Marco Polo, un esempio da imitare
SYDNEY
Il nostro incontro è avvenuto a Sydney, in occasione della Conferenza dei Veneti d";Australia e Sud Africa (26-28 novembre 2004), alla quale ha partecipato come presidente del Comites di Brisbane. Ero però consapevole d";intervistare uno dei maggiori rappresentanti della comunità veneta e italiana del Queensland. Alla richiesta di un breve curriculum prima di lasciare l";Italia per Brisbane, Casagrande è quanto mai sintetico. Nato a Venezia nel 1942, frequenta i primi studi presso la Scuola dei Salesiani nell";isola di San Giorgio e poi i corsi universitari a Padova. Entrato nella Marina militare, s";inserisce nella nazionale italiana di canottaggio partecipando, negli anni 1962-64, ai campionati nazionali, europei, ai mondiali e alle olimpiadi. Gioca a Rugby con il CUS Venezia (Centro Universitario Sportivo Ca"; Foscari). Un anno dopo, nel 1965, (continua a giocare a rugby), raggiunge l";Australia dove si inserisce in una ditta d";imprenditori italiani, la Transfield, organizzando una succursale per la costruzione di ponti e dighe, in cui s";era specializzato. Dopo 15 anni passati alla Transfield, inizia una sua attività autonoma come imprenditore edile, con 120 maestranze, estendendo l";impresa ad un paio di ditte succursali. Un impegno questo, che lo inserisce nella Consulta delle infrastrutture del Queensland, e come membro del Board delle autostrade dello Stato. È già un breve curriculum che lo caratterizza non solo come imprenditore, ma anche come appassionato di sport e d";italianità .
Segafreddo. Quando avvenne il suo inserimento nell";associazionismo italiano?
Casagrande. Sono ormai vent";anni che sono coinvolto dalla comunità italiana, e da quindici sono presidente del Comites di Brisbane. Sono stato sei anni membro del Consiglio generale degli italiani all";estero (Cgie), come rappresentante dell";Australia, ma sono fiero d";aver fondato la Camera di Commercio Italiana del Queensland, il primo Lions Club, la prima Università per la Terza Età e la «Cattedra d";italiano» alla Griffith University di Brisbane.
Oltre a lei, quali altri italiani si sono distinti nel Queensland?
Tra gli italiani che hanno raggiunto una certa notorietà , ricordo, tra gli imprenditori, i Pradella. Il padre, proveniente da Brescia è proprietario di un";imponente ditta di costruzioni, e suo figlio, Silvio, è proprietario della più grande ditta di tubature d";Australia. I Panizza, soprattutto Giovanni, valtellinese, oltre ad una ditta di costruzioni, è proprietario anche di una vasta estensione di terreno per la coltivazione del grano e del cotone. Tra i politici, il senatore federale Santo Santoro, il deputato Con Sciacca, il sottosegretario al Ministero della Difesa, Teresa Gambarro, e altri.
La storia dell";emigrazione italiana nel Queensland è storicamente legata ai tagliatori di canna da zucchero. La loro migrazione iniziò nel 1902, quando gli australiani non potevano più assumere, per legge, i kanekers "; ovvero gli aborigeni provenienti dalle isole confinanti con l";Australia di estrazione polinesiana, negri trattati come schiavi "; che costituivano la necessaria mano d";opera per la produzione dello zucchero, molto fiorente in Australia ma a tutto beneficio dei signorotti inglesi. Con l";abolizione della presenza dei kanekers , e dopo due anni di fallimentari assunzioni di operai provenienti dalla Scozia e dall";Irlanda, la richiesta si rivolse al Nord Italia, convinti "; erroneamente "; della poca efficienza degli italiani del Sud. Incominciarono così ad arrivare i nostri connazionali dal Nord d";Italia, che portarono in Australia il sistema «a cottimo». Nonostante fosse proibito per legge, e contro l";opposizione dei sindacati, essi riuscirono ad essere pagati in base alla quantità del prodotto raccolto e nel periodo concordato, riservando a se stessi i costi del vitto e dell";alloggio. Furono anni duri, ma che resero questi pionieri, dopo pochi anni di duro lavoro, proprietari di molti terreni. Oggi, in questi territori del Queensland, vive una comunità italiana di quarta generazione che, purtroppo, non parla più l";italiano ma è attaccata ai valori dell";italianità . Il governo spagnolo ha incaricato un";università americana di fare un";indagine sulla comunità basca di Ingham, una delle città più caratteristiche di questo territorio. E il risultato di questa ricerca "; contenuto nel libro dal titolo Lo zucchero della canna degli italiani "; rileva come la comunità basca si fosse integrata con gli italiani tanto da parlare la loro lingua. La ricerca è stata presentata, dieci anni fa, in occasione della prima festa dei tagliatori di canna italiani, a cui ho partecipato come relatore. In quell";occasione, ho visto sotto un tendone circa millequattrocento tagliatori di canna italiani, alcuni dei quali "; con la schiena piegata dalla fatica e dai lunghi anni di lavoro "; hanno narrato momenti e fatti significativi della loro esperienza risalente al 1922. Storie e incontri che hanno affascinato l";affollata platea, tanto che quella prima settimana italiana di Ingham, da allora si ripete ogni anno, attirando anche centomila persone.
