Italians si diventa
Crema
Una volta era stato lui a chiederlo a Indro Montanelli: «Chi sono gli italiani?». Il maestro, come suo solito, non ci era andato tanto per il sottile: «Siamo inaffidabili, poco leali – aveva sentenziato – però sappiamo stare in piedi come nessun altro». Ora siamo noi a girare a Beppe Severgnini l’interrogativo. Anche se non parliamo propriamente di italiani, ma di Italians. Già, quelli con la «I» maiuscola, forse non solo per via della dizione anglofona. A tutti loro – studenti Erasmus, ricercatori emigrati per scelta o per necessità, professionisti affermati e gente comune – il giornalista del «Corriere della Sera», noto per i suoi viaggi all’estero e per i suoi «interismi», ha dedicato una serie di incontri, un forum e un libro. Italians, per l’appunto, Il giro del mondo in 80 pizze, edito da Rizzoli. Ora diverrà anche un film. Lo dirigerà il regista Giovanni Veronesi, che gli ha chiesto in prestito il nome. Già, perché Italians è un marchio registrato.
Mastromatteo. Chi sono, insomma, questi Italians e perché sono importanti?
Severgnini. «Li ho chiamati Italians perché è il nome con cui ci conoscono nel mondo e siccome la lingua del mondo è l’inglese, era un modo per semplificare. Si tratta della nuova emigrazione italiana, che è “professionale”. Si parte dallo studente Erasmus per giungere al ricercatore e al dirigente d’azienda. Agli Italians ho dedicato il forum nel 1998, la rubrica del “Corriere” nel 2000, il libro recente e le “pizze”».
Già, so che state per toccare quota 100?
«Siamo arrivati a 93 e l’ultima è stata ad Atlanta. Quando sono all’estero, in una città nuova, invito tutti quelli che seguono il forum a mangiare una pizza. Siamo da 70 a 100 persone tutte le volte. E questo avviene in ogni parte del mondo in cui mi reco».
Qualche volta, poi, avete anche dei commensali illustri…
«Ci sono personaggi insospettabili. Dico due nomi: l’amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao, è un Italian della prima ora e ha sempre seguito il forum; così anche Diego Piacentini, che è uno dei capi di Amazon.com. Però il mio forum non vuole essere un posto per persone note. Ci sono anche loro, ma hanno il trattamento di tutti gli altri».
E chi sono gli altri?
«Studenti, professori, ricercatori, commercianti, ristoratori. Persone che vogliono raccontare la loro Italia vista da lontano e le loro esperienze in giro per il mondo».
Come si stanno organizzando questi nuovi italiani all’estero?
«Credo che non si stiano organizzando. Non esiste una presenza politica o culturale degli italiani all’estero».
Per quale motivo?
«Perché non sono più i vecchi emigranti per necessità, che avevano bisogno di riunirsi per trovare forza e voce. Questi nuovi italiani emigrano per scelta. Qualche volta è una scelta un po’ amareggiata, perché chi fugge dal nepotismo delle patrie università, non va via contento. Fugge per migliorare. Dunque, molti di loro sono autosufficienti. Ecco perché è così difficile riunirli».
Sono eccellenze del made in Italy...
«Sono soprattutto ragazzi che hanno personalità da vendere. Non vogliono appartenere ai club delle Giovani marmotte».
Però esportiamo anche dell’altro. Roberto Saviano, per citare il caso più emblematico, sta cercando di lavare i panni sporchi «in piazza». E viene criticato…
«Penso che siano critiche totalmente immotivate. La migliore forma di amor di patria è quella di essere onesti con se stessi. È una citazione di Barzini, ma vale ancora oggi. Credo che ci sia poco da occultare. Purtroppo la criminalità organizzata esiste ed è un dramma. Nasconderlo sotto il tappeto, come vorrebbe fare qualcuno, è sbagliato».
Cosa ne pensa, invece, della stampa italiana all’estero?
