Una vita al servizio dei migranti del Nordamerica
L'incontro con gli Scalabriniani ha avvicinato il sacerdote lombardo alle comunità italiane in Canada. Da Montreal a Toronto, il religioso si è fatto promotore di una chiesa universale e mai isolata.
17 Maggio 2011
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Nato a San Lorenzo Araldo, in Provincia di Cremona, nel 1951, padre Pierangelo Paternieri, all’età di dieci anni emigrò con i genitori in Francia, nella Mosella. Dopo aver imparato il francese, si iscrisse a una scuola tecnica e lavorò per qualche tempo in una fabbrica siderurgica. A 21 anni, attirato dall’esempio dei padri Scalabriniani che operavano con gli emigrati italiani, decise di entrare nel loro seminario. I missionari di San Carlo Borromeo sono detti «scalabriniani» dal nome del loro fondatore, il vescovo beato Giovanni Battista Scalabrini che fondò la congregazione a Piacenza nel 1887, per rispondere all’invocazione di aiuto dei suoi fedeli emigrati. Molti gli scrivevano: «Ci mandi un prete, perché qui si vive e si muore come le bestie». L’intento del fondatore era di assicurare un’assistenza umana e spirituale a quei «figli della miseria e del lavoro» che vivevano il dramma dell’emigrazione.
Ordinato sacerdote nel 1979, padre Paternieri venne subito inviato a Montreal, nella parrocchia della Madonna di Pompei, una fra le più grandi e attive della comunità italiana in città. Circa due anni più tardi, si spostò nella parrocchia di san Pasquale Baylon a Toronto, dove rimase per cinque anni. Tornato a Montreal, fu di nuovo assistente nella parrocchia della Madonna di Pompei e, quattro anni più tardi, venne nominato parroco della chiesa Madre dei Cristiani a Lasalle. Seguirono cinque anni da cappellano degli italiani in una grande parrocchia francofona di Laval e sette anni come parroco della chiesa Madonna del Carmine a St. Leonard, prima di tornare, nel 2006, alla chiesa della Madonna di Pompei, in qualità di parroco. Nel settembre 2010, l’arcivescovo di Montreal, il Cardinale Jean-Claude Turquotte, lo nominò vicario episcopale delle comunità etniche e rituali dell’arcidiocesi, una delle cariche di massima importanza a livello diocesano, che esige dedizione, tatto raffinato ed enorme responsabilità.
Msa. Da circa otto mesi è il nuovo vicario episcopale dei gruppi etnici dell’arcidiocesi di Montreal. Quali sono le sue mansioni?
Paternieri. Il mio compito principale è dimostrare sia ai sacerdoti che alle comunità che il vescovo è presente in mezzo a loro e si interessa ai loro problemi. Pur conservando la propria cultura e il proprio modo di vivere, questi gruppi non sono separati dalla diocesi, ma formano un tutt’uno. Recentemente ho visitato la comunità del Congo che ha modi particolari per esprimere la fede. Non si può obbligare il congolese a partecipare ogni settimana alla messa in italiano, inglese o francese; egli ha bisogno del proprio spazio, del canto, del ritmo e della danza intorno all’altare, cui io stesso ho partecipato. È necessario trovare il modo in cui tutti possiamo esprimerci e sentirci fratelli: ciò che ci unisce è il Cristo.
Come realizza concretamente questa missione?
Sono cresciuto tra i preti italiani, ma in passato ho fatto parte anche di diversi comitati diocesani. In quanto membro del consiglio pastorale da 19 anni, ho incontrato 25 comunità etniche e una quarantina di parrocchie. Ho fatto visita ai rispettivi sacerdoti per esaminare le difficoltà riscontrate, sia dal punto di vista sociale che culturale e pastorale, e per studiare insieme come comprendersi e vivere in armonia. Questo è il vero lavoro di comunione, nonché uno dei miei obiettivi: inculcare il concetto di chiesa universale e non di «parrocchietta» isolata.
Come giudica la situazione attuale della Chiesa di Montreal?
