Svizzera, laboratorio dell'emigrazione italiana
Basilea
Marco Minoletti, laureato in Filosofia all’Università di Genova, lavora dal 1988 nell’ambito dell’emigrazione italiana. Dal 1993 è responsabile della Sezione italofona dell’ECAP di Basilea, ed è insegnante ai corsi di Lingua e Cultura italiana a livello medio.
Tassello. Lei ha scelto di insegnare la lingua e la cultura italiana ai figli e ai nipoti degli emigrati italiani in Svizzera. Nella sua carriera di insegnante, ha notato un’evoluzione nella domanda di lingua e cultura italiana?
Minoletti. A partire dagli anni Settanta, conclusosi il ciclo dei grandi flussi migratori dall’Italia verso la Svizzera, diventa preminente il processo di inserimento e integrazione nel Paese d’accoglienza. Gli emigrati italiani costituiscono dei nuclei transnazionali che conservano, però, saldissimi legami con le terre d’origine. Il legame è soprattutto mediato da varie forme di associazionismo di matrice regionale, sindacale, laica e cattolica proprio a partire dallo zoccolo duro della loro comune identità: la lingua materna. I corsi settimanali di Lingua e Cultura italiana, i cui utenti costituiscono la maggioranza della popolazione scolastica all’estero, vengono istituiti non solo per favorire i processi di integrazione degli adolescenti, ma anche per facilitare il loro accesso nella Scuola italiana in caso di rientro. Il loro obiettivo principale è il conseguimento della Licenza Media. Con il diminuire dei rientri in Italia e la progressiva integrazione degli emigrati nel Paese di accoglienza, vengono meno anche le fondamenta teoriche che hanno caratterizzato lo spirito della Legge 153/71 che regola ancora oggi l’insegnamento istituzionale dell’italiano all’estero. A un certo punto emerge il fatto che il bisogno dei residenti all’estero non è più quello di ottenere la Licenza Media, necessaria per il prosieguo dell’iter scolastico nostrano, bensì un titolo di studio spendibile anche e soprattutto nel Paese d’adozione. Ed è proprio a partire da queste premesse che, non senza difficoltà e ostruzionismi, sono stati introdotti, nei corsi, gli esami di certificazione della conoscenza della lingua italiana come seconda lingua (L2).
Cosa possiamo dire degli esami CELI?
La Fondazione ECAP a cui è stata affidata parte della gestione dei corsi del livello medio a Basilea, ha vagliato le offerte dei vari centri di certificazione operanti in Italia, optando per gli esami CELI ovvero i Certificati di Lingua Italiana, predisposti dall’Università per Stranieri di Perugia. Il CELI è l’unico Certificato linguistico italiano riconosciuto dall’ALTE, The Association of Language Testers in Europe, l’Associazione europea che stabilisce le norme di riferimento e i livelli di competenza linguistica. Oltre che alla qualità, si è badato quindi anche alla spendibilità del Diploma da parte dei nostri ragazzi in età scolare. La Certificazione linguistica CELI si rivolge a studenti in possesso di competenze linguistiche diverse: da «lingua base» (CELI 1) a «lingua eccellente» (CELI 5). Si spazia quindi dalla valutazione delle capacità d’uso della lingua di base fino alla valutazione della capacità di far fronte, in modo articolato, a conversazioni quotidiane e di attualità più complesse, sia scritte che orali. Il superamento dell’esame, oltre ad attestare il livello di competenza linguistica del candidato, gli conferisce un Diploma riconosciuto anche dal mercato del lavoro svizzero. Nei centri d’esame accreditati dall’Università di Perugia, la prova d’esame si svolge solitamente nel mese di giugno, contemporaneamente – fusi orari permettendo – agli altri centri d’esame sparsi nel pianeta. L’esame si ritiene superato se il candidato ha raggiunto, nella prova scritta e nella prova orale, il punteggio minimo stabilito. I candidati che non abbiano superato la prova scritta (complesso di: comprensione della lettura, produzione scritta, conoscenza delle strutture grammaticali) e che abbiano superato la prova orale o viceversa, possono capitalizzare per un anno il risultato parziale ottenuto, sottoponendosi di nuovo alla prova risultata insufficiente.
Nei mesi scorsi si è parlato molto della politica italiana per la promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo. Da più parti giungono forti proteste per lo scarso interesse e le molte inadempienze del governo italiano, tacciato di miopia nei confronti di questo grande strumento di politica internazionale. Qual è la sua opinione in proposito?
Da anni, a livello planetario, si registra una caduta tendenziale dell’interesse per la cultura umanistica tacitamente accusata di «improduttività». Parallelamente assistiamo a una crescita della cosiddetta «cultura» finalizzata all’immediatamente utile, strettamente connessa alla cultura del mondo imprenditoriale e manageriale. L’attuale Governo italiano, perfettamente in linea con questa tendenza, prendendo a pretesto la crisi finanziaria, ha radicalmente ridotto i già miseri interventi pubblici a favore delle comunità italiane all’estero, sacrificando settori strategici quali la Lingua e la Cultura italiana. Le ragioni di questa drammatica contrazione dei finanziamenti sono anche da ricercarsi nel mutato orientamento politico dell’attuale amministrazione che tende gradualmente a mettere in liquidazione le attività che hanno un carattere prevalentemente comunitario e improduttivo. La situazione mondiale inoltre, a partire dall’11 settembre 2001, si è andata sempre più inasprendo, e le richieste di un intervento militare dell’Italia, Paese membro della NATO, sono diventate ancora più pressanti. A molti di noi non sarà quindi sfuggito che esiste un rapporto fra gli interventi culturali e quelli militari italiani all’estero. I fondi di finanziamento per la Lingua e la Cultura italiana nel mondo – espressi anche in termini di personale di Scuole e Università – sono andati diminuendo, negli ultimi anni, in maniera inversamente proporzionale all’aumento della presenza militare italiana all’estero. La proiezione dell’identità italiana all’estero rimane, ma cambia la sua natura.
All’estero gli enti gestori svolgono un ruolo divenuto essenziale per mantenere vivo il patrimonio linguistico italiano. La Svizzera è un luogo privilegiato per verificare il lavoro di questi organismi. Come li vede e come ne considera l’evoluzione?
La Svizzera, per tutta una serie di ragioni di carattere storico, geografico, politico e sociale, rappresenta una sorta di laboratorio avanzato per la diaspora italiana, che in molti casi funge anche da bussola di orientamento per le altre comunità italofone nel mondo. Ed è proprio in questa cornice che si colloca l’operato degli Enti gestori impegnati nella diffusione della Lingua e della Cultura italiana. Fino al 1993, gli Enti attivi sul territorio si occupavano prevalentemente dell’alfabetizzazione e del recupero della scolarità di base per gli adulti. Dal mese di luglio di quell’anno, a seguito dei provvedimenti legislativi adottati dal Governo italiano, si assiste al coinvolgimento degli Enti nel funzionamento dei corsi, fino ad allora gestiti esclusivamente dal Ministero degli Affari Esteri. Grazie all’intervento degli Enti si sono evitate la chiusura di numerosi corsi e la crisi dei rapporti con le autorità elvetiche, salvaguardando gli accordi bilaterali. L’entrata in scena degli Enti ha garantito non solo la continuità del servizio e il funzionamento dei corsi in una fase di emergenza, ma ha consentito, anche con l’introduzione della certificazione linguistica, di rilanciarne il ruolo e di adeguarne la funzione ai nuovi bisogni della comunità.