Cambiamo il presente!
È sempre più crescente l’allarme per le povertà che stanno minacciando la vita di milioni di persone nei Paesi più poveri del mondo. «Seicento milioni di asiatici vivono oggi con meno di un dollaro al giorno, e altri quattrocento milioni vivono comunque sotto la soglia di povertà: è la più grande sfida politica che dobbiamo affrontare», ha dichiarato Rajat Nag, direttore generale della Banca asiatica di sviluppo. Sono dati che, se allargati a dei continenti come l’Africa, fotografano la drammatica estensione dell’«emergenza fame» che richiede urgenti interventi della comunità internazionale.
Per combattere il problema della fame e della malnutrizione «la grande sfida di oggi è quella di globalizzare non solo gli interessi economici e commerciali, ma anche le attese di solidarietà, nel rispetto e nella valorizzazione dell’apporto di ogni componente umana», ha sostenuto Benedetto XVI nel messaggio trasmesso martedì 4 giugno, tramite il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, alla Conferenza organizzata a Roma dalla Fao. Partendo da una breve analisi del contesto attuale, il Papa ha osservato come la crescente globalizzazione dei mercati, le moderne tecnologie o l’invio di aiuti alimentari nelle situazioni d’emergenza si siano dimostrati fallimentari nella risposta alla carenza alimentare. «Alla luce di tale situazione, occorre ribadire con forza che la fame e la malnutrizione sono inaccettabili in un mondo che, in realtà, dispone di livelli di produzione, di risorse e di conoscenze sufficienti per mettere fine a tali drammi e alle loro conseguenze». Oltre agli Stati Uniti e l’Onu, anche l’Unione europea ha risposto con rilevanti stanziamenti per bloccare l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Il premier britannico Gordon Brown spera che si attui «una rivoluzione delle politiche agricole in modo da aiutare i contadini poveri nei Paesi in via di sviluppo a produrre di più e a far sì che quei prodotti raggiungano il mercato e non vengano lasciati marcire, come capita oggi a più del cinquanta per cento del totale».
C’è però un altro fenomeno che richiama la nostra attenzione: il costante aumento della mobilità all’interno dei Paesi poveri e verso altri continenti. E se la fuga dalle aree rurali in crisi verso i centri urbani, con la fragile speranza di trovare casa e lavoro, sta sempre più allargando i quartieri delle mega città con tutte le negative conseguenze del fenomeno, il flusso migratorio transnazionale, comporta sempre maggiori sacrifici, uniti ad angosce e a insuperabili difficoltà d’inserimento e d’integrazione nei Paesi d’accoglienza.
Sono situazioni che stimolano conoscenza e coinvolgimento, mossi dal principio della solidarietà. Un termine, questo, che per noi cristiani non è inserito nel sistema di protezione sociale attuato dagli Stati o da organizzazioni assistenziali, ma è invece imparentato alla «carità sociale», una virtù che Giovanni Paolo Il aveva definito «civiltà dell’amore».
Nel proporre quest’anno il nostro progetto a favore di un gruppo di ragazzi che vivono in situazioni d’emergenza nelle periferie di Manila, intendiamo incrementare un impegno di solidarietà verso delle sfide che richiedono conoscenza e partecipazione. Lo scopo che ci siamo proposti è di togliere dei ragazzi dal circolo vizioso della povertà e dell’emarginazione, offrendo loro una casa e una scuola, dove possono vivere e crescere, invece di rimanere tra rifiuti e discariche. È un modo, certamente parziale, di rispondere alla dottrina sociale della Chiesa che, mettendo in risalto il carattere pubblico della fede cristiana, ci impegna come cristiani a contribuire per la costruzione della società secondo giustizia e pace. Un impegno che intendiamo realizzare con il dono della speranza cristiana, che ha la capacità, come scrive Benedetto XVI nella Spe salvi, di «cambiare il presente».