Famiglia, cellula base della società
L’anno scorso ho accolto l’invito di tenere una conversazione a un gruppo di genitori, in preparazione alla prima comunione dei loro figli. Il parroco, accogliendomi, mi aveva raccomandato di non soffermarmi sulle unioni irregolari, dato che diversi genitori erano conviventi o divorziati. Ho tenuto conto del suo suggerimento ma, soffermandomi con quei papà e le mamme sul loro non facile rapporto con i figli, mi ha colpito la libertà con cui parlavano del loro legame matrimoniale, conforme o no alla dottrina della Chiesa; e anche della loro ricerca di Dio. L’incontro (e non è stato l’unico) mi ha aiutato ad approfondire alcuni aspetti della crisi della famiglia e del matrimonio, ma mi ha fatto constatare come anche nei genitori non regolarmente sposati, nelle coppie conviventi o risposate civilmente dopo il fallimento del primo matrimonio permane la «domanda spirituale». Parlano senza riserbo delle motivazioni della loro scelta. E questo atteggiamento diviene un’opportunità per offrire loro dei suggerimenti illuminati dalla fede cristiana e dei modelli credibili per superare ostacoli economici, giuridici e culturali che spesso bloccano la regolarizzazione della loro unione.
Un altro segno di «domanda spirituale» è testimoniata anche dal numero crescente di coppie conviventi che frequentano i corsi in preparazione al matrimonio cristiano, alle quali viene offerta, con il superamento della provvisorietà della loro unione, la gioia di riscoprire i valori della fedeltà e del vero significato dell’amore che Dio ha suscitato in loro.
L’attenzione pastorale della Chiesa si estende, però, a tutte le coppie di cristiani che nelle loro modalità d’unione non intendono approdare al «matrimonio sacramento». Per molte di loro l’istituto del matrimonio non ha più un significato: non ne vedono la necessità. Una mentalità, questa, che sta diffondendosi nel mondo. Coppie di ragazzi e ragazze iniziano a trascorrere ferie e vacanze insieme, trovando accondiscendenti i loro genitori, e quando poi trovano l’opportunità, la loro esperienza affettiva si trasforma in stile di vita: in una convivenza priva di modelli autentici, senza prospettive che li induca al matrimonio. In queste libere unioni di fatto, sostenute da una cultura che contesta il matrimonio come istituzione, la nascita del primo figlio può divenire un’occasione per demolire i pregiudizi verso il matrimonio e proporre il modello della famiglia – anche solo per i suoi valori culturali e sociali – come un’istituzione che garantisce, più delle altre tipologie, la continuità dell’amore di una coppia e il rapporto continuativo e responsabile con i figli.
Si incontrano anche delle coppie di fidanzati e di conviventi che hanno timore di accostarsi al matrimonio – civile o religioso – per paura di ripetere l’errore di tanti amici e conoscenti separatisi dopo la loro unione. Non si sposano per eccessivo timore e noi possiamo aiutarle trasmettendo loro fiducia e ottimismo per le risorse che già possiedono e per le prospettive che possono raggiungere. Se poi sono cristiani, devono credere nella grazia specifica del sacramento che dona a loro la forza e la gioia di testimoniare la particolare vocazione d’essere discepoli del Signore nella via del matrimonio.
Più difficile è la proposta cristiana del rapporto affettivo e del modello del matrimonio alle coppie di fatto (o unite da patti di solidarietà), riguardo alle quali in alcuni Paesi sono stati giuridicamente riconosciuti alcuni diritti e tutele. Il pretesto della «non discriminazione» è divenuto uno dei criteri a sostegno del riconoscimento delle unioni di fatto anche omosessuali, le quali, nella visione cristiana del matrimonio basata sull’unità, sulla fedeltà e sulla fecondità della coppia, costituiscono una negazione alla complementarietà dei sessi insita nella legge naturale. Il loro eventuale riconoscimento giuridico, che deve rimanere nell’ambito dei diritti e dei doveri delle persone, non può in alcun modo equiparare le unioni di fatto alle famiglie legittime. Ci troviamo, quindi, di fronte a una vera e propria rivoluzione culturale che deve promuovere, da parte della Chiesa e da parte di ogni credente, nei valori cristiani della vita, modelli e testimonianze credibili in controtendenza.
Sono riflessioni che partono dalla convinzione che la famiglia è la prima cellula da cui dipende il futuro della società d’ogni razza e cultura. Il matrimonio non è un rito, un documento, un dovere cui sottostare; è una scelta di vita, basata sulla reciprocità tra l’uomo e la donna, che crea comunione duratura e permanente. E il modello del matrimonio cristiano, segno sensibile ed efficace dell’amore di Dio, è una ricchezza in più, un progetto con radici profonde nella legge naturale, che ogni Stato, pur nella sua autonomia, deve garantire e valorizzare.