Stati Uniti. Stephanie Longo, voce italiana di Scranton

14 Marzo 2012 | di

Si arriva seguendo la direzione nord est della Pennsylvania, verso il capoluogo della contea di Lackawanna. Scranton, sesta città per numero di abitanti dello Stato americano, accoglie una delle comunità italiane più radicate negli Stati Uniti. A Scranton vive anche Stephanie Longo, giornalista e appassionata ricercatrice delle culture e tradizioni italiane in quest’angolo del continente americano.

«La mia famiglia mise piede negli Stati Uniti nel 1903, grazie allo spirito d’avventura di Salvatore Luongo che lavorò a Brooklyn, New York, Rochester e infine si fermò a Scranton, nella zona di Bunker Hill, per scendere nelle miniere di carbone. Salvatore arrivava da Guardia dei Lombardi (Avellino). Suo figlio Giuseppe Antonio e la moglie Anna cercarono sempre di tornare nel paese d’origine, senza mai riuscirci. Ho promesso a me stessa di realizzare il loro sogno: nel 2005 sono andata con mia madre a Guardia. Abbiamo vissuto un’esperienza indimenticabile».

Volitiva e carica di simpatia, Stephanie snocciola con orgoglio la storia di una famiglia che dovette rinunciare a una vocale nel cognome, divenendo all’anagrafe Longo. Autrice di un libro sulla comunità italo-americana di Scranton e di un volume sul 150˚ anniversario di Dunmore (la cittadina limitrofa) la giornalista si definisce «ethnic american» e spera che i suoi futuri figli imparino a parlare italiano il più presto possibile. «Ho dovuto aspettare i 18 anni per parlarlo, la generazione di mia madre visse nel divieto di poterlo usare.
Sono io che le faccio la traduzione e sento palpabile il suo malessere per aver perso questa importante radice della propria identità. Io stessa penso di essere portatrice di un lato italiano quasi ottocentesco e di avere invece pochi legami con la cultura italiana contemporanea. Rappresento un miscuglio strano di due culture belle, ma differenti».

Quella che abita nella zona di Bunker Hill è una comunità che si stringe intorno alla parrocchia di San Rocco, la cui chiesa fu fondata e costruita dagli immigrati irpini di Guardia dei Lombardi. Membro dell’associazione UNICO (tra i sodalizi più attivi negli USA in difesa della comunità italo-americana), Stephanie si batte da anni contro gli stereotipi e la discriminazione etnica. Nonostante la presenza centenaria ci sono, infatti, ancora diversi temi di scontro con i cosiddetti WASP, cioè i discendenti dei colonizzatori originari inglesi. «Mi sento italo-americana e cucino spesso piatti italiani – racconta ancora Stephanie (nella foto sotto) –. Ma vedo tutto attraverso la prospettiva americana. Ho trascorso la mia vita negli Stati Uniti. Ci sono aspetti culturali italiani che ho difficoltà a capire perché non li ho vissuti. Ci sono, poi, temi per i quali noi italo-americani ci battiamo da anni. In televisione siamo visti spesso come mafiosi o buffoni: sono diventata giornalista anche per combattere questi stereotipi e per sottolineare le tante cose belle della nostra comunità. C’è ancora qualcuno che ci chiama “wop” o “guinea”. Vorrei che questi termini facessero parte solo del passato».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017