Mai più stranieri

La scuola deve educare al rispetto della propria identità. L'esperienza di docenti e studenti italici a Zurigo tra bilinguismo e integrazione.
21 Maggio 2007 | di

Zurigo

«Sono orgogliosa del mio cognome svizzero, ma le mie emozioni sono tutte italiane». Ha le idee chiare Laura Zwyssig, nata tredici anni fa da papà Roland e mamma Clorinda, italiana di seconda generazione.

Laura e Clorinda possono essere scelte ad esempio di quella che oggi può definirsi la comunità italiana in Svizzera. Non più semplice «forza lavoro» e nemmeno aliena alla società elvetica, la comunità tricolore si è in gran parte integrata lasciando spesso dietro di sé, una volta arrivata al traguardo della pensione, figli che hanno scelto di rimanere in Svizzera o che nel Paese hanno trovato il loro futuro sentimentale.

«La ragazza italiana in una scuola svizzera non è più considerata una straniera. La nostra integrazione è talmente profonda da non poter immaginare, oggi, una Svizzera senza noi italiani – racconta Clorinda Gaetani – arrivata a Zurigo da Melpignano, in provincia di Lecce. Essendo sposata con uno svizzero, è stato molto più facile per me potermi integrare nella cultura locale. In alcune situazioni sembro io la svizzera, mentre in altri momenti esplode in me il carattere italiano: emotivo, impulsivo, cordiale. Penso da svizzera ma mi emoziono da italiana!».

«Da quando sono partiti i nonni – precisa Laura – non ho più molte occasioni di esercitare l’italiano, ma la conoscenza della lingua mi aiuta nello studio del francese. In famiglia teniamo vive molte tradizioni, ad iniziare da quelle gastronomiche cui anche mio padre non può ormai rinunciare».

Sono tanti i ragazzi italiani che vivono le emozioni da italiani, nella loro crescita svizzera. Anche per loro, le scuole italiane rappresentano un validissimo baluardo contro lo spaesamento e contro la perdita d’identità. E se fino a vent’anni fa la scuola italiana in Svizzera rappresentava solo un’appendice del sistema scolastico elvetico, oggi lavora fianco a fianco con il tessuto locale per offrire un ventaglio di scelta più consono alla doppia identità.

«Se in passato – spiega il professor Renzo Tonolo, docente incaricato dal Ministero degli Affari Esteri presso l’Istituto Scolastico Casa d’Italia di Zurigo – le scuole italiane si configuravano soprattutto come scuole d’emigrazione, concepite per rispondere alle esigenze dei connazionali che desideravano fornire ai propri figli un’istruzione e una formazione italiana per un agevole inserimento nelle scuole del nostro Paese, negli ultimi anni si è fatta sempre più manifesta l’esigenza di un migliore inserimento degli utenti nel territorio e nella realtà locale attraverso la conoscenza della lingua tedesca. La seconda e terza generazione dell’emigrazione italiana necessitano, però, di un servizio più dinamico e più efficace per l’inserimento nel sistema scolastico svizzero. Per molte famiglie, inoltre, il prospettato rientro in Italia viene dilazionato indefinitamente nel tempo».

Strutturata sul doppio binario la scuola elementare e la scuola media Fermi, la Casa d’Italia ha puntato sull’introduzione graduale di classi bilingui progettando un tipo di scuola che da un lato conservi l’identità di un’istituzione italiana, e dall’altro offra la concreta possibilità di acquisire una solida competenza nella lingua e nella cultura del Paese ospitante.

«L’apertura verso la cultura svizzero-tedesca – prosegue Tonolo – tiene conto delle variazioni nell’utenza scolastica conseguenti alle trasformazioni intervenute all’interno della comunità italiana residente nel Cantone: gli italiani di seconda e terza generazione rappresentano per la maggior parte una comunità relativamente stabile, incline a progettare il proprio futuro nel territorio elvetico piuttosto che in quello italiano. Anche per questo è stato rafforzato l’insegnamento della lingua tedesca».

«I rapporti tra corpo docente e genitori – afferma Elisabetta Allegri, insegnante della Fermi – sono generalmente buoni e improntati alla collaborazione e alla critica costruttiva. Quello che mi sembra piuttosto singolare è che raramente le famiglie cercano il contatto con i docenti per discutere di questioni di didattica e comportamento dei figli, soprattutto nei casi in cui gli alunni hanno evidenti problemi. È vero che spesso entrambi i genitori lavorano, e hanno poco tempo da dedicare ai figli ma la loro assenza amplifica la difficoltà di scelta futura dei ragazzi, stretti tra due sistemi scolastici poco compatibili, sia per quanto riguarda i tempi di frequenza che per quanto riguarda il curriculum scolastico, molto più di orientamento tecnico-scientifico nella scuola svizzera».

La Casa d’Italia, per ovviare alle difficoltà del percorso scolastico, promuove molte opportunità di conoscenza e partecipazione a iniziative culturali, sportive e ricreative, al fine di favorire l’integrazione degli alunni nel tessuto sociale locale tramite l’approfondimento della conoscenza del territorio e della lingua tedesca. Un percorso che trova uno specifico sbocco negli istituti superiori di lingua italiana come il prestigioso Liceo Artistico Italo-svizzero Freudenberg o il liceo Vermigli, fondato nel 1978, e legalmente riconosciuta dallo Stato italiano e da quello svizzero. Interamente gestita dai genitori degli alunni frequentanti, la scuola non ha un proprietario, non persegue nessuna finalità di lucro e vive interamente delle rette e delle sovvenzioni ministeriali. Nato inizialmente come Liceo Linguistico, oggi offre anche un indirizzo scientifico e uno classico, ospitando ragazzi che vivono una nuova stagione dell’integrazione italo-svizzera, spesso ammantata di vecchi stereotipi.

«Ho avuto difficoltà non nell’adattarmi alle regole e allo stile di vita, ma alle persone che mi insultavano continuamente a scuola. Questo ha reso tutto più difficile ed è stato un grande ostacolo per la mia integrazione in un Paese straniero. Non credo si possa fare molto per cambiare questo: prima di tutto bisogna iniziare da se stessi! Credo dipenda sempre dai principi e dall’educazione che ci sono stati trasmessi dalla nostra famiglia, non credo che qualcuno possa nutrire odio contro una persona che non conosce, solo per la sua nazionalità, da un giorno all’altro senza che il suo odio sia stato incitato da qualcuno»: nelle parole di uno dei ragazzi del Vermigli si riassumono tutte le dinamiche di una lotta antica per vincere la scommessa dell’accettazione.

Uno dei compiti fondamentali della scuola resta dunque quello di educare a recuperare le radici e la cultura di cui il mondo moderno si è finora alimentato, per potersi inserire in esso in maniera consapevole e critica. «Essendo nata qui a Zurigo mi trovo abbastanza bene, mi sono abituata alla mentalità svizzera e al modo di fare di qua; in parte mi sono anche adeguata. Comunque cerco di curare la mentalità italiana e di ravvivare le radici della mia famiglia che è italiana. Penso che se si va in un altro Paese bisogna in parte integrarsi. Intendo dire che è importante accettare e rispettare le regole del Paese in cui si vive, ma non bisogna trascurare i valori del Paese da cui si proviene». Parola di un futuro cittadino europeo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017