La lezione dell’Asia
«La fede ci insegna che anche nelle prove più difficili e dolorose, come nelle calamità che hanno colpito il Sud-Est Asiatico, Dio non ci abbandona mai». Così si esprimeva il Papa all";Angelus del 2 gennaio scorso ricordando il disastroso maremoto che ha provocato un numero enorme di vittime, probabilmente ben oltre le 150.000 stimate dall";Onu al momento in cui scriviamo queste righe. «Il Bambino di Betlemme è Colui che, alla vigilia della sua morte redentrice, ci lascerà il comandamento di amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amato. È nell";attuazione concreta di questo Suo comandamento che Egli fa sentire la sua presenza». Ad ogni cristiano, ad ogni uomo, il Papa ricordava che questo messaggio evangelico «dà fondamento alla speranza di un mondo migliore a condizione che camminiamo nel suo amore». È questa l";unica risposta cristiana alla domanda che torna in ogni sventura, pubblica o domestica, privata o mondiale: «Se Dio è Padre, perché ha permesso tutto questo?».
La risposta della Chiesa universale, e di quella sua particolare porzione che è la Chiesa italiana, nelle sue strutture in patria, nelle sue comunità all";estero e nel suo impegno missionario, è quella della solidarietà di tanti, espressa in impegno personale o in contributi economici, con la presenza fisica o con quella altrettanto fattiva del raccoglimento in preghiera.
Nelle ore della tragedia, la parola del Papa, dei nunzi apostolici nei Paesi feriti, dei vescovi, dei missionari, poneva i termini essenziali: siamo tutti colpiti, siamo tutti chiamati all";impegno solidale. Ogni giorno, nel recitare il Padre Nostro , ripetiamo «sia fatta la Tua volontà ». E tante volte "; per abitudine al dolore o per rassegnazione all";ineluttabilità "; attribuiamo la sventura alla volontà di Dio. Ma è davvero così? O non è più vero che l";autentica comprensione della volontà divina è in quell";amore scambievole, in quel sentire davvero la tragedia e la gioia dell";altro come proprie?
Pensiamo, dunque, al dopo emergenza, quando telecamere e microfoni non si affolleranno più nei Paesi colpiti. Ci saranno da ricostruire non solo strutture e infrastrutture, ma un intero tessuto sociale, per dare un futuro ai bambini rimasti orfani, un sostegno alle persone rimaste sole. E, forse, più importane sarà costruire un diverso rapporto tra i popoli accomunati dai due termini di ogni immane tragedia: il dolore e la solidarietà .
Certo, ancora una volta il segno autentico sarà l";immenso impegno assistenziale della Chiesa, compreso quello della Caritas antoniana del quale, come sempre, la rivista darà ai suoi lettori notizie e documentazione. Ma a questo compito è chiamata la comunità tutta, segnatamente nelle sue strutture governative e internazionali. «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»: anche così preghiamo ogni giorno. Sono parole che ci interpellano non solo come singoli, ma come comunità mondiale.
A rendere più gravi le conseguenze del maremoto asiatico "; si pensi all";insorgere quasi immediato e difficilmente controllabile di epidemie "; sono state e sono soprattutto le condizioni di miseria. Un modo per rendere duratura la solidarietà è rimuovere il debito da quei Paesi, un debito con l";estero che sottrae risorse preziose; è difendere la vita dalla miseria che rende più vulnerabili. Una comunità internazionale autenticamente preoccupata della pace è quella che moltiplica e diffonde gli strumenti di difesa della vita.