Il destino dell’Istituto italiano di cultura di Melbourne. Cultura, madre del business
Il direttore, Ostelio Remi, indica la strada per ridare lustro e prosperità in Australia e nel mondo a questi enti che promuovono l'immagine moderna dell'Italia. Il nuovo ruolo delle Regioni.
Melbourne
Si chiama «Casa dei tre Olmi» (Tree Elm House) ed è la sede dell'Istituto italiano di cultura di Melbourne dal 1975. È proprietà dello Stato italiano. Si trova in uno dei quartieri «nobili» della città , a South Yarra, ed apparteneva a una famiglia di grande prestigio, quella dei «Brooks» che diede all'Australia diversi campioni di tennis. In questa splendida residenza venne organizzato anche un ricevimento per il presidente americano Johnson.
Oggi è il piccolo regno di Ostelio Remi, il direttore dell'Istituto, che da oltre tre anni gestisce con competenza e dinamismo la massima istituzione culturale italiana di Melbourne che non è una sede facile. Potrebbe sembrarlo a causa della presenza in città di decine di migliaia di italiani di ben tre generazioni, ma per troppi anni ha avuto un rapporto elitario con la comunità italiana. La quasi totalità dei nostri connazionali, infatti, ha sempre pensato che l'Istituto fosse un ente di rappresentanza del governo italiano accessibile a studiosi australiani e a un numero ristretto di persone con una buona base culturale.
Remi ha dato un nuovo impulso all'Istituto. Ha spalancato le porte a tutti coloro che si mostrano interessati alla lingua e alla cultura italiana in ogni forma di espressione. Ha conosciuto bene i problemi dell'emigrazione. La sua famiglia è di Urbino. Il padre è stato minatore in Belgio, e Ostelio Remi ha vissuto in quel Paese per undici anni, tra infanzia e prima giovinezza. In Italia, dopo la laurea, ha insegnato Letteratura francese al Liceo classico e all'Università di Urbino. Prima di venire a Melbourne è stato funzionario presso l'Istituto italiano di cultura di Beirut, in Libano, per 6 anni, dall' '88 al '94. I suoi hobbies sono il ciclismo (che ha praticato con successo fin da giovane) e la fotografia.
La filosofia di Remi
L'Istituto è per tutti. Non è esatto credere che sia un'organizzazione riservata a pochi. In un primo tempo poteva sembrare così poiché gli Istituti italiani di cultura vennero creati nel 1940 con l'intento di offrire alle nazioni estere un'immagine trionfale dell'Italia «fascista». Erano dunque destinati alla comunità locale. In quegli anni gli emigrati italiani avevano bisogno di pane e lavoro e non di retorica.
Con i nuovi indirizzi dati di recente dal ministero degli Esteri ai 91 Istituti italiani di cultura in 57 Paesi dei 5 continenti, il compito di questi enti abbraccia la collettività nel suo insieme, senza distinzione tra persone autoctone o di origine italiana.
Il parere di Ostelio Remi: «I nostri connazionali non potevano trasmettere ai loro figli lo stimolo dei valori culturali. Si preoccupavano dell'aspetto economico della vita: un lavoro ben remunerato, una casa, una carriera. Ma ora hanno più tempo libero, più sensibilità per la cultura e l'arte grazie al costante flusso di informazioni veicolato nelle loro case da giornali, radio, televisione, ecc. I giovani di seconda generazione sono in grado di recepire un discorso culturale e di avvicinarsi con interesse e curiosità alla nostra lingua e cultura».
Remi ha il merito di aver diversificato enormemente le iniziative per promuovere la cultura italiana. Innanzitutto offrendo programmi sia in italiano che in inglese, e poi organizzando manifestazioni, spettacoli, serate di diversa natura e a ritmo ininterrotto, quasi martellante. Anche a scapito del numero di presenze.
«L'importante - afferma Remi - è che l'Istituto abbia un ruolo attivo nella comunità , e qualcosa da offrire a tutti. La scheda riassuntiva delle attività del 1997, inviata al ministero degli Esteri, è uno specchio del lavoro che abbiamo svolto: concerti di musica sinfonica e di cantautori popolari; conferenze su arte, storia, letteratura, sociologia, economia, cinema ecc.; rappresentazioni teatrali; serate comunitarie in collaborazione con le associazioni delle regioni d'Italia; presentazione di libri di autori italo-australiani; mostre di pittura, scultura, mosaico, fotografia; serate filmiche; commemorazioni di scrittori, convivi letterari dedicati alla Società Dante Alighieri; sfilate di moda; concorsi di favolistica; serate di premiazione, ecc.