«Credo che queste pubblicazioni abbiano una fortuna e corrano un rischio. La fortuna è usufruire di una lingua che la gente impara per amore. L’inglese si impara per necessità».
E il rischio?
«Il rischio di chi fa informazione in lingua italiana nel mondo è quello di diventare un po’ parrocchiale».
In che senso?
«È un aggettivo un po’ forte, ma credo renda l’idea di un gruppo di persone limitato. Non solo. In questi gruppi piccoli accade spesso che si creino fazioni, che il giornale venga usato per andare contro uno o l’altro, che sorgano dei “microcapi”».
«Microcapi»?
«Come in Cuore di tenebra di Joseph Conrad, l’“effetto Kurtz”. Nell’universo tricolore sparso sul pianeta accade, ogni tanto, che ci siano dei personaggi italiani i quali, anche grazie ai giornali, si sono creati la strana illusione di essere importantissimi, quando in realtà non lo sono».
Qual è l’antidoto a tutto ciò?
«Io penso che internet possa essere utile. Stimola il dibattito, è interattiva. Elimina questi atteggiamenti di chiusura perché è libera, è fresca, si può spegnere. Ecco, internet serve per aprire le finestre. Gli italiani mi piacciono meno quando le finestre le tengono ben chiuse. Perché alla fine la stanza sa un po’ di muffa».
Sembra una metafora della crisi migratoria nel canale di Sicilia...
«Già. E noi italiani ne sappiamo qualcosa di emigrazione. Quell’esperienza ci dovrebbe insegnare a essere generosi, comprensivi e a guardare con un po’ di lungimiranza anche a questi sbarchi. Con questo, però, non voglio dire che bisogna sottovalutare i pericoli che l’emigrazione incontrollata provoca».
Quali sono questi pericoli?
«Non c’è alcun dubbio che alcuni Paesi abbiano esportato troppa criminalità in percentuale al numero dei loro emigrati. Bisogna essere più attenti e rigorosi. La sciatteria con cui noi italiani facciamo osservare le leggi, la lentezza dei nostri processi, la farraginosità delle nostre procedure giudiziarie, fanno sì che un malintenzionato di qualsiasi nazionalità trovi in Italia terreno fertile. Dovremmo essere severi con i furbi ma generosi con i deboli. Invece a me sembra, come al solito, che stiamo facendo il contrario».
E quali sono i deboli?
«Penso a tutti coloro ai quali, pur meritandolo, troppo spesso noi oggi offriamo poco. Non capisco perché un bambino che nasce in Italia non possa essere automaticamente italiano. In America, per esempio, questo è un diritto garantito, del quale hanno usufruito tanti italiani d’origine».
Qual è la comunità italiana che l’ha colpita di più?
«Quella in Italia, la comunità degli Italians potenziali, quelli che non sono ancora partiti. Tutti coloro che, pur validi, stanno subendo la nostra difficoltà di migliorare. Negli ultimi cinquant’anni siamo progrediti molto. Però ci manca ancora quello scatto per essere veramente alla pari con i grandi Paesi europei con cui abbiamo l’obbligo di confrontarci: la Francia, la Germania e l’Inghilterra».
Che cosa ci blocca?
«La furbizia, l’inciviltà fiscale, come dicevo prima la farraginosità dei nostri sistemi legislativo, esecutivo e giudiziario, il nepotismo universitario, il clientelismo. Tutte queste cose alla fine pesano. La gente si stufa e pensa di andare via. Anche se poi, fuori, non trova il mondo perfetto».
Però, magari, trova lavoro e gratificazione…
«Sì. Dobbiamo stare molto attenti perché stiamo perdendo un’intera generazione. I ragazzi dal Sud vengono al Nord. Oppure dal Sud, dal Centro e dal Nord vanno direttamente all’estero. Questa generazione rischia di non tornare».
Sono i suoi Italians...
«Già, sono i miei Italians. Ragazzi nati per lo più negli anni Ottanta. Se ce li lasciamo scappare, siamo veramente dei pazzi».