La Luce sul sentiero della vita
La mia riflessione parte da un’iniziativa che si svolge da qualche anno nei giorni che precedono la festa del Santo di Padova: il «Cammino di sant’Antonio»: un percorso di 25 chilometri – dal santuario di Camposampiero, che ricorda l’apparizione del celeste Bambino al nostro Santo, alla Basilica padovana – a cui partecipano centinaia di giovani, con momenti di preghiera, di riflessione, di fraternità. Dopo una veglia nel Santuario di Camposampiero, i giovani verso mezzanotte incominciano a ripercorrere la strada che sant’Antonio fece quando percepì come ormai prossimo il suo transito al cielo. Nelle prime ore del mattino essi raggiungono il santuario dell’Arcella, memoria dell’antico eremo francescano che accolse il Santo morente, e concludono il pellegrinaggio con una celebrazione eucaristica nella Basilica che ne custodisce il corpo.
È un’iniziativa che ripropone la dimensione religiosa del «cammino», come esperienza personale o comunitaria, e può essere motivo di riflessione e di arricchimento spirituale per coloro che scelgono la Basilica del Santo di Padova per compiere un pellegrinaggio, anche con mezzi di trasporto più idonei, ma desiderosi di fare un cammino che rafforzi il loro legame con Dio. Il pellegrinaggio può essere personale o comunitario. Il «cammino antoniano» è un momento di grazia, un’esperienza collettiva vissuta dai giovani in un reciproco coinvolgimento di memorie e sentimenti; un’occasione per sperimentare la presenza e la forza di Dio che rende sicuri i nostri passi e segue con amore il cammino di chi crede in lui.
Allargando la nostra riflessione, il valore e il significato del «cammino» nella vita dell’uomo lo riscontriamo nelle tradizioni delle religioni più antiche. Ciò che lo motiva non è la fuga dalla quotidianità della vita, ma il bisogno di un recupero di senso e di spiritualità. Il pellegrinaggio ha avuto da sempre, nella storia dell’umanità, un significato profondo. Non è un’esperienza marginale e, a volte, fa parte dell’esperienza fondamentale di un popolo.
Il libro del Deuteronomio riporta una di queste grandi testimonianze: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima, e nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri» Dt 8,2.15-16. Il cammino come «chiamata» può ricevere anche un rifiuto. Lo ricorda il racconto biblico, espresso con immagini anche simboliche, di Giona che invece di accogliere la missione affidatagli da Dio, s’imbarca per raggiungere Tarsis. Ma, bloccato dalla tempesta e gettato in mare dai marinai, alla fine egli è comunque raggiunto da Dio.
Ai cammini dei patriarchi e dei profeti dell’Antico Testamento, divenuti perenne memoria del popolo d’Israele, si unisce il cammino di Gesù che svolse la sua missione evangelizzatrice e salvatrice percorrendo la Giudea, la Galilea, e inviando i discepoli affinché, strada facendo, predicassero che il regno dei cieli è vicino. Sul loro esempio, noi troviamo fin dai primi secoli della storia del cristianesimo, tante testimonianze di pellegrinaggi ai luoghi sacri della Terra Santa, alle tombe degli apostoli, dei martiri e dei confessori della fede cristiana, divenute méte di cammini per impetrare il rafforzamento della fede, un mutamento radicale del loro stile di vita o per chiedere a Dio e ai santi il dono della guarigione da una malattia.
Sui cammini dell’uomo, come verifica e ripresa del suo rapporto con Dio, forse la testimonianza più viva sta nel vangelo di Luca che pone il Risorto a fianco di due discepoli, sconfortati e delusi, sulla strada verso Emmaus. Un racconto che può divenire icona d’ogni pellegrinaggio; un’assicurazione che Cristo si affianca, sempre e comunque, al nostro cammino di vita.