Migrazioni, priorità dell'agenda politica
Negli ultimi due mesi abbiamo avuto due occasioni per approfondire il fenomeno delle migrazioni: la «Giornata dei diritti dei migranti» istituita dall’Onu e celebrata nel dicembre scorso; e, a gennaio, la «Giornata Mondiale delle Migrazioni» in occasione della quale Papa Benedetto XVI ha scritto un messaggio in cui ha espresso la sollecitudine della Chiesa per chi vive l’esperienza dell’emigrazione: soprattutto per i migranti minorenni, nati nei Paesi ospitanti, «bisognosi di un ambiente sociale che consenta e favorisca il loro sviluppo fisico, culturale, spirituale e morale». L’attenzione ai diritti della persona, alle sue povertà, alle situazioni politiche e sociali che motivano oggi le migrazioni, si trova di fronte a violenze che tolgono la libertà a interi popoli, per i quali il futuro è possibile se a livello internazionale maturano progetti di ricostruzione, garanzie di lavoro, di riconciliazione, di pace. Speranze bloccate dall’attuale crisi economica che ha accresciuto la ricerca di lavoro, di sicurezze sociali, accentuando i flussi migratori. Mentre nelle nazioni che hanno il potere politico nella gestione dei problemi internazionali, non si riscontra la volontà di risolvere, in loco, le cause che spingono alla fuga milioni di migranti, ma solo l’interesse a determinarne restrizioni seppur nell’applicazione delle convenzioni internazionali. Tutto ciò a scapito dei contributi e del ruolo che i migranti continuano a offrire per lo sviluppo dei Paesi in cui sono inseriti.
Dal recente Forum arabo-africano organizzato al Cairo su iniziativa dell’Unesco, è emerso che oltre i 214 milioni di persone che hanno lasciato la loro patria, risultano emigrati altri 700 milioni all’interno dei rispettivi Paesi, spinti dalla povertà ma anche dalle conseguenze dei mutamenti climatici e dall’avanzata della desertificazione di suoli un tempo fertili. Un fenomeno che si estende dal continente africano all’Afghanistan, al Bangladesh e all’America centrale. Di fronte a queste situazioni di estrema gravità, la recente Conferenza di Copenaghen è riuscita solo a stabilire la soglia massima di 2 gradi centigradi come limite al surriscaldamento del pianeta; ma l’intesa – politicamente e legalmente – non è vincolante.
Anche l’Italia ha bisogno di una politica migratoria aperta alle nuove richieste. Le giornate e i vertici sui problemi migratori sono serviti alle istituzioni politiche e alle associazioni per individuare nuovi criteri per l’integrazione degli immigrati nel Paese. Oltre a garantire loro un lavoro, una casa, e a stimolare l’apprendimento della lingua, c’è l’attesa di una convergenza parlamentare sui criteri riguardanti il diritto di cittadinanza, che non deve essere inficiato dall’equazione immigrazione uguale criminalità che non trova conferme nelle statistiche ufficiali. I mass media parlano di immigrazione troppo spesso per fatti di cronaca nera, per minacce alla sicurezza, definendo clandestini coloro che invece sono dei rifugiati o dei richiedenti asilo, garantiti da norme del diritto internazionale. Il testo sulla cittadinanza proposto dalla maggioranza e in discussione alla Camera dei Deputati, non tiene conto delle legittime istanze avanzate dagli italiani all’estero, né di quelle riguardanti l’integrazione dei migranti regolari che lavorano da anni in Italia, pagano le tasse e producono ricchezza. Per i loro figli – 800 mila, di cui 500 mila nati in Italia – si richiede il riconoscimento del diritto di crescere, di studiare e di inserirsi come cittadini italiani. Scelte politiche diverse sarebbero in contrapposizione con quanto i nostri connazionali hanno potuto ottenere, con dignità e profitto, nei Paesi d’accoglienza, anche se per loro resta aperto il problema del riacquisto della cittadinanza persa per cause diverse, a volte non imputabili alla loro volontà, e per chi cerca di riacquisirla per diritto di sangue e discendenza.