In cammino per Emmaus

Incontriamo Cristo risorto ogni giorno, nella nostra vita, in un mondo spesso sordo alla fede. Ma la speranza illumina sempre i nostri passi e conferma la promessa della Risurrezione.
15 Marzo 2010 | di
Forse mai, come quest’anno, vivo le celebrazioni pasquali con il forte bisogno di sentire la speranza come dono di Dio e come conquista interiore. Paolo apostolo inizia la sua prima lettera a Timoteo definendo Cristo Gesù come «nostra speranza». «Un’espressione che è la forza della nostra vita», commenta il teologo luterano Dietrich Bonhöffer, protagonista della resistenza al Nazismo e ucciso per tale motivo a Flossenbürg il 9 aprile 1945, ormai al termine della Seconda Guerra mondiale. La speranza dona ragioni per un futuro migliore, offre motivi per non rimanere nella società in atteggiamento passivo, bloccati dal pessimismo, senza la volontà di raggiungere gli obiettivi che riteniamo necessari. L’evangelista Luca narra come l’annunzio della Risurrezione da parte di Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo parve agli apostoli «come un vaneggiamento». Pietro, tuttavia «si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide solo i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto» (Lc 24,11).
Questo atteggiamento degli apostoli del Signore, dopo la sua morte in croce, è messo maggiormente in risalto dall’evangelista Luca, soprattutto nel racconto dei due discepoli che, nel viaggio di ritorno da Gerusalemme verso Emmaus, sono affiancati da uno straniero. Gli rivelano la loro storia, le ragioni della loro tristezza, incapaci di riconoscere in quel compagno di strada il Maestro in cui avevano riposto le loro speranze. Il Risorto camminava accanto a loro «spiegando in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui»; e grande fu la loro gioia quando, allo «spezzar del pane», lo riconobbero prima che sparisse dalla loro vista. È una pagina che rappresenta le situazioni in cui rimaniamo incapaci di riconoscere il Risorto presente nella quotidianità della vita e anche nei contesti e nelle prove che maggiormente bloccano la nostra speranza. L’esperienza dei discepoli di Emmaus ci insegna come il cammino della fede è un cammino di speranza, emblema di ogni incontro con Colui che è «l’autore della vita» (At 3,15). Un cammino-ricerca verso nuove prospettive di vita, che richiede la disponibilità interiore per porci alla sequela del Risorto il quale, affiancandosi e verificando il nostro vissuto con tutte le sue insicurezze e attese, ci indica «le vie della vita» (Atti 2,28).
È solo dopo l’esperienza intima e profonda di questo incontro con il Risorto che possiamo ricevere la forza e la volontà di compiere il «salto di fede», senza la pretesa di capire tutti gli aspetti dell’evento della Risurrezione. «Credere per capire», suggerisce sant’Agostino, per distoglierci dalla tentazione di fermarci a discutere su Dio e non porre, come priorità, l’ascolto della sua parola e l’attenzione a un eventuale suo affiancamento al nostro cammino di vita. Una riflessione, questa, quanto mai attuale in un momento in cui gli insegnamenti tratti dal vangelo e trasmessi dalla Chiesa a sostegno dei principi etici e sociali che dovrebbero regolare la società, non sono accolti. Agli scienziati razionalisti e al mondo della politica, Dio e il suo messaggio di salvezza appaiono oggi come una realtà lontana, senza rapporti con l’uomo e con i suoi problemi più cruciali. San Giovanni, dopo aver esposto le apparizioni del Risorto agli apostoli increduli, proclama beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno; e termina sottolineando come «questi (segni) sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» Gv 20,31. Credere nel Risorto è certamente un «salto di fede», ma è garanzia di vita; motivo di una gioia che fa ardere il cuore, com’è avvenuto per i discepoli di Emmaus.
Buona Pasqua, carissimi amici, a nome mio personale e dei confratelli del Messaggero di sant'Antonio!
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017