Ai corsi di lingua e cultura italiana per principianti, e a livello elementare, intermedio e avanzato, vi sono state 298 iscrizioni - aggiunge Remi - . Molte iniziative sono state prese in collaborazione con le istituzioni artistiche di Melbourne come la Galleria Nazionale, il Festival Internazionale delle Arti, ecc. In questi anni la stampa australiana ha dedicato diversi articoli all'Istituto italiano di cultura, e questo è un onore per me e per la comunità italiana».
L'Istituto di Melbourne ha preso un orientamento popolare, di servizio alla comunità su richieste culturali specifiche, pur mantenendo certi programmi di grande impegno finanziario.
Disponibilità delle Regioni
Il budget destinato agli Istituti italiani di cultura ha subito un taglio, e Melbourne ne ha sofferto più di altri. Ma quando si chiude una porta, si aprono delle finestre. Alcune Regioni sembrano propense a investire in progetti di cultura che poi risulteranno remunerativi anche sul piano economico.
Afferma il direttore Remi: «La via nuova per il successo degli Istituti italiani di cultura potrebbe passare proprio per le Regioni. La mia esperienza è incoraggiante. La Regione Piemonte ha sponsorizzato una mostra di pittura nella sede dell'Istituto e ha donato tre opere di valore; la Regione Abruzzo ha patrocinato una mostra fotografica, la tournée a Melbourne di un gruppo femminile di musica da camera e i concerti dell'«Ensemble Tosti» per il quale ha stanziato 80 milioni di lire; le Marche hanno offerto alloggio e corsi di lingua italiana, per interessamento dell'Istituto, a un gruppo di borsisti; la Calabria ha chiesto all'Istituto di farsi promotore di una selezione di giovani per frequentare corsi di specializzazione nelle università calabresi; la Sardegna ci ha regalato una tournée del gruppo «Tazendas» e una mostra di prodotti tipici dell'isola; l'Emilia-Romagna sarà presente al prossimo Festival Internazionale di Melbourne con una mostra di ceramiche di Faenza (102 pezzi) dal medioevo allo stile liberty. Le Regioni italiane hanno una base di corregionali in tutti i Paesi della grande emigrazione e desiderano gettare un ponte per promuovere i loro prodotti e aprire il turismo. In questo progetto si possono inserire gli Istituti italiani di cultura».
Ostelio Remi, per primo, ha introdotto anche il sistema di far pagare, con un contributo minimo, le persone non iscritte nella lista dei soci dell'Istituto che assistono a una manifestazione. Vedremo se questo tentativo di autofinanziamento dell'Istituto italiano di cultura di Melbourne avrà un seguito quando Remi lascerà l'Australia. Il suo successore erediterà un calendario fittissimo di attività .
Le conseguenze
del declassamento
Non è incoraggiante, per una persona di grandi idealità e di instancabile dedizione, la notizia che l'Istituto italiano di cultura di Melbourne (così come molti altri nel mondo) è stato declassato e diventa una «sezione» di quello di Sydney: sono gli unici due in Australia. Di questa situazione ha discusso il Comitato degli italiani all estero (Comites) del Victoria e Tasmania, presieduto dal professor Piero Genovesi, nella seduta del 30 aprile scorso. È stata votata all'unanimità una mozione nella quale si sottolinea che: «La comunità italiana di Melbourne, la più consistente sotto il profilo numerico e degli interventi linguistico-culturali e bilaterali a favore della comunità italo-australiana (...) chiede che il declassamento non si traduca in una riduzione dei programmi e degli investimenti in campo culturale e scolastico e che il ministero degli Affari esteri sia informato della forte e sentita protesta, e predisponga in tempi brevi una coerente serie di interventi a sostegno della promozione della lingua e della cultura d Italia».
Il declassamento si traduce inevitabilmente in una decurtazione di fondi e di personale. Forse non è un male se ciò riuscisse a risvegliare nella comunità un senso di bisogno che a sua volta si traduce in una fattiva collaborazione. Il direttore Ostelio Remi ha già reclutato dei volontari, e spera che il volontariato sia un domani una fonte di personale fresco ed entusiasta.