal workshop romano appare di ampio respiro. «Con l’avvento dei viaggi aerei, la gente si sposta sempre più e, sempre più velocemente, da continente a continente. Si trasferiscono abilità e tecniche in altri Paesi. Ma non è così facile poiché, spesso, i tempi non ti permettono di “rifare” tutta la tua educazione. Non penso che un Paese possa realmente avere successo nel mondo, se non facilita l’ingresso di nuovi talenti al fine di evitare la stagnazione. Credo che l’Italia, così come molte altre nazioni europee, abbia necessità di persone formatesi altrove, in culture differenti, per avanzare nel mercato globale. Come puoi vendere un prodotto in un Paese come il Giappone se non conosci e non capisci la cultura che sta comprando quel prodotto? Penso ci sia bisogno di uno scambio serio e concreto tra culture, altrimenti sprechiamo tempo e denaro». Una volta completati gli studi in corso, Lorenzo vorrebbe avere un’esperienza di lavoro «per un paio d’anni» nel settore del disegno industriale, specializzandosi e, magari lavorando per un’azienda in Italia. Figlio unico, proviene da una grande famiglia di artisti. «Mio padre è mezzo-italiano: nato a Corfù, in Grecia. Mio nonno, Gian Giuffrè, era nato in Italia, penso in Sicilia. I miei nonni erano vissuti per circa un ventennio a Como». In conseguenza, come vede, sente e vive la sua identità il loro giovane discendente? «È difficile rispondere – ammette – perché sono nato e cresciuto a Vancouver. Avverto molto la provenienza locale, eppure mi sento italiano. Mi identifico moltissimo con cultura, lingua e storia dell’Italia. Mi trovo tuttavia a un bivio: per diventare più italiano debbo andare a vivere in Italia. Dove posso imparare ad essere più italiano rimanendo a Vancouver? Secondo me l’identità è nel carattere e nella formazione di una persona». Per John l’identità è invece una questione di scelta: «Suppongo che, dal momento che ho deciso di perseguire un interesse per lingua e cultura italiana, io ho scelto di identificarmi come italiano».
Dopo l’esperienza romana, entrambi i giovani vorrebbero far parte di qualche gruppo spontaneo di giovani italocanadesi per scambiare insieme idee, e per maturare qualche progetto di comune interesse. Il console generale d’Italia, Vanni d’Archirafi, che li ha ricevuti al loro rientro dalla Conferenza, presente anche il consigliere del Cgie Di Trolio, li desidererebbe coinvolti in un’unica associazione di giovani: «Alcune associazioni hanno avviato iniziative in questo senso, e ritengo sia necessario riportare queste nascenti esperienze in un solco di comune azione» ha dichiarato. Da parte sua, il presidente del Centro Culturale Italiano, Joe Finamore, in un suo messaggio aveva già aperto le porte ai giovani, di qualsiasi provenienza regionale fossero.
«Mi piacerebbe contribuire in qualche modo alla comunità italiana di Vancouver, ma vorrei per ora – finché non avrò completato gli studi – incontrare più gente della mia età, e parlare italiano. Senz’altro vorrei anche presenziare agli eventi culturali del Centro e dell’Istituto – confida Lorenzo, che aggiunge di avere avuto fortuna nell’aggiudicarsi la designazione alla Conferenza da parte del Comites locale, e aggiunge: – Avutane notizia, ho fatto la mia richiesta e sono stato davvero fortunato perché ero il terzo candidato selezionato. Una giovane si è ritirata all’ultimo momento, e così sono stato il numero due. Che fortuna!».
Anche John, che dichiara un «interesse largamente linguistico», vorrebbe conoscere altri giovani «per parlare e imparare insieme, che è la nostra più importante priorità». Di associazionismo tradizionale non se ne parla proprio. C’è veramente bisogno di qualcosa di innovativo. Che segnali trarne?

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017