Educhiamo i giovani
Il giudice Dominic R. Massaro vanta una brillante carriera spesa in 40 anni di servizio. Ha dodici lauree di cui otto honoris causa. Dapprima Commissario per i Diritti umani della città e dello Stato di New York, dal 1987 è giudice della Corte Suprema dello Stato di New York, la più vecchia corte in attività nella storia degli Stati Uniti (è nata nel 1691).
Massaro è uno dei soli sei statunitensi d";origine italiana ad essere stato insignito con la più alta onorificenza italiana: quella di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana.
È presidente emerito della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni italoamericane e presidente emerito dell";Apostolato italiano dell";Arcidiocesi di New York.
Nominato Cavaliere Pontificio da Papa Giovanni Paolo II nel 1994, Massaro è stato «Catholic New Yorker» nel 1987. È stato delegato americano nel 1998 alla Conferenza per la Creazione della Corte Criminale Internazionale. Presso le Nazioni Unite sta completando il suo decimo anno come direttore rappresentativo dell";Associazione dei giudici americani.
Nel 1991, il suo trattato Cesare Beccaria, The Father of Criminal Justice: His Impact on Anglo-American Jurisprudence (Cesare Beccaria, Il padre della giustizia criminale: la sua influenza sulla giurisprudenza Anglo-Americana) ha vinto in Italia il Premio Internazionale Dorso. Il Messaggero di sant";Antonio lo ha intervistato.
Msa. Quali contributi hanno dato alla giurisprudenza anglo-americana le sue pubblicazioni su Cesare Beccaria?
Massaro. Innanzitutto il fatto stesso di aver presentato di nuovo Beccaria alla comunità legale americana. Egli non era conosciuto bene neppure tra i professionisti emergenti. Eppure fu lui ad influenzare di più i principi giuridici degli Stati Uniti e il nostro orientamento in materia penale. Beccaria ebbe una forte influenza sull";allora disumana legislazione penale inglese. Blackstone e Bentham lo seguirono. Negli Stati Uniti, le leggi penali hanno subito riforme significative dopo la Rivoluzione del 1776. Le pene furono ridotte nella severità e le «crudeli e insolite punizioni», in uso sotto l";amministrazione coloniale, furono abolite. I presidenti degli Stati Uniti: Adams, Jefferson (che ha citato Beccaria nel suo discorso d";insediamento), Franklin, per citare solo tre dei padri fondatori degli Stati Uniti, furono illuminati dal suo pensiero.
In un Paese come gli Usa in cui una dilagante criminalità ha costretto molti Stati dell";Unione ad applicare severe misure punitive, quanto è attuale oggi l";opera Dei delitti e delle pene, scritta da Beccaria nel lontano 1764?
Questa domanda mi viene posta spesso, soprattutto da quando 38 dei nostri 50 Stati hanno contemplato la pena di morte nel loro ordinamento. Credo che Beccaria ci parli molto di più che della «semplice» condanna alla pena di morte, e questi principi hanno trovato un parallelo in quella magnifica conquista dell";Età dell";Illuminismo che è la Costituzione americana.
Beccaria formulò una serie di principi legislativi universali. La paura del crimine e il come doverlo affrontare è sempre stato argomento di politica pubblica. Per la società civile, la sfida nel contrastare la criminalità è quella di mantenere il proprio carattere. Beccaria, mettendo in rilievo il rapporto di severità proporzionale come misura appropriata di punizione, ci ricorda che «lo scopo (`¦) della punizione può solo essere quello di ostacolare il criminale nel commettere altri crimini (`¦) ed evitare così che altri facciano lo stesso». Non è questo un importante ammonimento? La vendetta non è un movente. La vendetta è la giustizia del barbaro; la giustizia è la vendetta dell";uomo civile.
Beccaria ci dice che l";essenza della giustizia sta nel fissare la pena quanto prima: quello che dà alla pena il potere di scoraggiare il crimine, non è la sua severità ma la sua certezza: non ciò che è severo, ma ciò che è inevitabile. Beccaria criticò aspramente la tortura e la crudeltà intese come misure punitive. Il nostro 8° Emendamento proibisce le pene «crudeli e insolite». Beccaria attaccò anche la detenzione arbitraria. Il 5° Emendamento richiede un";imputazione. Il 6° Emendamento richiede un processo veloce. La nostra Costituzione contempla il rilascio su cauzione. Ancora il 5° Emendamento prevede la possibilità che nessuno possa incriminare sé stesso. Beccaria credeva che non ci potesse essere alcuna accusa segreta. Il 6° Emendamento garantisce all";imputato il diritto di confrontarsi con i testimoni che lo accusano. Negli Stati Uniti questi principi sono protetti nei nostri testi giuridici di base, e non possono essere cancellati.
