Svezia. L’italiana cosmopolita di Stoccolma
28 Luglio 2015
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Era fine Ottocento quando nacque la prima comunità italiana censita in Svezia. Quasi tutti gli italiani gravitavano nell’area della Chiesa cattolica di Götgatan a Stoccolma e la sua parrocchia divenne il punto d’incontro dei connazionali. Ancora oggi, la Chiesa rappresenta nel Paese scandinavo una forte calamita per chi sceglie di trasferirsi dall’Italia. «Noi siamo cattolici praticanti e la comunità della Missione Italiana di Stoccolma è stata ed è tuttora un importante punto riferimento e di accoglienza per tutta la famiglia.
Molti gli amici italiani incontrati lì, oltre a quelli conosciuti all’istituto di cultura e all’ambasciata. In ogni caso per chi emigra il sostegno dei connazionali è fondamentale». A parlare è Federica Piccolo, torinese, creatrice e designer, appartenente all’ultima covata di un’immigrazione che non ha grandissimi numeri ma che da sempre rappresenta uno zoccolo duro in Svezia.
«Ho sempre amato viaggiare – racconta Federica –. Mio marito, Piero, prima di incontrarmi aveva già abitato all’estero. In Italia ha lavorato per la Comunità europea e poi ha ottenuto un contratto in Svezia con l’agenzia europea che si occupa di malattie infettive. Siamo entrambi curiosi e ci piace metterci in gioco, quindi siamo partiti sereni, avendo alle spalle condizioni lavorative buone. Decisamente la Svezia riserva delle sorprese, molte positive, ma anche qualcuna difficile da comprendere e accettare, soprattutto per chi, come noi italiani, considera la Svezia la patria dell’efficienza, dell’uguaglianza, e del welfare». In un Paese che vanta una presenza italiana fin dal ’700, quando i primi stuccatori arrivarono per decorare i palazzi di Stoccolma, oggi si contano almeno 17 associazioni sparse in un raggio di 600 chilometri.
L’italianità per Federica è sostanziale, ma altrettanto importante per chi come lei ha deciso di vivere all’estero è l’apertura alle altre culture. «Mi sono interrogata a lungo su cosa ero e cosa sono diventata. Sono giunta alla conclusione che sono, anzi siamo “cosmopoliti”, e probabilmente questo è dovuto anche al fatto che frequentiamo un ambiente più internazionale che svedese. Però torno molto spesso in Italia e con l’Italia ci lavoro. La spinta maggiore a tornare periodicamente è data soprattutto dalla famiglia e dagli amici, ma non escluderei del tutto il cibo. In casa parliamo italiano e le nostre figlie lo studiano. A loro cerchiamo di trasmettere anche la nostra cultura».
Da questa base profondamente italiana, Federica, viaggiando e incontrando tante persone, ha imparato ad aprirsi e ad assimilare aspetti di culture diverse, che le piacciono particolarmente o che sono importanti per lei.
«Uno scambio culturale è fondamentale per vivere e non solo sopravvivere all’estero. Incontrare persone diverse, essere curiosi, cercare amici diversi ma simili a noi e mettersi in gioco sono tutte cose difficili da fare, ma che oggi sono agevolate dalla tecnologia. Grazie a essa, per esempio, è sicuramente più facile mantenere i legami con i nostri amici in patria, avere il supporto di persone lontane ma appartenenti alla famiglia. Tutto questo attenua il senso di solitudine che immancabilmente arriva quando ci si trasferisce e che spesso compare in momenti inaspettati. Credo che, per superare le difficoltà di un trasferimento, sia necessario confrontarsi con questa sensazione di solitudine, senza sottovalutarla ma neanche sopravvalutarla. E per questo il confronto con chi ci è già passato è sicuramente un aiuto fondamentale».
Molti gli amici italiani incontrati lì, oltre a quelli conosciuti all’istituto di cultura e all’ambasciata. In ogni caso per chi emigra il sostegno dei connazionali è fondamentale». A parlare è Federica Piccolo, torinese, creatrice e designer, appartenente all’ultima covata di un’immigrazione che non ha grandissimi numeri ma che da sempre rappresenta uno zoccolo duro in Svezia.
«Ho sempre amato viaggiare – racconta Federica –. Mio marito, Piero, prima di incontrarmi aveva già abitato all’estero. In Italia ha lavorato per la Comunità europea e poi ha ottenuto un contratto in Svezia con l’agenzia europea che si occupa di malattie infettive. Siamo entrambi curiosi e ci piace metterci in gioco, quindi siamo partiti sereni, avendo alle spalle condizioni lavorative buone. Decisamente la Svezia riserva delle sorprese, molte positive, ma anche qualcuna difficile da comprendere e accettare, soprattutto per chi, come noi italiani, considera la Svezia la patria dell’efficienza, dell’uguaglianza, e del welfare». In un Paese che vanta una presenza italiana fin dal ’700, quando i primi stuccatori arrivarono per decorare i palazzi di Stoccolma, oggi si contano almeno 17 associazioni sparse in un raggio di 600 chilometri.
L’italianità per Federica è sostanziale, ma altrettanto importante per chi come lei ha deciso di vivere all’estero è l’apertura alle altre culture. «Mi sono interrogata a lungo su cosa ero e cosa sono diventata. Sono giunta alla conclusione che sono, anzi siamo “cosmopoliti”, e probabilmente questo è dovuto anche al fatto che frequentiamo un ambiente più internazionale che svedese. Però torno molto spesso in Italia e con l’Italia ci lavoro. La spinta maggiore a tornare periodicamente è data soprattutto dalla famiglia e dagli amici, ma non escluderei del tutto il cibo. In casa parliamo italiano e le nostre figlie lo studiano. A loro cerchiamo di trasmettere anche la nostra cultura».
Da questa base profondamente italiana, Federica, viaggiando e incontrando tante persone, ha imparato ad aprirsi e ad assimilare aspetti di culture diverse, che le piacciono particolarmente o che sono importanti per lei.
«Uno scambio culturale è fondamentale per vivere e non solo sopravvivere all’estero. Incontrare persone diverse, essere curiosi, cercare amici diversi ma simili a noi e mettersi in gioco sono tutte cose difficili da fare, ma che oggi sono agevolate dalla tecnologia. Grazie a essa, per esempio, è sicuramente più facile mantenere i legami con i nostri amici in patria, avere il supporto di persone lontane ma appartenenti alla famiglia. Tutto questo attenua il senso di solitudine che immancabilmente arriva quando ci si trasferisce e che spesso compare in momenti inaspettati. Credo che, per superare le difficoltà di un trasferimento, sia necessario confrontarsi con questa sensazione di solitudine, senza sottovalutarla ma neanche sopravvalutarla. E per questo il confronto con chi ci è già passato è sicuramente un aiuto fondamentale».
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017