In fuga dalla miseria
Il fenomeno della mobilità , anche se legato ai primordi della storia umana, in questi ultimi anni ha assunto dimensioni universali e tragiche. Quando, anni fa, seguivamo attraverso i mass media il triste esodo dei cinesi dal Vietnam, che con le loro boat people affrontavano l";oceano in cerca di salvezza, non immaginavamo certo che quel dramma di esodi forzati si sarebbe esteso a tanti altri Paesi del mondo. Le cause del fenomeno sono riconducibili alle crisi endemiche che hanno bloccato processi di democratizzazione e di sviluppo d";interi Paesi; le guerre che hanno impoverito ancora di più interi popoli; le continue violazioni dei diritti, a partire da quello alla libertà , anche religiosa; l";insorgere, infine, di movimenti fondamentalisti. Sono fatti che hanno fomentato incredibili divisioni e odi tra popoli ed etnie residenti anche nella stessa nazione, incentivando fughe e abbandoni dalle terre d";origine.
Le conseguenze del fenomeno hanno dimensioni internazionali. E su questo piano esigono, per la loro drammatica centralità , analisi approfondite. Penso alle continue migrazioni di uomini e donne che, rischiando la propria vita, cercano di varcare le «frontiere calde» del continente americano per cercare lavoro e sicurezza. Penso alla fuga dai Paesi dell";Asia e dell";Africa verso le coste italiane. Quelli che arrivano qui dalla lontana Somalia devono attraversare i deserti di Sudan, Ciad e Libia prima di consegnare i loro averi ai mercanti di disperati che contrabbandano l";effimera speranza di un futuro migliore in Europa. Una speranza che naufraga spesso, con risvolti luttuosi, sulle coste di Lampedusa, della Sicilia o della Puglia. Quella dei migranti e dei rifugiati è un";emergenza carica di attese e di sofferenze.
L";Italia, interessata in modo massiccio dal fenomeno, che cosa può fare? Terra d";antica emigrazione, senza l";intervento e il sostegno dei Paesi dell";Unione Europea, non può certo avere risorse e forza politica sufficienti a bloccare, nei territori di provenienza, i flussi migratori diretti alle sue coste e alle sue frontiere. L";aiuto ai Paesi d";origine dei nuovi migranti "; dimostratosi efficiente, per esempio, a fermare il flusso migratorio dall";Albania "; richiede la coesione di politiche sociali, il coordinamento di forze e risorse. Per il diritto d";asilo agli immigrati, fuggiti dalla loro patria a causa di situazioni contingenti o di guerre, l";Italia dovrà offrire condizioni adeguate a favorire la loro serena integrazione nel Paese, nel rispetto delle loro diversità . È già un dato positivo che in Italia siano già 700 mila gli extracomunitari regolarizzati in questi ultimi anni, e che molti di loro abbiano avviato imprese, creando nuovi posti di lavoro e portando benessere e ricchezza all";economia nazionale.
La Chiesa, particolarmente coinvolta dall";attuale fenomeno dei flussi migratori, ha offerto più volte il suo contributo al modo di affrontare la questione, sul piano sociale e pastorale. La sua attenzione e le sue iniziative non sono rivolte alla gestione dei flussi ma ai bisogni dei migranti: agli aspetti relativi alla loro integrazione, al ricongiungimento dei loro familiari, alla necessità che sia riconosciuto uno status che garantisca loro diritti e doveri, con la possibilità di ottenere lavoro e parità di trattamento. «È proprio nella società e nella cultura che dobbiamo mostrare rispetto per la dignità dell";uomo, del migrante e del rifugiato», ha sottolineato Giovanni Paolo II nel suo discorso ai partecipanti al V Congresso mondiale della Pastorale per i migranti e i rifugiati; aggiungendo che una particolare attenzione deve essere rivolta alla «dimensione interreligiosa, specialmente per quanto riguarda i seguaci dell";Islam». Un invito, questo, rivolta ai cristiani e al mondo dell";Islam, affinché, di fronte ai drammi di questi ultimi mesi e ai problemi sociali legati alle migrazioni, non si pongano in posizione di conflitto, ma cooperino per garantire alla società civile il dialogo e la convivenza pacifica.