Non affondiamo la speranza

«Occorre garantire i diritti dei migranti» spiega la portavoce italiana dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. E aggiunge: «La paura si sconfigge con la conoscenza».
16 Settembre 2009 | di

Roma
Volti provati da un’estenuante traversata in mare. Corpi ridotti a scheletri, dopo giorni senza acqua né cibo. Donne con in grembo nuova vita e con gli occhi persi nel vuoto. Gente disperata, fuggita da guerre e carestie, ammassata nella stiva di un’improbabile imbarcazione che tenta di attraversare il Mediterraneo. Con un sogno: trovare dignità e futuro. Per molti di loro questo sogno dura poche miglia. Per altri si infrange in un drammatico attraversamento che non avrà mai fine. Il nuovo «pacchetto sicurezza», varato dal governo italiano, prevede, infatti, che le imbarcazioni dei migranti del mare vengano puntualmente respinte verso le coste libiche. Un provvedimento che fa discutere e rende il dibattito sempre più acceso. A scendere in campo anche l’Unione europea, attraverso il commissario europeo alla giustizia, Jacques Barrot, che ha annunciato un piano-pilota per il diritto d’asilo. «L’Europa – ha auspicato – sia un modello di fermezza contro l’immigrazione irregolare e di umanità nell’accogliere i perseguitati». Il progetto dovrebbe coinvolgere tutti i Paesi europei, con una particolare attenzione a quelli del Mediterraneo, in prima linea. Italia e Malta, dunque, non si troverebbero più sole. Intanto, c’è chi si occupa concretamente di portare aiuto e assistenza a quanti vivono questo dramma. Parliamo dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. Luisa Boldrini ne è la portavoce per l’Italia.
Zerbetto. Possiamo fare il punto sui movimenti migratori provenienti dal Sud del mondo, che tanto fanno discutere in queste settimane?
Boldrini
. «Oggi siamo di fronte a un cambio nella politica di gestione del flusso migratorio del Mediterraneo. E questo mette in discussione alcuni punti fondamentali. Com’è noto, gli arrivi via mare non rappresentano il cuore della questione illegalità. Sulle coste italiane giungono soltanto il 10 o 15 per cento degli irregolari che ci sono in Italia. Questo significa che la stragrande maggioranza degli irregolari entra nel nostro Paese da altre direttrici».
Chi arriva via mare?
«Sono aumentati in maniera consistente i richiedenti asilo. Lo scorso anno il 75 per cento di chi è approdato sulle nostre coste ha fatto, poi, regolare domanda. Sono somali, eritrei, nigeriani, ivoriani: persone in cerca di un’esistenza dignitosa. Circa il 50 per cento di essi ha ottenuto la protezione internazionale».
C’è chi afferma che l’Italia sia la nazione con la più alta concentrazione di rifugiati politici…
«Questo è un mito da sfatare. In Italia ci sono 47 mila rifugiati, ma in Germania ce ne sono 600 mila, nel Regno Unito 300 mila e in Francia 150 mila. Quello che è aumentato, è il numero dei richiedenti asilo nel nostro Paese. Erano 14 mila nel 2007, sono passati a 31 mila nel 2008. E questo è dovuto, soprattutto, alla situazione dei Paesi di provenienza, che non è migliorata».
Il recente provvedimento sui respingimenti ha creato una serie di reazioni a livello nazionale e internazionale, a cominciare dall’Unione europea. Qual è la sua posizione?
«L’Italia, per anni, ha gestito i flussi migratori identificando le persone, dando loro la possibilità di fare domanda d’asilo e consegnando a chi non aveva titolo un decreto di respingimento. Dal mese di maggio, invece, è stato deciso che chiunque tenti di arrivare in Italia via mare deve essere respinto indietro indistintamente, a prescindere dalla condizione individuale. Per l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati questo è un provvedimento che entra in rotta di collisione con il diritto di asilo».
Cos’è cambiato rispetto al passato?
«In passato, chi arrivava in Italia via mare veniva identificato, riceveva assistenza, aveva la possibilità di essere informato sulla condizione di irregolare in cui si trovava e poteva fare domanda di asilo. Oggi, con la nuova politica dei respingimenti, ciò non avviene: tutti indietro indistintamente. Un provvedimento collettivo, questo, che non rispetta i diritti individuali della persona».
