Qualcosa è cambiato, ma in meglio
Le dimissioni di Benedetto XVI hanno impresso una brusca impennata alla storia della Chiesa: è la prima volta nell’epoca moderna che un Papa rinuncia al soglio pontificio. Il caso di Celestino V è differente: a quel tempo il papato era anche una monarchia secolare, in cui le esigenze di governo dello stato temporale prevalevano su quelle spirituali.
In realtà, se ci pensiamo bene, la scelta di Ratzinger è la logica prosecuzione delle norme decise da Paolo VI per i cardinali, che adesso «vanno in pensione» non solo dal loro ruolo nella Chiesa, ma anche come elettori del Papa. Perché il Papa doveva sfuggire a questa norma, che è la logica conseguenza dell’allungamento della vita? Anche per il Pontefice si può presentare quella situazione, che oggi si realizza così spesso, di un essere umano che, in un certo senso, sopravvive a se stesso, magari per molti anni. Infatti, Benedetto XVI è stato testimone della lunga malattia di Giovanni Paolo II: senza dubbio un grande esempio morale e spirituale per il mondo, ma che al tempo stesso ne ha indebolito il governo, con gravi ripercussioni per la Chiesa. Benedetto XVI non voleva un altro periodo del genere, e a questo si aggiungeva il suo senso di inadeguatezza per un ruolo papale svolto in tono ridotto a motivo delle sue condizioni fragili, non tanto per salute quanto per età.
Una decisione simile è stata presa qualche mese fa dal Dalai Lama, anch’egli designato a vita, ma che doveva affrontare le stesse prospettive di prolungamento di un’esistenza indebolita dalla vecchiaia, non più adatta al ruolo. Non possiamo infatti negare che l’allungamento della vita di cui godiamo oggi riguarda in sostanza la vecchiaia, nonostante tutti gli sforzi della medicina per prolungare la giovinezza. È quindi un problema moderno quello che Benedetto XVI ha affrontato, offrendo un esempio di cui d’ora in avanti bisognerà tenere conto. In un certo senso, questo gesto cambia l’immagine del Papa, vicario di Cristo in terra. Molti sono intervenuti domandando: ma allora lo Spirito Santo a un certo punto finisce di illuminare l’uomo eletto Pontefice? Ratzinger ha risposto che continuerà in un’altra dimensione, dimensione di cui la Chiesa ha estremamente bisogno: quella del silenzio e della preghiera. Così ora, in un momento certo difficile per la Chiesa, abbiamo due figure autorevoli, con ruoli ben diversi e distinti: il nuovo Papa e il Papa emerito suo predecessore, in qualche modo nascosto al mondo, come lui stesso ha detto, che sostiene spiritualmente la Chiesa con la preghiera.
Anche se Benedetto XVI è sempre vissuto in una dimensione molto alta, intensamente spirituale, non si può certo dire che non volesse vedere e riconoscere la realtà, con corruzione e ambizioni pure all’interno della Chiesa: una condizione che non ha mai smesso di denunciare, dal primo all’ultimo istante del suo papato. Quello che senza dubbio è stato l’obiettivo principale del suo pontificato, la nuova cristianizzazione dei Paesi secolarizzati, in particolare dell’Europa, poteva infatti essere realizzato solo da una Chiesa purificata.
Anche in quest’ottica bisogna leggere la sua rinuncia, motivata da una vera grande umiltà, che l’ha indotto a pensare che per quest’opera di purificazione – da lui già avviata, specie per quanto riguarda gli abusi sessuali – era necessario un Papa più giovane ed energico, così come la dimensione globale della Chiesa richiedeva un Pontefice in grado di percorrere distanze planetarie senza affaticarsi troppo.
Certo, dopo questa scelta di Ratzinger, qualcosa nella Chiesa è cambiato irrevocabilmente, ma in meglio. Più importante della persona risalta l’ufficio, la responsabilità, e chi lo ricopre deve sentirsi in grado di farlo nel modo migliore, per il bene della Chiesa e dell’annuncio del Vangelo.