Inchiesta. La famiglia italiana nel mondo (7) / Argentina. Argentini a due velocità
Il richiamo della modernità contro l' etica dei costumi antichi. Nel Paese del tango e dei gauchos i valori della famiglia italiana si confrontano con quelli del villaggio globale.
Buenos Aires
Si tramanda di padre in figlio (ma cifre attendibili non ne ho mai lette) che l' emigrazione italiana in Argentina del secondo dopoguerra abbia toccato il tetto delle 800 mila unità . Oggi ne rimarrebbero la metà . Molte sono rientrate quasi subito, dopo l' esperienza amara dei primi venti avversi. Molte hanno imboccato la strada del cimitero. Le altre avanzano verso la terza età . Ne segue una miriade di figli e nipoti, ma questa è un altra storia...
Un' altra storia perché l' Argentina ha un grande potere di assimilazione per cui chi nasce in questa sponda del Plata si «argentinizza» dalla culla. Solo la promessa di viaggi, di borse di studio, di lavoro presso qualche azienda italiana possono risvegliare (sinceri?) desideri di appartenenza italica. Naturalmente eccezioni ce ne sono, ma contate. Per cui in famiglia si vivono due mondi diversi.
Sia ben chiaro che la stragrande maggioranza degli emigrati, quando parla dell' Italia si riferisce all' ultima immagine impressa nella memoria al momento di salire sulla nave. Tutto viene congelato in quell' attimo: il volto dei genitori, il paese, la festa al santo patrono con il suono delle campane, gli scoppi dei mortaretti& Tutto. Quindi, ogni parametro viene misurato su quella lunghezza d' onda.
Modelli di riferimento
Non è che Cicillo non sappia che al suo paese si sono costruite cinquanta case nuove, che la piazza è stata asfaltata e che ora c' è l' acqua corrente in casa. Non è che non sappia che i ragazzi di oggi vanno in giro con il cellulare, che i semafori regolano il traffico paesano, che nelle case c' è il gas, il frigorifero e il benessere. Tutto questo Cicillo lo sa, ma gli interessa poco. Solo per chiacchierare. I paragoni Cicillo li continua a fare con il «suo» paese, con la «sua» famiglia, con la «sua» società . Realtà intagliate nella sua coscienza. L' Italia attuale con le sue nuove strutture, con le sue mutazioni non è più «sua».
Anche i modelli culturali (come la famiglia), bisogna andarli a ricostruire in quel passato che gli è sempre presente e palpitante. Recentemente, ho avuto a che fare con un siciliano di 45 anni. Da qualche tempo anche gli amici non lo capivano più. Doveva vivere un trauma tremendo, mi assicuravano, che lo avrebbe portato a qualche atto sconsiderato. Si era chiuso nel suo problema che, d' altra parte, nessuno conosceva.
«Andiamo da padre Giuseppe», si dissero gli amici. Quando l' ebbi di fronte, effettivamente dava l' impressione di un uomo disorientato, con manifestazioni isteriche. Con evidente difficoltà mi ha raccontato il suo dramma. La sua famiglia, costruita «come Dio comanda», su basi religiose e sulla rigidezza morale, era distrutta. Lucia, unica figlia, diciottenne, che mai usciva di casa sola, che mai andava a ballare, sempre tranquilla e buona, dedita allo studio e ai lavori di casa era rimasta incinta. Secondo lui era entrato il disonore nella sua famiglia rispettata e onorata. Non sapeva dove nascondersi per sfuggire gli sguardi curiosi e beffardi dei paesani che di lì a poco se ne sarebbero accorti. Le mie parole sbattevano sulla roccia e rimbalzavano vuote. «La mia famiglia è distrutta, disonorata e derisa», si ripeteva in un leitmotiv inconsolabile.
Senza dubbio questo siciliano aveva in testa il suo modello di famiglia al quale era fortemente legato nonostante avesse lasciato l' Isola a tre anni, quasi mezzo secolo fa. Genitori e paesani si erano incaricati di trasmetterglielo con tutta la carica emotiva sicula.
