I valori della propria lingua

Servono buona volontà, intraprendenza e impegno per fare tesoro del valore inestimabile rappresentato dalla nostra lingua e dalla nostra cultura.
15 Marzo 2007 | di

Montréal

È la prima volta, a quanto ci risulta, che un ambasciatore d’Italia in Canada si rivolge, con una lettera aperta, alla comunità italiana per esaminare lo stato attuale dell’insegnamento della lingua italiana in questo paese e, soprattutto, per esprimere la forte preoccupazione per una possibile estinzione se non si correrà, quanto prima, ai ripari. Una presa di posizione forte e coraggiosa quella dell’ambasciatore che dimostra come gli stia a cuore il problema oltre la pura diplomazia.

Nella lettera egli non nasconde come, nel primo anno in cui giunse in Canada, girando in lungo e in largo le dieci province, provasse emozione nel sentire i nostri italiani «parlare la nostra lingua». A questo sentimento aggiunge, però, un’amara constatazione «dopo aver visitato più volte le province del Canada sono giunto alla conclusione che, tra dieci-quindici anni, di tutto questo patrimonio non rimarrà più nulla. Già la terza generazione di italo-canadesi non ha più appreso l’italiano in famiglia perché i genitori non lo sapevano o non avevano interesse a insegnarlo ai figli. Molti ragazzi hanno ancora occasione di ascoltarlo nelle scuole, ma solo nel caso in cui vivano in aree di intensa concentrazione dell’emigrazione italiana come Toronto e, di sicuro, se ricorderanno qualche frase o esclamazione, sarà in occasione del prossimo successo sportivo dell’Italia. Ciò che preoccupa è, piuttosto, il fatto che la quarta generazione, quella appena nata o che sta per nascere, l’italiano non lo parlerà più e, forse, non riuscirà nemmeno a capirlo. Per la comunità d’origine italiana, per tutti quei canadesi nati da matrimoni fra italiani e non italiani e per l’intera società canadese ciò comporterà, allora, un impoverimento grave». Nel cercare le ragioni del progressivo estinguersi del patrimonio linguistico l’ambasciatore conclude affermando, senza mezzi termini, che «tutto ciò è il risultato di una sciatteria culturale che non è degna né dell’Italia né del Canada».

Per un quadro più completo e obiettivo della questione va riconosciuto e sottolineato l’impegno delle nostre comunità nel mantenere la continuità di una lingua viva come l’italiano. Se l’ambasciatore porta ad esempio la città di Toronto come una delle aree di «intensa concentrazione di emigrazione», noi vorremmo affiancare un’altra esperienza, altrettanto radicata, come quella che si può ritrovare nella città di Montréal, 250 mila abitanti, nella quale si insegna l’italiano a vari livelli e attraverso numerose iniziative. I più conosciuti sono i corsi di lingua italiana del sabato gestiti dal Picai: un ente privato, sovvenzionato dal governo italiano che gestisce le scuole da oltre trent’anni finanziati, in parte da i genitori degli alunni e, in gran parte, dal governo italiano. Gli alunni di tutte le età – si va dalle classi delle materne fino alle sei classi elementari e alle cinque classi delle medie frequentati dai ragazzi delle High School – vanno a scuola per tre ore, nei sabati da settembre ad aprile. Nelle stesse scuole del Picai vengono promossi, sempre il sabato dalle 9 alle 12, lezioni rivolte agli adulti.

I corsi sono sorti negli anni Cinquanta, in seguito ad una necessità: i figli dei nostri connazionali frequentavano le scuole inglesi e riuscivano, a stento, a comunicare con i genitori che parlavano appena un po’ d’italiano, peraltro, quasi sempre, misto al dialetto. La prima scuola, con una sola classe, nacque nel 1959. Fu un successo e, con l’aiuto delle parrocchie, negli anni successivi, se ne aprirono altre, in diverse zone della città. Le prime scuole erano gestite dalle commissioni scolastiche. In seguito nacque il Picai. In aggiunta ai corsi del Picai ci sono i corsi Pelo organizzati da alcune commissioni scolastiche e, in quattro scuole, ci sono corsi d’italiano integrati nell’orario scolastico. Alcune scuole private includono l’italiano nei loro programmi e alcuni enti, come il Centro Culturale della Casa d’Italia e il Centro Leonardo da Vinci, organizzano corsi di lingua italiana per adulti. Il grande «buco nero» si trova, purtroppo, nelle High School che corrispondono al nostro liceo, all’interno delle quali, per ragioni inspiegabili, i corsi di italiano sono rari. Sembra che gli allievi di origine italiana di queste scuole preferiscano frequentare corsi di spagnolo. Ci sono poi i Cegep e le Università, realtà queste ultime conosciute dal professor Filippo Salvatore, docente di Italianistica all’Università Concordia e presidente dell’Apiq, l’Associazione degli insegnanti di lingua italiana del Québec, al quale abbiamo chiesto una panoramica sullo stato di fatto. «In alcuni Cegep vengono organizzati corsi d’italiano, ma, per la verità, non sono molti. Nelle quattro università della città di Montréal, per fortuna, ci sono corsi di lingua italiana frequentati da italiani e anche da stranieri. In almeno due di queste università ci sono corsi molto avanzati, al termine dei quali, si ottengono certificati di studio che danno una qualifica per l’insegnamento della lingua italiana». Non a caso, nelle scuole del Picai, ci sono giovani insegnanti che hanno frequentato corsi universitari di questo tipo.

