Alpini 50 anni di solidarieta
Uno per uno/corda alla mano/dove non si passa, passiamo./E la balma di roccia ci ricoprirà /e l";acqua di neve ci disseterà ;/la penna il fulmine domesticherà /la nebbia il sole l";avvamperà /quando l";alpino passerà ». Sono versi del poeta Piero Jahier, tratti dalla raccolta Con me e con gli alpini (1919) ispirata dalle vicende della prima guerra mondiale. Gli alpini non sono però solo impegnati durante le vicende belliche o con mansioni militari, bensì si sono segnalati con numerose iniziative di solidarietà e di aiuto anche in tempo di pace e in ambiti diversi. Ne parla con una precisa documentazione il libro Alpini di pace di Giovanni Lugaresi (edizioni Il Prato, Padova, pagine 210, euro 12).
Lugaresi, giornalista, scrittore e autore di numerosi volumi di saggistica "; segnaliamo per tutti quelli su Giovannino Guareschi e su Giuseppe Prezzolini "; ripercorre mezzo secolo d";impegno delle penne nere dell";Associazione Nazionale Alpini sul fronte della solidarietà , mettendo in luce le imprese più importanti e significative compiute in Italia e all";estero. Da Bassano del Grappa al Friuli, dall";Europa all";Africa, dalla Francia all";Armenia, queste pagine documentano la generosità , l";impegno e le capacità di questi soldati in congedo che non si ritengono mai «ex» ma sempre alpini.
Cappello, spirito di corpo e cuore sono tutt";uno per gli alpini; ma come definire il primo che contraddistingue anche gli altri due? Proviamo a farlo con le parole di Giulio Bedeschi: «È impossibile spiegare cosa significhi, per gli Alpini, il loro cappello. Cosa sia, è presto detto: un copricapo di foggia piuttosto strana, al tempo stesso popolaresca e antica, con una cupola di panno infeltrito fornita di un";ala che le gira attorno, sul davanti abbassata verso gli occhi e, all";indietro, rialzata sulla nuca; e una penna, infine, proterva e scanzonata, puntata dritta verso il cielo dal lato sinistro del cocuzzolo. Ma cosa quel cappello significhi, nessun alpino ve lo saprà mai dire per intero. Perché, a spiegarlo, non si tratta di usare parole ma la vita; si tratta della particolare maniera in cui sono riempiti i giorni, le ore, i momenti della vita».
E don Carlo Gnocchi, nel libro Cristo con gli alpini, sottolineava come questi soldati abbiano il sacrificio nel sangue e che la religione, per loro, «non è mai un momento o un episodio; è uno stato, una forma, un modo di vita: sangue vivo e succo vitale. Una disposizione permanente e quasi istintiva verso l";eterno che dà sapore e colore a tutte le manifestazioni della loro vita». Ecco definirsi lo stile e la motivazione profonda di questo corpo che traspare nella volontà e nella tenacia con cui sono state svolte e portate a termine le iniziative descritte nel libro.
Una di queste riguarda la Bosnia-Erzegovina, martoriata terra balcanica colpita dalla tragedia della guerra negli anni Novanta. Gli alpini sono stati coinvolti direttamente nel progetto «Una scuola per l";Europa» a Zenica, a sessanta chilometri da Sarajevo. Il progetto prevedeva l";ampliamento di una scuola già esistente, il cui programma comprendeva l";intero ciclo scolastico: dalle elementari all";ultimo anno delle superiori. Lo scopo era accogliere alunni delle tre etnie (bosniaci di religione musulmana; croati di religione cattolica; e serbi di professione ortodossa), cercando di ricostruire i rapporti di convivenza e di collaborazione pacifica che la guerra aveva spezzato nelle vite dei loro padri: questo l";alto ideale del cardinale di Sarajevo, Vinko Puljic, e del suo ausiliare, monsignor Pero Sudar. Dal novembre 2000 al gennaio 2002 i volontari alpini hanno lavorato con successo, costantemente benché in turni diversi: e l";inaugurazione della nuova struttura è avvenuta il 16 febbraio 2002.
Un";altra iniziativa di valore è stata l";aiuto recato in Francia, precisamente in Dordogna (Francia di sud-ovest, a più di ottocento chilometri dal confine di Ventimiglia) durante l";alluvione di fine dicembre 1999. Questo dipartimento francese era stato sconvolto da un vero e proprio cataclisma, con raffiche di vento fino a 150 chilometri orari e piogge violentissime, abbattimento di alberi e interruzione di linee elettriche. Il governo francese lanciò un Sos a quello italiano ed ebbe una risposta nel giro di ventiquattr";ore, con l";invio di 236 volontari che lavorarono per 1.916 giornate operative complessive, sgombrando 336 chilometri di strade e tagliando oltre 16 mila metri cubi di legname. Un lavoro apprezzato e riconosciuto sia dalle popolazioni locali sia dalle autorità : citiamo per tutte la telefonata di ringraziamento fatta dal presidente francese Jacques Chirac al presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, e le parole del console generale di Francia a Milano, Alain Rouillard: «Conserveremo un ricordo imperituro del vostro aiuto».
La più emblematica tra tutte è, però, l";Operazione sorriso a Rossosch, in Russia, cinquant";anni dopo la battaglia di Nicolajewka. Una battaglia svoltasi nel gennaio 1943, su cui sono state scritte pagine e pagine di letteratura e di testimonianza, da Mario Rigoni Stern a Giulio Bedeschi "; per citare solo i più famosi. Uno dei reduci di quella battaglia, il bresciano Ferruccio Panazza (venticinquenne sottotenente nel 1943) ebbe negli anni Novanta l";idea di realizzare qualcosa che ne ricordasse l";anniversario. Un segno visibile, tangibile, che durasse nel tempo; che non fosse dimenticato ma servisse come monito ai posteri. Dieci anni prima, a Brescia, gli alpini avevano costruito, con oltre ottantamila ore di lavoro, una scuola per spastici e miodistrofici "; che da allora continua a funzionare. Quello, non un cippo o un monumento bellico, era stato il ricordo di un drammatico evento di guerra. Perché, pensò Panazza, gli alpini d";Italia non avrebbero potuto creare qualcosa di simile anche a Rossosch?
La sua idea, presentata al presidente dell";ANA, e quindi al suo consiglio nazionale, fu approvata, e nell";ottobre del 1991 una delegazione di alpini, capeggiata dallo stesso Panazza, si recò a Rossosch e propose al suo sindaco la costruzione di un asilo: dove cinquant";anni prima c";erano state morte e devastazione, si voleva creare una struttura utile alla vita e alla comunità . Le autorità locali accettarono, anche se con qualche iniziale diffidenza; e si diede il via all";operazione. Molte furono le difficoltà da superare e gli aspetti organizzativi da affrontare: dalla ricerca dei fondi e dei materiali necessari, a quella degli uomini; dalla loro selezione, in base alle capacità e ai turni di disponibilità , al viaggio: Rossosch è a ben 18 ore di treno da Mosca. In due anni di lavoro, svolto con competenza e dedizione, l";asilo fu pronto per essere inaugurato il 19 settembre 1993. Ed è tuttora funzionante: con l";aggiunta, in un";aula speciale, di un laboratorio linguistico per cittadini russi che vogliono imparare l";italiano. Una tappa, tutta alpina, in più verso la conoscenza e la collaborazione tra le nazioni e i popoli.