Gli italiani all'estero non possono aspettare ancora

Uda: chiediamo a governo e parlamento italiani il rispetto dei diritti di chi ha dovuto lasciare l'Italia per costruirsi un futuro, a volte senza successo, all'estero.
15 Dicembre 2008 | di

Roma
Antonio Uda, nuorese, segretario generale della Federazione Nazionale dei Pensionati della Cisl dal 2001, ha alle spalle un lungo percorso di militanza sindacale con ruoli di responsabilità, fino a ricoprire la carica di segretario generale della Cisl sarda. È stato poi eletto segretario confederale della Cisl, occupandosi delle politiche dei servizi, dell’amministrazione e delle politiche finanziarie. In questa intervista, Uda tocca problemi emergenti per tanti anziani italiani residenti all’estero.
Segafreddo. La Federazione Nazionale Pensionati insieme ad altri sindacati dei pensionati, ha incontrato i parlamentari eletti all’estero per affrontare problematiche che interessano i nostri connazionali residenti fuori dall’Italia. Quali sono state le risposte di governo e parlamento?
Uda
. Devo dire subito con grande sincerità che, purtroppo, il governo non ha risposto e noi stiamo sollecitando ancora una volta il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, per fare questa puntualizzazione. Dei membri del Parlamento, era presente il rappresentante dell’opposizione, mentre erano assenti quelli della Casa delle Libertà. E questo mi dispiace perché, come Cisl, non faccio politica partitica, ma soltanto una rivendicazione sul terreno sindacale, non speculando assolutamente sul piano ideologico. Noi stiamo ulteriormente spingendo perché ci sia qualche risposta alle attese, che provengono spesso da gente povera, di concittadini che vivono all’estero non per divertimento ma per necessità e per bisogno.
L’assegno di solidarietà per gli anziani residenti all’estero non è certo un omaggio dello Stato italiano. Qual è la condizione di questi anziani italiani che vivono spesso in povertà?
Questo assegno non è un regalo dello Stato italiano ma un diritto. E quindi lo Stato dovrebbe avere il dovere di garantirlo. Le condizioni di tanti anziani le ho constatate nei mesi scorsi in Cile, Argentina e Uruguay dove c’è grande attesa per un minimo riconoscimento di quello che lo Stato dovrebbe dare a quanti hanno dovuto lasciare la madre patria per trovare accoglienza e, soprattutto, quel lavoro che in Italia non avevano trovato. Sono condizioni di necessità estreme, spesso rasentano la decenza della povertà. Noi vogliamo fare una battaglia concreta, sociale, squisitamente sindacale perché la Cisl non condivide posizioni ideologiche di altre organizzazioni.
Sulla questione dell’assegno sociale a favore di anziani che rientrano in Italia senza l’obbligo di residenza continuativa, esistono concrete speranze di apertura?
Abbiamo fatto una battaglia durante l’iter di approvazione della Legge Finanziaria e, in parte, ci siamo riusciti. Quindi una minima risposta c’è stata. Adesso insistiamo perché non vengano omologati da chi oggi viene in Italia immigrato, anche se per quanto riguarda la mia cultura, la mia sensibilità, i miei convincimenti anche a questi nostri confratelli che vengono oggi in Italia, lo Stato italiano dovrebbe stare molto attento, e dare qualche cosa di concreto. Ma questa potrebbe essere una battaglia lunga e difficile. E quindi dobbiamo essere pronti a continuare la mobilitazione.
Il nodo del pagamento delle pensioni all’estero non è ancora stato sciolto del tutto. Quali sono i problemi ancora aperti, e con quale priorità chiedete che il governo italiano intervenga in questa materia?
La questione è stata posta ufficialmente, e ancora una volta sottolineata sia al governo, sia al presidente dell’Inps, e riguarda la speculazione nei confronti dei pensionati e delle pensionate operata dalle banche straniere, nei Paesi in cui vivono i nostri concittadini. Abbiamo chiesto che nel prossimo bando che dovrà fare l’Inps, ci sia una clausola che imponga alla banca all’estero che svolgerà questo servizio, non una tassa che io chiamo “usuraia”, ma la garanzia del totale riconoscimento e fruizione dell’ammontare della pensione che parte dall’Italia.
