Natale, prospetiva di umanità
«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio», scrive il profeta Isaia (9,5) e l’evangelista Luca aggiunge: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore» (2,11). Due annunci rivolti all’umanità che rendono il Natale non una festa pubblica, che la società secolarizzata sta rendendo sempre più occasione di sfruttamento commerciale, ma «una festa di Dio, non come vuole il mondo, ma in modo superiore al mondo», per usare le parole di san Gregorio Magno. La nascita del Salvatore è un intervento radicale nella Storia: un evento che apre il futuro dell’umanità, con una prospettiva sconvolgente, anche se si presenta attraverso il «segno» di un bambino nato a Betlemme, nella povertà di una grotta. È il dono più grande di Dio Padre per dare un nuovo volto all’umanità; manifestando, così, il proprio volto nella tenerezza del volto del Figlio. «In lui è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini», scrive Paolo nella lettera a Tito (2,11). Un’epifania di Dio, che cambia la vita dell’uomo.
Il Natale diventa «cristiano» nella misura in cui arriva al profondo dell’animo. È un evento storico e liturgico che ci toglie dalla ripetitività di tanti riti, per imporre alla nostra religiosità l’incontro col mistero, con l’ospite che Dio Padre ha fatto nascere con la collaborazione della Vergine Maria. Il significato dell’evento è arrivato in ogni continente come una provocazione e continua a coinvolgere popoli di culture, razze e religioni diverse, come festa delle luci, dei regali o dei «babbi natale». Modalità che toccano solo in superficie la sacralità e l’essenza del Natale, ma che esprimono, ciononostante, l’influenza e la forza del messaggio umano e spirituale della nascita del Salvatore, inserito nella Storia, non distaccato dai valori dell’umanesimo. «Il cristianesimo è il vertice dell’umanesimo: più diventi uomo autentico, più ti scopri cristiano», insegnava il teologo Luigi Sartori negli anni dopo il concilio Vaticano II. Lo affermava per stimolare l’attenzione dei cristiani inseriti in contesti sociali e culturali che escludono Dio e il patrimonio di valori umani e spirituali del Vangelo.
Celebrando il Natale, noi abbiamo l’occasione di riscoprire, ogni anno, il senso della vita e i perché della domanda di infinito insiti nella profondità del nostro essere. È un’occasione per sperimentare, come è avvenuto nei santi, che Dio, l’Emmanuele, è in noi, ospite misterioso. Francesco d’Assisi visse quest’incontro misterioso nel presepe di Greccio; Antonio di Padova nella visione del celeste Bambino a Camposampiero. E sant’Agostino, affascinato dal mistero dell’incarnazione, esclama: «Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova; tardi ti ho amato. La tua luce ha vinto la mia cecità; hai diffuso il tuo profumo: io l’ho respirato e ora anelo a te» (Confessioni 10,27). La nostra sete di infinito è talmente grande che nessuna cosa di questo mondo potrà essere mai capace di saziarla.
È questa dimensione intima e misteriosa del Natale che richiama l’attenzione di pensatori, scrittori e poeti. Tra gli altri, ricordo la familiarità di Antoine de Saint-Exupéry con il Bambino di Praga, che gli ispirò il capolavoro Il Piccolo Principe e la riflessione sullo stesso celeste Bambino di Edith Stein – cioè di Teresa Benedetta della Croce martirizzata ad Auschwitz – nel suo Il mistero del Natale. «Non è certo un caso – sottolinea – che egli porti sul capo una corona imperiale, proprio mentre il potere imperiale terreno sta arrivando alla fine». E si chiede: «Non è lui l’imperatore nascosto che deve mettere finalmente un termine a tutte le miserie? È proprio lui che ha in mano le redini, anche se gli uomini pensano di detenere il potere».