Sono pagine di storia della prima grande migrazione italiana in Australia.
Infatti, se togliamo i primi intellettuali o gli avventurieri attirati dalle miniere d";oro (ricordo che uno dei figli di Garibaldi è sepolto a Melbourne), i tagliatori di canna sono i più vecchi emigranti italiani in Australia. Da parte mia c";è per loro, e per i loro discendenti, una particolare attenzione. Loro sono gli italiani, rimasti isolati e sconosciuti dalle nostre istituzioni e autorità . Ma sull";italianità di questa gente "; che oggi costituisce un gruppo dalle 30 alle 40 mila persone "; ci sarebbe molto da scrivere: i loro negozi hanno ancora le insegne scritte in italiano, le loro tradizioni sono quelle dei paesi e della regione d";origine. Sono concentrati in città del nord del Queensland, come Ingham, con 14 mila abitanti e altri 40 mila nei dintorni; Innisfall, a cento chilometri da Ingham, con 20 mila persone d";origine italiana; Mareeba, con una comunità proveniente dalla Sicilia e dal Nord Est d";Italia, ex coltivatori di tabacco ed ora produttori di caffè o tè. Oggi, oltre alla coltivazione della terra, questi pionieri sono benemeriti per aver promosso industrie, soprattutto nel settore della meccanica, e delle attività commerciali.
Come presidente del Comites, e negli anni in cui lei è stato membro del Cgie, rispetto a quali problemi e a quali richieste della comunità italiana ha sollecitato delle risposte da parte delle nostre istituzioni?
Nel Queensland, gli italiani con passaporto sono circa 16 mila, e con i loro discendenti arrivano a 280 mila. Il mio impegno come presidente del Comites di Brisbane, dal 1988 ad oggi, si rivolge innanzitutto alle nuove generazioni. Per gli anziani, ci sono già persone specializzate che operano attraverso i Patronati e le associazioni, mentre per i nostri giovani, di terza e quarta generazione, c";è l";urgente problema del loro recupero. È un problema che sento anche come rappresentante degli imprenditori italiani d";Australia. Il valore dell";economia italiana non ricade più sulle nostre spalle, ma su quelle dei nostri discendenti; e questo lo dico conoscendo il valore di queste persone. Qualche anno fa, ho organizzato una conferenza per i giovani d";origine italiana, informandoli che non avevamo fondi per coprire i costi del loro viaggio. Ne sono arrivati 180, dalle più lontane città australiane e quattro dal Sud Africa, autofinanziandosi. E gli atti di quella conferenza li reputo, per la ricchezza dei contenuti e delle informazioni, più validi di tante conferenze a cui ho partecipato nei sei anni della mia partecipazione al Cgie.