Si è sempre considerato l’investimento dei risparmi di una vita di lavoro all’estero nell’acquisto di una casa in Italia, come una prova d’orgoglio del legame dei connazionali all’estero con la terra d’origine. Perché allora non li si esenta dal pagamento dell’Ici della prima casa come tutti gli altri italiani?
Sono cose anacronistiche. E non capisco come si faccia ad essere manichei nel dividere gli italiani che abitano e hanno casa in Italia da quelli che, invece, hanno dovuto prendere nave o aereo per poter varcare i confini dell’Italia. Su tale questione abbiamo rivolto una domanda specifica al governo italiano, unitamente a un confronto serrato. Io sono convinto che a un rimedio si dovrà arrivare, e non capisco come i parlamentari eletti all’estero – di tutte le collocazioni partitiche – possano accettare che lo Stato italiano divida su questo punto i cittadini di serie A e quelli di serie B. Io sono comunque convinto che su questo problema la spunteremo.
Chi ha percepito pensioni indebite senza avere una responsabilità personale, si trova coinvolto in un procedimento amministrativo spesso non compreso a causa della farraginosità del nostro sistema previdenziale. Come si può uscire da questo tunnel burocratico?
Credo che la sanatoria dovrebbe essere – uso il condizionale “dovrebbe” visti i chiari di luna connessi all’attuale congiuntura economica – dovrebbe essere, dicevo, il metodo più corretto per fare tabula rasa di questi indebiti che per il 90-95% non dipendono da responsabilità del singolo quanto, piuttosto, per i ritardi degli enti previdenziali. Non a caso stiamo insistendo per ottenere un provvedimento amministrativo per cancellarli. Sarebbe bene che ci fosse un provvedimento unico riguardante situazioni uguali in Italia, ma soprattutto l’attenzione e la volontà di continuare in questa battaglia per aiutare questi nostri amici e amiche già maltrattati, impoveriti e spesso emarginati.
Conosciamo bene i vecchi accordi bilaterali tra Italia e altri Paesi del mondo oltre alle convenzioni internazionali superate oggi dalla storia. Quali sono le proposte e le priorità della FNP per aggiornare la normativa vigente?
Siamo in un mondo globalizzato, e l’economia si è internazionalizzata. Abbiamo visto anche lo sfascio della stessa speculazione dettata da persone che guardano al “dio denaro” anziché ai valori e alle regole che dovrebbero essere presenti nella convivenza dei rapporti internazionali. Quindi è naturale che ci debba essere anche una globalizzazione complessiva di quelli che sono i rapporti in campo socio-sanitario o previdenziale. I diversi Paesi dovrebbero confrontarsi attraverso accordi significativi che tengano conto di tutele particolari. Lo Stato italiano, per esempio, ancora non ha votato questo accordo bilaterale con il Cile con il quale siamo in forte ritardo. Dovrebbero, poi, essere aggiornati altri accordi con Canada, Australia, Argentina, Brasile ecc. Proprio perché l’evoluzione dei rapporti bilaterali fra gli Stati del mondo dovrebbero essere puntualmente aggiornati. Si sa che la politica è molto lontana dalla gente, al di là delle dichiarazioni roboanti attraverso le quali i vari candidati si presentano in campagna elettorale. La gente dovrebbe valutare attentamente a chi dare il consenso per farsi rappresentare al meglio, perché non sempre c’è una realtà che coniuga promesse e successive prassi comportamentali. Noi siamo fortemente impegnati a spingere in questa direzione. Dobbiamo incontrare il sottosegretario agli Esteri Scotti, perché ci sia anche da parte del Ministero degli Esteri questa attenzione. C’è anche un’altra questione: gli organici dei consolati e degli uffici che rappresentano l’Italia. Spesso si presentano molti connazionali presso questi uffici dove non c’è personale per dare delle risposte. I tagli vanno bene dove ci sono sprechi e ingiustizie ma non si possono attuare dove c’è bisogno di una reale presenza in uno Stato anche lontano dall’Italia. Gli italiani che stanno lì in sofferenza e in condizioni spesso anche di miseria, vorrebbero almeno un’accoglienza con un sorriso, almeno un ufficio aperto, non uno sportello chiuso. Dobbiamo affrontare queste battaglie, e continueremo con sagacia e abnegazione perché ci sia un cambiamento complessivo di linea politica del governo e del parlamento italiani.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017