Crede che la legislazione americana possa comminare punizioni esemplari pur senza arrivare all";uccisione del condannato?
Gli studi che evidenziano gli alti tassi di condanne errate in caso di pena di morte "; recentemente sono stati discolpati più di 100 prigionieri nei bracci della morte "; ha spinto l";Ordine degli Avvocati a chiedere una moratoria sulla pena capitale. Questa preoccupazione nasce dal timore che l";esecuzione di un innocente sia inevitabile alla luce di un errore giudiziario conseguente alla mancata garanzia di un giusto processo. La riflessione in atto è tale che ha portato a chiedere una moratoria sulle esecuzioni capitali in circa 19 dei 38 Stati nei quali è in vigore. Va detto che il processo americano, la ricerca della sua certezza morale, va distinto dal pensiero europeo della pena di morte intesa come «barbarie». Questa distinzione pone gli Stati Uniti in disaccordo con molte altre democrazie occidentali. Per sua natura la pena di morte è esemplare. Negli Stati Uniti, ci sono oggi 3.700 detenuti nei bracci della morte. Beccaria contesta il diritto degli uomini di uccidere altri uomini per qualsiasi ragione. Egli avanza, comunque, due possibili esempi in cui la morte può essere giusta e necessaria: il primo, laddove vi sia un trattato per la sicurezza nazionale in un periodo di anarchia; il secondo quando la morte sia l";unico modo reale per lo Stato di contenere la criminalità . La Santa Sede, per ottenere l";abolizione della pena di morte, ha raccomandato minori pene quando lo Stato abbia i mezzi per difendere se stesso senza ricorrere a pene «crudeli e non necessarie».
In questi ultimi mesi, due orientamenti si sono imposti contro la pena capitale negli Stati Uniti. Il primo sostiene che i soli membri della giuria popolare, cioè quella costituita dai cittadini, devono dare una valutazione definitiva basata sui fatti, e richiesta per pronunciare una condanna a morte dell";imputato. La centralità del sistema unico americano come fondamento è una distinzione critica in questo caso.
Il secondo per il quale l";esecuzione di ritardati mentali viola le disposizioni costituzionali. E questa è una posizione benvenuta nella giurisprudenza. Riflette maggiormente il pensiero filosofico europeo. Entrambi gli orientamenti rappresentano un rapido allontanamento dalle posizioni precedenti.
Vero è che un consenso nazionale sulla pena di morte è ancora vago. La giustizia umana è la giustizia politica. Scaturisce dal corpo politico. E l";argomento della pena capitale, che non era una problema risolto all";epoca di Beccaria, resta ancora oggi incerto negli Stati Uniti.
Dal trattato di Beccaria, con i suoi concetti sui diritti umani e sulla dignità individuale, possiamo cogliere molto al riguardo della moralità di infliggere la pena di morte.
Per prevenire e combattere il disagio sociale e gli atti di violenza che oggi vedono coinvolti sempre di più i giovani e i giovanissimi, la società americana di quali nuovi strumenti avrebbe bisogno di dotarsi?
In aggiunta ad un codice di leggi stabilite come giuste e chiare, applicate da un giudice imparziale, capite dalla cittadinanza e applicabili ad ogni individuo e non ad una classe sociale, Beccaria suggerisce parecchi modi per prevenire il crimine, in particolare quello giovanile. Questi includono un";attenta politica sociale, economica e del lavoro, e la ricompensa per le buone azioni compiute nel rispetto della legge. Beccaria spiega che «la più sicura ma più difficile maniera per prevenire i crimini è l";educazione (`¦) delle fresche menti dei giovani». Quest";azione è da preferirsi «all";incerto metodo del comando che, alla meglio, ottiene solo una momentanea (`¦) ubbidienza». Secondo il mio punto di vista, un";educazione iniziale «completa» deve prevedere opportunità concrete, in particolare per coloro che dispongono di mezzi limitati: questi devono essere assistiti attraverso una linea di progressive conquiste sociali.
Più in generale, qual è la sua opinione in merito all";influenza dell";Italia sugli Stati Uniti?
Nessun altro gruppo etnico-linguistico ha avuto una larga influenza sulla nascita e sullo sviluppo degli Stati Uniti come quello italiano. Quando consideriamo le prime esplorazioni, la forza delle idee riguardanti il governo repubblicano, i pilastri legislativi, l";influenza dell";arte, dell";architettura e della musica, ecc. tutto questo indica che l";America non sarebbe stata ciò che è se non avesse avuto il contributo degli italiani. Inoltre c";è il duro lavoro fisico di edificazione delle infrastrutture stesse del Paese, lavoro cui contribuirono gli emigranti italiani nel XIX e XX secolo. E il contributo continua tutt";oggi con la cucina, la moda, il cinema, ecc.