Montreal è un vero campo di missione: se alcuni decenni fa era una città rigogliosa e piena di vitalità, oggi sta attraversando una grave crisi religiosa. Le chiese non sono più frequentate, alcune sono persino in vendita e le cattedrali non riuniscono le folle di una volta. Questa situazione rattrista, ma dobbiamo andare alla radice del problema. Non possiamo più basare la nostra fede sulla pratica religiosa o sulle manifestazioni esteriori, dobbiamo costruire la nostra esistenza sull’amore potente del Cristo, secondo l’esortazione apostolica di Benedetto XVI nella «Verbum Domini». È indispensabile mettere la Parola del Signore nella nostra vita; Parola che è espressione, ascolto, preghiera, eucaristia e carità verso l’altro.
Lei ha lavorato in diverse parrocchie e dovunque si è fatto apprezzare per il suo operato. Qual è il segreto dei suoi successi pastorali?
Faccio del mio meglio per ascoltare le persone e apprezzarne le qualità. Di fronte a progetti utili alla comunità gli italiani collaborano; per questo sono riuscito a creare qualcosa di speciale. Ho iniziato la raccolta fondi nella chiesa Madre dei Cristiani perché corrispondeva al desiderio dei parrocchiani di costruire un luogo di culto più grande e idoneo alla loro dignità. Per mettere in evidenza il centenario dalla fondazione della parrocchia della Madonna del Monte Carmelo, grazie alla collaborazione dei fedeli, ho messo la statua della Vergine sulla facciata, dedicato un monumento agli avieri caduti in guerra e restaurato l’interno della chiesa.
Quali sono i pregi della comunità italiana di Montreal?
La comunità è grande e ha avuto il prezioso vantaggio di conservare la sua lingua e le sue tradizioni, grazie soprattutto alle parrocchie italiane. Questa realtà è importante perché le nostre tradizioni simboleggiano chi siamo realmente. La nostra fede, infatti, si esprime attraverso la cultura e le consuetudini.
Pensa che i giovani italiani di Montreal, oltre alla lingua, abbiano ereditato dai genitori anche mentalità e tradizioni?
Purtroppo i giovani hanno trascurato queste importanti realtà, almeno in parte. Non sono entrati nelle associazioni, anche perché gli anziani non hanno voluto cedere potere e responsabilità. Ho notato, tuttavia, che in alcune comunità i ragazzi, pur potendo legarsi a compagnie inglesi o francesi, hanno preferito aggregarsi ai gruppi italiani con cui si sentono più a loro agio. Il legame con la famiglia, poi, è molto forte: usi, costumi e rispetto verso genitori e nonni sono valori tramandati ai figli. E questo è di buon auspicio per il futuro dei giovani in quanto italiani e cristiani.
Ordinato sacerdote nel 1979, padre Paternieri venne subito inviato a Montreal, nella parrocchia della Madonna di Pompei, una fra le più grandi e attive della comunità italiana in città. Circa due anni più tardi, si spostò nella parrocchia di san Pasquale Baylon a Toronto, dove rimase per cinque anni. Tornato a Montreal, fu di nuovo assistente nella parrocchia della Madonna di Pompei e, quattro anni più tardi, venne nominato parroco della chiesa Madre dei Cristiani a Lasalle. Seguirono cinque anni da cappellano degli italiani in una grande parrocchia francofona di Laval e sette anni come parroco della chiesa Madonna del Carmine a St. Leonard, prima di tornare, nel 2006, alla chiesa della Madonna di Pompei, in qualità di parroco. Nel settembre 2010, l’arcivescovo di Montreal, il Cardinale Jean-Claude Turquotte, lo nominò vicario episcopale delle comunità etniche e rituali dell’arcidiocesi, una delle cariche di massima importanza a livello diocesano, che esige dedizione, tatto raffinato ed enorme responsabilità.
Msa. Da circa otto mesi è il nuovo vicario episcopale dei gruppi etnici dell’arcidiocesi di Montreal. Quali sono le sue mansioni?