Se ai 3500 alunni che frequentano i corsi del Picai aggiungiamo almeno altri tremila che apprendono l’italiano in tutti gli altri enti, si arriva a 6500, pari a più del cinquanta per cento del totale degli studenti di origine italiana che frequentano le scuole normali. Il quadro appare quindi lievemente meno allarmante di quello tracciato, pur giustamente, dall’ambasciatore, col suo accorato appello. Qualcosa di molto simile si può verificare anche per Toronto e per l’Ontario dove, secondo i dati del Centro scuola, gli alunni di origine italiana che frequentano i corsi di lingua sono trentaduemila, senza parlare delle varie università, soprattutto della Brook University, dove, secondo il professor Mollica, vengono dati in sensibile aumento. «Alcuni anni fa, il Consiglio della Lingua Francese del Québec, che monitorava da tempo le tendenze dei gruppi etnici nei riguardi della lingua francese – prosegue il professor Salvatore – elaborò una statistica secondo la quale, su 250 mila italiani che risiedevano nel Québec, ben 133 mila parlavano italiano in famiglia: una situazione allora accettabile. Oggi, purtroppo, l’impoverimento paventato dall’ambasciatore va ricercato nel fatto che, col cambio generazionale, in famiglia, si parlerebbe molto meno italiano». Sempre secondo l’ambasciatore, si potrebbe rimediare a questa lacuna partendo «dai primissimi anni di vita del bambino, quando l’italiano andrebbe affiancato, naturalmente e senza sforzo, all’inglese e al francese come terza lingua», quindi, anche nelle scuole materne e nelle primarie.

In via teorica questa proposta sarebbe destinata a funzionare, nella pratica, però, si potrebbe applicare, di fatto, solo nelle poche scuole dove la maggioranza degli alunni è di origine italiana e dove la lingua italiana viene richiesta dai genitori. Occorre, altresì, ricordare che, dietro a questo sistema, ci sono migliaia di altri bambini che frequentano le numerose scuole sparse ovunque, in tutte le città, che non sono la maggioranza e che, pertanto, rischierebbero di rimanere tagliati fuori da questo processo.

Pur non rinunciando all’integrazione della lingua italiana in alcune scuole, risulterebbe molto più utile moltiplicare e potenziare i corsi del Picai attraverso i quali si può raggiungere la grande maggioranza, senza gravi sforzi e con la partecipazione finanziaria dei genitori. Dietro questo processo pedagogico assumono un grande ruolo le nostre comunità, piccole o grandi che siano, che si trovano nelle varie città. La lingua italiana deve essere una loro espressione, a tutti gli effetti, che esprime una precisa identità. Occorre, allora, soltanto un ragionato impegno tale da non ripetere quello che è accaduto a Toronto, pochi mesi fa, quando si sono riuniti a congresso gli appartenenti alle Associazioni di giovani italiani del Canada e gli organizzatori, tra i quali persino i componenti di alcune associazioni e il console stesso, si sono espressi in inglese.

È necessario, secondo molti di noi, creare un comitato comunitario che si occupi della promozione della lingua italiana, coinvolgendo associazioni, club e parrocchie all’interno delle quali si parla italiano. In secondo luogo, non per questo meno importante, bisognerà orientarsi verso la divulgazione di una cultura che sia alla portata di tutti e non di un’élite, potenziando e coordinando meglio gli enti che già esistono. Una considerazione che arriva da un dato di fatto verificato sul campo, in particolare, nelle diciannove scuole del Picai di Montréal dove ci sono classi materne con bambini di quattro e cinque anni, figli di giovani della terza generazione di italiani.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017