Com";è la situazione delle organizzazioni americane italiane di cui lei è ricercatore ? Quali si distinguono, e per quali iniziative?
L";incoraggiamento e l";assistenza che le nostre organizzazioni "; attualmente se ne contano oltre 3 mila in tutta la nazione "; hanno dato agli americani di discendenza italiana nel corso degli anni, è stato ricompensato dall";aver raggiunto un livello senza precedenti di successo sociale ed economico. Tuttavia, questo successo non è riuscito ad offrire un";identità culturale precisa. L";assimilazione, naturalmente, è il contrassegno finale dell";accettazione da parte di una società ospitante. Quello che non si deve presupporre è un primato di una delle due culture: italiana e americana in questo caso. La forza degli Stati Uniti risiede proprio nel nostro pluralismo culturale.
Ora il problema che la comunità italoamericana deve affrontare è quello di motivare ancora gli associati in età avanzata e, numericamente in declino, e nello stesso tempo di rendere appetibili contenuti culturali in grado di attrarre i giovani. La sfida per la sopravvivenza di queste entità , i cui leader è l";Ordine dei Figli d";Italia in America (OSIA), ora al suo centenario, è duplice: avvicinare il mondo dei giovani e quello degli anziani, separati dalle generazioni, e avvicinare l";Italia di oggi agli italoamericani, separati dai continenti. Fallire questo obiettivo, potrebbe comportare la fine di tutte le organizzazioni italoamericane, rimpiazzate, forse "; e lo vediamo già "; da entità numericamente più piccole ma specializzate che si rivolgono ad una categoria professionale o si orientano verso obiettivi specifici. Mi viene in mente, per esempio, il movimento FIERI. Un altro approccio è quello della Fondazione Nazionale Italiana Americana, la NIAF.
Gli italoamericani riescono ad esprimere i valori della loro italianità ?
Certamente! Si presentano subito dicendo di essere italiani. Ma, generalmente, gli italoamericani sanno pochissimo dell";Italia, sia della storia che del contesto moderno di oggi. Questo è spiacevole. E ricade negativamente anche sul governo italiano che non riesce a capitalizzare il valore del mantenimento dei collegamenti culturali con gli americani di ascendenza italiana. Questa è la sfida. Dobbiamo distinguere i migranti del secondo dopoguerra che lasciarono l";Italia principalmente dopo il 1952, dai migranti del periodo classico: dal 1880 alla metà degli anni Venti del Novecento. È a questo gruppo classico che faccio riferimento. Questo gruppo è in gran parte ignorato dai programmi culturali italiani, così l";idea di mantenere o di riaccendere i legami tra i discendenti dei vecchi migranti, nel migliore dei casi è fortuita.
Il governo italiano raggiunge con i Comitati degli Italiani all";Estero, i Comites, solo 600 mila dei nuovi venuti dal ";52 in poi, che mantengono legami più recenti e autentici con l";Italia. Ma che cosa è stato dei 20 milioni di prima? La terza e la quarta generazione dei loro discendenti sono definibili oggi in termini di classe sociale ed economica piuttosto che di discendenza etnica. A loro deve essere fornita la nozione concettuale di storia italiana e di pensiero, come valore cognitivo.
Tra le prime e seconde generazioni, d";altro canto, v";è certamente un";ignoranza quasi totale della vita di oggi in Italia. Piuttosto, c";è un";idea di povertà del Mezzogiorno, di miseria, di una terra da cui i loro antenati furono costretti a fuggire. Tutto il resto: Roma, il Rinascimento, il Risorgimento, è pura mitologia.
Per concludere, parliamo di lei. Mantiene ancora legami con la Sicilia e la Campania, terre d";origine dei suoi familiari. E con l";Italia in generale?
L";Italia è il luogo in cui vengo in vacanza con la mia famiglia. Partecipo a numerose conferenze che si tengono in Italia. Sono attivo in molti progetti che interessano le autorità consolari italiane a New York e con la missione all";Onu. Sul versante interno molti sforzi sono stati fatti per assicurare che Washington non emarginasse l";Italia nella riorganizzazione del Consiglio di sicurezza dell";Onu. E questo ha avuto successo per il mantenimento dello status quo.
Sono sostenitore della Scuola Nord americana Italiana «Guglielmo Marconi». Ma devo ancora visitare San Marco d";Alunzio, che si affaccia sul mar Tirreno, a Messina, o San Bartolomeo in Galdo, vicino a Benevento da dove arrivarono nel XIX secolo i miei nonni materni e paterni. Come discendente di terza generazione, come potrei meglio riassumere la risposta alla vostra domanda se non ricordando le parole del mio caro amico Francesco Paolo Fulci (ambasciatore d";Italia all";Onu fino al 1999), quando mi presentò come Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana: «poco avrebbero immaginato i suoi nonni di quello che lui sarebbe diventato».