L’Italia ha stipulato un accordo di collaborazione con la Libia per quanto riguarda l’attività dei respingimenti. Qual è la situazione attuale?
«Per noi è particolarmente difficile sapere, a tutt’oggi, in quale centro di detenzione vengono portate le persone rimandate indietro dalle motovedette. La Libia non ha mai riconosciuto formalmente l’Unhcr come ufficio di rappresentanza nel Paese, non ha una legge d’asilo e non ha ratificato la Convenzione di Ginevra. È molto difficile offrire aiuto e assistenza a quanti vengono respinti: abbiamo accesso a 4 o 5 centri vicini a Tripoli. Tutti gli altri ci sono preclusi».
Lei ha contestato più volte l’uso del termine «clandestino». Perché?
«Siamo di fronte a delle persone migranti. E come tali vanno trattate. Purtroppo, non tutti hanno il privilegio di avere i documenti. I rifugiati spesso non li possiedono. In Italia è facile diventare irregolari: in base alla legge Bossi-Fini, se un immigrato perde il lavoro e non ne trova un altro entro sei mesi, diventa irregolare. L’invito che noi facciamo agli operatori dell’informazione è di usare un linguaggio preciso, perché diversa è la condizione di queste persone. Il termine «clandestino» è un termine spregiativo, di cui si abusa. Un conto è essere irregolare, altra cosa clandestino».
Il nostro Paese potrebbe fare di più su questo fronte?
«Occorre lavorare sulla conoscenza reciproca e sulla convivenza civile. In Italia, purtroppo, passa l’immagine negativa degli immigrati e dei rifugiati. Spesso sono considerati soggetti pericolosi per la sicurezza. Ci sono immigrati che delinquono, ma la stragrande maggioranza fa il proprio dovere, lavora e vive in pace con tutti. Spesso, poi, si dimentica l’utilità sociale di queste persone, il grande apporto culturale e il grande contributo offerto all’economia italiana».
Papa Benedetto XVI, nella recente enciclica Caritas in veritate, sottolinea l’importanza dell’accoglienza dei fratelli immigrati, invitando tutti ad assisterli e a favorirne l’integrazione. È un riconoscimento anche al vostro lavoro…
«Assolutamente sì. L’invito di Benedetto XVI fa riflettere sulla condizione degli immigrati ed è uno stimolo ad andare oltre luoghi comuni e pregiudizi. È una posizione di civiltà, oltre che spirituale. Noi ci auguriamo che questi messaggi siano davvero ascoltati e messi in pratica da tutti. Spesso siamo tentati di cedere ai pregiudizi e alle paure. Invece bisogna cercare di capire l’altro, immedesimarsi nella sua difficile condizione e andargli incontro».
Come raggiungere una maggiore solidarietà globale?
«Il mondo oggi è una casa comune. Quello che avviene lontano da noi, ci riguarda comunque. Non si possono ridurre gli aiuti allo sviluppo, alla cooperazione, alle emergenze umanitarie e poi chiudere i canali legali dell’emigrazione e dell’asilo. Bisogna riconsiderare uno sfruttamento più equo delle risorse a livello globale, rivedere i meccanismi economici di esclusione di tanti Paesi dai mercati internazionali, rilanciare i negoziati di pace in quelle aree colpite da devastanti conflitti civili».
Qualche esempio?
«In Somalia c’è una guerra che dura da 20 anni. A Mogadiscio la situazione è disperata: migliaia di persone scappano da inaudite atrocità e violenze. E poi ci meravigliamo se i somali arrivano a Lampedusa o a Malta?».
Cosa la preoccupa di più in questo momento?
«Oggi ci sono troppi conflitti, focolai di guerre ancora accesi, pericolose tensioni e una povertà diffusa. Esiste, poi, una minaccia ambientale che penalizza soprattutto i più poveri, perché riduce le risorse disponibili sul pianeta. I responsabili dei singoli Stati non possono rimanere ancorati a posizioni nazionalistiche. Serve una visione globale, che guardi al futuro e al benessere delle nuove generazioni. Occorre tentare di risolvere tante situazioni di povertà e di sottosviluppo con aiuti concreti, impegnarsi per porre fine a tanta sofferenza causata dalle guerre e dalla violazione dei diritti umani».

 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017