Paternieri. Il mio compito principale è dimostrare sia ai sacerdoti che alle comunità che il vescovo è presente in mezzo a loro e si interessa ai loro problemi. Pur conservando la propria cultura e il proprio modo di vivere, questi gruppi non sono separati dalla diocesi, ma formano un tutt’uno. Recentemente ho visitato la comunità del Congo che ha modi particolari per esprimere la fede. Non si può obbligare il congolese a partecipare ogni settimana alla messa in italiano, inglese o francese; egli ha bisogno del proprio spazio, del canto, del ritmo e della danza intorno all’altare, cui io stesso ho partecipato. È necessario trovare il modo in cui tutti possiamo esprimerci e sentirci fratelli: ciò che ci unisce è il Cristo.
Come realizza concretamente questa missione?
Sono cresciuto tra i preti italiani, ma in passato ho fatto parte anche di diversi comitati diocesani. In quanto membro del consiglio pastorale da 19 anni, ho incontrato 25 comunità etniche e una quarantina di parrocchie. Ho fatto visita ai rispettivi sacerdoti per esaminare le difficoltà riscontrate, sia dal punto di vista sociale che culturale e pastorale, e per studiare insieme come comprendersi e vivere in armonia. Questo è il vero lavoro di comunione, nonché uno dei miei obiettivi: inculcare il concetto di chiesa universale e non di «parrocchietta» isolata.
Come giudica la situazione attuale della Chiesa di Montreal?
Montreal è un vero campo di missione: se alcuni decenni fa era una città rigogliosa e piena di vitalità, oggi sta attraversando una grave crisi religiosa. Le chiese non sono più frequentate, alcune sono persino in vendita e le cattedrali non riuniscono le folle di una volta. Questa situazione rattrista, ma dobbiamo andare alla radice del problema. Non possiamo più basare la nostra fede sulla pratica religiosa o sulle manifestazioni esteriori, dobbiamo costruire la nostra esistenza sull’amore potente del Cristo, secondo l’esortazione apostolica di Benedetto XVI nella «Verbum Domini». È indispensabile mettere la Parola del Signore nella nostra vita; Parola che è espressione, ascolto, preghiera, eucaristia e carità verso l’altro.
Lei ha lavorato in diverse parrocchie e dovunque si è fatto apprezzare per il suo operato. Qual è il segreto dei suoi successi pastorali?
Faccio del mio meglio per ascoltare le persone e apprezzarne le qualità. Di fronte a progetti utili alla comunità gli italiani collaborano; per questo sono riuscito a creare qualcosa di speciale. Ho iniziato la raccolta fondi nella chiesa Madre dei Cristiani perché corrispondeva al desiderio dei parrocchiani di costruire un luogo di culto più grande e idoneo alla loro dignità. Per mettere in evidenza il centenario dalla fondazione della parrocchia della Madonna del Monte Carmelo, grazie alla collaborazione dei fedeli, ho messo la statua della Vergine sulla facciata, dedicato un monumento agli avieri caduti in guerra e restaurato l’interno della chiesa.
Quali sono i pregi della comunità italiana di Montreal?
La comunità è grande e ha avuto il prezioso vantaggio di conservare la sua lingua e le sue tradizioni, grazie soprattutto alle parrocchie italiane. Questa realtà è importante perché le nostre tradizioni simboleggiano chi siamo realmente. La nostra fede, infatti, si esprime attraverso la cultura e le consuetudini.
Pensa che i giovani italiani di Montreal, oltre alla lingua, abbiano ereditato dai genitori anche mentalità e tradizioni?
Purtroppo i giovani hanno trascurato queste importanti realtà, almeno in parte. Non sono entrati nelle associazioni, anche perché gli anziani non hanno voluto cedere potere e responsabilità. Ho notato, tuttavia, che in alcune comunità i ragazzi, pur potendo legarsi a compagnie inglesi o francesi, hanno preferito aggregarsi ai gruppi italiani con cui si sentono più a loro agio. Il legame con la famiglia, poi, è molto forte: usi, costumi e rispetto verso genitori e nonni sono valori tramandati ai figli. E questo è di buon auspicio per il futuro dei giovani in quanto italiani e cristiani.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017