Per questi contatti con le nuove generazioni italiane, è preziosissimo l";apporto di Maria Maruca, che oltre ad essere segretaria della Camera di Commercio di Brisbane, è presidente del NIAYC: «Giovani Italo-Australiani», un gruppo di 150 giovani che, senza club o sede associazionistica, comunicano fra loro via internet, organizzando due-tre incontri l";anno "; «progettati dai giovani per i giovani» "; a livello nazionale o nell";ambito di singoli stati. Come loro ci sono altri gruppi giovanili in Australia: la Italo-Australian Youth Association (IAYA) di Sydney, che produce anche un programma radiofonico dal titolo Movimento FM ; «Giovani Duemila» o «Giovani 2K» di Melbourne; un gruppo di giovani campani, ed ora il neonato «Gruppo Giovani Veneti», riconosciuto ufficialmente in occasione della Conferenza d";area dei Veneti svoltasi a Sydney. Abbiamo avuto risultati positivi anche dalla loro passione sportiva: 4 nostri giocatori di cricket, inviati a Roma, oggi giocano nella nazionale italiana; e lo stesso fenomeno è avvenuto per alcuni giocatori di rugby.
Quali proposte ha presentato alla Conferenza d";area dei Veneti d";Australia e Sud Africa?
A nome del gruppo di «Lavoro-Impresa» che ho coordinato, la nostra prima proposta chiedeva alla Regione del Veneto una nuova politica allo scopo di valorizzare il suo patrimonio umanistico ed economico attraverso una costante interazione tra i veneti in Italia e le loro comunità all";estero. La richiesta di uno «Sportello del Veneto per l";internazionalizzazione» ha lo scopo di rendere più agevole il flusso delle informazioni «da e per le imprese», assistendole negli investimenti in loco e attraendo investimenti in Regione. Come veneti abbiamo ereditato da Marco Polo il motto classico del mercante: Vai, vendi, impara e rivendi. Arrivati in Australia, noi abbiamo venduto, lavorando con le nostre mani e con il cervello, grazie alla nostra professionalità . E ci siamo riusciti. Poi abbiamo cercato d";imparare e in questo Paese, oltre al tecnicismo anglosassone di fare affari, abbiamo appreso la facilità d";essere imprenditori, piccoli o grandi.
Ora, nella logica di Marco Polo, dobbiamo rivendere : innanzitutto alla nostra Patria e alla Regione d";origine. Ma è qui che troviamo le difficoltà . Non siamo divenuti portatori di esperienze e rapporti: in Australia abbiamo cinque Camere di Commercio attive, con un giro d";affari di otto milioni di dollari l";anno, e con soli 14 impiegati. Ma come le Camere di Commercio Regionali sono il primo punto di contatto per gli operatori economici desiderosi d";intraprendere relazioni commerciali nel Veneto, lo stesso ruolo lo devono avere le Camere di Commercio Italiane all";estero per ogni missione economica proveniente dall";Italia. Ciò che non avviene. Per la loro esperienza in loco, esse sono le uniche a creare sinergie capaci di produrre passi significativi e qualificati negli scambi commerciali. Quando Marco Polo è ritornato in Italia, ha creato nuove vie di commercio con i Paesi asiatici. Noi siamo arrivati, abbiamo venduto, imparato, ma finora non siamo riusciti a creare rapporti, a stimolare investimenti in Australia da parte degli imprenditori italiani e veneti. I costi sono vantaggiosi e lo testimonia la presenza di tante ditte straniere che operano nel Paese, senza un capitale versato. Io constato che molti prodotti italiani e il cosiddetto «sistema veneto» non sono conosciuti in Australia e mi chiedo: come mai abbiamo lasciato a Paesi, come la Svezia o il Giappone, la possibilità di esportare e aprire negozi e joint-venture anche su prodotti che da secoli sono legati alla tradizione italiana o veneta, come l";arte del vetro o della ceramica? E come mai, oggi, le grandi ditte di costruzione, con tante maestranze italiane, sono in mano ai tedeschi?.
Da questa sua esperienza di vita qual è il messaggio finale che ci vuole lasciare?
Per prima cosa voglio rimarcare che l";Australia è terra d";investimenti. Il secondo messaggio riguarda i connazionali italiani con cittadinanza italiana. Ci stiamo preparando alle prossime elezioni politiche italiane. Noi italiani all";estero dobbiamo far vedere la nostra maturità non eleggendo i soliti «professionisti» ma coloro che, qui in Australia, conoscono e soprattutto hanno condiviso la nostra esperienza migratoria.