Tradizione e assimilazione
Chi è arrivato ancora bambino dall' Italia, continua a vivere con i parametri culturali della Penisola del secondo dopoguerra (specialmente per quanto riguarda la famiglia). I connazionali del nord si sono inseriti più facilmente nel tessuto argentino assimilandone rapidamente modelli e comportamenti. Anche per i matrimoni non hanno dubitato di scegliersi partner locali dando relativa importanza al fattore «radici».
L' italiano del sud, per vari motivi, è rimasto invece più fedele alle tradizioni, quindi anche ai concetti culturali fondamentali del suo essere, come la famiglia. Questo desiderio di più radicale fedeltà al passato lo possiamo vedere, per esempio, nel bisogno che il meridionale sente di incontrarsi fra paesani per festeggiare il santo patrono o per celebrare quegli avvenimenti che segnano i momenti forti della vita familiare (battesimi, funerali, matrimoni& ). Questi incontri ripetuti frequentemente hanno mantenuto vivi anche altri modelli (la famiglia, per esempio) e hanno facilitato la formazione di coppie della stessa regione se non addirittura dello stesso paese.
Diversa è la musica per le famiglie delle generazioni nate in Argentina. Con l' abbandono da parte dei giovani, della frequentazione di ambienti italiani si affievoliscono anche i messaggi culturali che le famiglie fedeli tentano di dare ai loro figli. L' Argentina, con il suo forte potere di assimilazione, «argentinizza» già la prima generazione. Forse il fattore che più resiste (assieme a quello culinario) è appunto il modello di famiglia ereditato fra le pareti domestiche. Ma anche questo si sta sfaldando al ritmo celere della cultura autoctona già aperta alla globalizzazione. Il collante genitori-figli e nonni-nipoti si affievolisce giorno dopo giorno. Anche l' emigrato italiano ha ormai come casa il «villaggio globale» in cui i modelli scavalcano paralleli e meridiani per uniformarsi o in alto o in basso (purtroppo con più facilità verso il più comodo). In famiglia si soffre per i divorzi che giungono dopo pochi anni di matrimonio. Si soffre per i bambini che fanno la spola fra mamma-papà -nonni e per le tradizioni sacre che non riescono ad attecchire nei giovani.
Le statue dei santi
La religiosità dei nostri connazionali è quasi essenzialmente di carattere popolare e di tradizione familiare. Appena arrivato in Argentina, scombussolato dal cambiamento, isolato dalla lingua (benché di facile comprensione, dopo cinquant' anni non l' ha ancora imparata decentemente), non sempre compreso nelle sue più fondamentali esigenze, sospinto dalla latente nostalgia, l' italiano ha cercato subito degli appoggi affettivi per aprirsi alla società . E chi meglio del paesano con cui poteva esprimersi addirittura in dialetto? Non è stato difficile trovare motivi d' incontro. Più di qualcuno, fra gli effetti personali, aveva portato nella valigia l' immagine protettrice del santo miracoloso venerato al paesello. E la comunità paesana si è stretta attorno a queste immagini, che poi sono diventate statue addobbate di baldacchini, bandiere, stendardi...
Ma la statua di ogni santo aveva bisogno di un tetto. E le si costruiva allora una piccola cappella, primo passo per una futura parrocchia. Oltre la metà delle parrocchie di Buenos Aires sono nate così. Nella Grande Buenos Aires si contano più di trecento feste: una media di quattro-cinque ogni domenica. Un centinaio di associazioni cattoliche fanno capo a Facia, la Federazione delle associazioni cattoliche in Argentina, fondata dai missionari Scalabriniani appena si è annunciata l' emigrazione di massa, dal ' 48 in poi. È stata una parziale salvezza. Ancora oggi, due-tre sacerdoti Scalabriniani, tutte le domeniche si recano a celebrare le feste dei santi patroni. Ci azzardiamo a dire che forse (beh! un «forse» di umiltà ) l' unica forza che rimane, capace di convocare le masse italiane, è il richiamo della voce dei santi. Gli Scalabriniani si servono, poi, di un periodico quindicinale, «Voce d' Italia» per rafforzare il dialogo socio-religioso di integrazione dei nostri italiani nella benevola comunità di accoglienza.