Quello della notte
Roma
Pare che anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo abbia confessato, nelle scorse settimane. Tra i dischi che girano più frequentemente, nel suo studio al Quirinale, ci sono quelli di Renzo Arbore. Eppure il primo cittadino d’Italia è solo uno dei tanti ad apprezzare e stimare, da sempre, lo showman foggiano. Divenuto famoso in patria per programmi radiofonici e televisivi storici come Alto gradimento, Indietro tutta e Quelli della notte, all’estero hanno imparato ad amarlo soprattutto a partire dal 1991, quando ha fondato l’«Orchestra italiana», con l’obbiettivo di far riscoprire Napoli e le sue melodie. Un successo che gli è valso la nomina ad ambasciatore della canzone napoletana nel mondo. Oggi, non di rado, viene chiamato a rappresentare l’Italia in varie manifestazioni. Come è avvenuto, ad esempio, in Spagna, dove ha aperto l’Expo 2008 di Saragozza, e in Messico, dove ha presenziato alla Fiera del libro di Guadalajara.
Mastromatteo. Allora maestro…
Arbore. Beh, maestro mi fa ridere. Però la mia qualifica è davvero di maestro. Io sono entrato in Rai tramite concorso e la qualifica era: maestro programmatore di musica leggera.
Quindi non ho sbagliato?
Gassman mi diceva che quando ti chiamano maestro vuol dire che è cominciata la fase discendente. Però a me fa piacere. Da ragazzo sognavo di insegnare musica. È un sogno che si è coronato.
Bene maestro. Lei che ne ha conosciuti tanti, ci dica chi sono questi italiani all’estero.
Sono molto legato alle comunità all’estero. E penso che noi italiani residenti in Italia abbiamo una grande colpa. Non abbiamo mai valorizzato, riconosciuto e premiato il grande sacrificio, sforzo e valore della gente che è partita dal nostro Paese in epoche difficili, luttuose, di povertà e di mancanza di cultura. Gente che faticosamente ha conquistato questi Paesi e ha contribuito alla loro di cultura. Non solo. Ha veicolato la cultura italiana ovunque: in America Latina come nell’America del Nord, in Australia e altrove. Ogni tanto li vado a trovare, in giro per il mondo, ma vorrei tornarci più spesso.
Quaranta date solo quest’estate, centocinquanta all’anno. E tutto esaurito sempre. Più spesso?
In effetti abbiamo girato parecchio nell’ultimo periodo, ma vorremmo farlo di più. Devo anche dire che, ovunque andiamo, veniamo accolti con una generosità e un entusiasmo che ci commuovono ogni volta. Basta vedere come siamo stati ricevuti in Paesi lontani, come la Cina e il Giappone, dove siamo andati nel 2007.
Interessante… Come sono gli italiani in Cina?
Gli italiani in Cina sono molto veloci, perché hanno appreso dai cinesi l’arte di non perdere tempo. Come si sa, i cinesi sono dei grandi lavoratori e gli italiani in Cina hanno fatto propria questa cultura. Però la nostra grande sorpresa è stato il successo che abbiamo avuto in quella tournée. E non solo grazie agli italo-cinesi…
Vuole dire che i cinesi apprezzano le canzoni napoletane?
Siamo rimasti letteralmente sbalorditi. Abbiamo suonato in cinque città e ovunque è stato un successo strepitoso proprio grazie ai cinesi. Sono stati loro che ci hanno sorpreso per l’entusiasmo con il quale accoglievano l’orchestra, ballavano con i motivi partenopei, comprendevano la canzone sentimentale e capivano la canzone allegra.
Deve essere stata una soddisfazione…
Ancora una volta, mi sono reso conto che noi abbiamo questo tesoro inestimabile, che neppure i napoletani più celebri hanno saputo valorizzare a dovere. C’è una miniera di canzoni meravigliose che Napoli ha prodotto dalla fine dell’Ottocento, fino agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Quella miniera non è ancora tutta esplorata ed è un tesoro. Sono canzoni famose ed essendo le canzoni melodiche più belle del mondo, colpiscono direttamente il cuore anche di chi napoletano non è. Come il mio che è soltanto parzialmente napoletano.
E cantarle oggi, quelle canzoni, che effetto fa?
È bellissimo, davvero. Sono melodie antiche ma anche modernissime. Diciamo la verità: sono canzoni scritte nel passato, ma che sopravvivranno alle canzoni moderne. Sono quelle che gli americani chiamano evergeen. Restano sempre, come le canzoni americane di Gershwin o quelle di Vinicius De Moraes, in Brasile. Sono dei classici. E, proprio per questo motivo, sono più moderne di quelle odierne.
Se la lirica è l’ambasciatrice colta della musica italiana nel mondo, probabilmente l’ambasciatrice popolare è proprio la canzone napoletana. Concorda?
Senza dubbio. Io devo ringraziare i tenori, perché sono stati loro – soprattutto Enrico Caruso, tanti anni fa – a diffondere tutte queste canzoni. Oggi, brani come Torna a Surriento, oppure Mare chiaro e naturalmente O sole mio, godono ancora di quella popolarità.
Sono stati i pionieri…
Era un periodo in cui gli italiani non erano molto ben visti, specie negli Stati Uniti. Uomini come Enrico Caruso, Primo Carnera, Rodolfo Valentino e Fiorello La Guardia sono stati i primissimi italiani a farsi amare dagli americani. Un affetto che dura ancora e di cui dobbiamo essere loro grati.
Qual è la comunità italiana che l’ha colpita di più?
Tutte. Però, devo essere onesto, in Australia ho provato l’emozione più profonda. È la comunità più lontana, per cui anche quella più nostalgica. Quando si è aperto il sipario, a Melbourne, ho visto tutto il pubblico in lacrime, che si asciugava il viso. In quell’occasione l’emozione è stata fortissima. Poi ho fatto diventare tutto una festa, come al solito. E devo dire che la critica dei giornali australiani, il giorno dopo, è stata per me molto gratificante.
Cosa hanno scritto?
Dicevano: «La festa è stata talmente elettrizzante che noi australiani abbiamo iniziato a domandarci dove fosse l’ospedale più vicino, per soccorrere gli eventuali svenuti, colti dal troppo entusiasmo».
Scene che possono essere viste sui due siti www.renzoarbore.it e www.arboristeria.it.
Sì, ci sono le immagini della Cina, gli incontri con gli altri artisti che amo di più, come Gigi Proietti. E poi le mie ultime imprese. Per esempio quella di Lampedusa, dove assieme a Claudio Baglioni abbiamo cantato una Reginella storica.
Diamo delle anticipazioni ai nostri lettori. Quando la potranno vedere ancora in giro per il mondo?
A marzo dovremmo andare negli Stati Uniti, poi torneremo in Brasile, spero prestissimo. Stiamo organizzando la prossima tournée proprio in queste settimane. Il 2011, poi, sarà un anno importantissimo, perché ricorreranno i 150 anni dall’unità d’Italia. Sono stato scelto con la mia orchestra per festeggiare l’evento nelle Capitali.
Allora, nel frattempo, facciamo un saluto all’estero?
Mi piacerebbe salutarli tutti personalmente. Se c’è qualche impresario che ci vuole, per esempio in Argentina, Uruguay, Paraguay e Cile, noi siamo disposti a partire e andare a fare dei concerti. Mi piacerebbe. Intanto, però, saluto chi vuol bene ai rappresentanti del nostro Paese che ci onorano con il loro lavoro, la loro simpatia, la generosità e la spontaneità.