La domenica al tempo del week-end
«Domenica è sempre domenica» cantava Mario Riva alla fine degli anni ’50, raccontando di un’Italia che si sveglia più lenta e gioiosa nel giorno di festa. Sono passati lustri e ora la musica è cambiata. La domenica è sempre meno domenica, sempre più indistinta dai giorni feriali, con i negozi aperti e le mille cose da fare, il tempo per stare insieme e per condividere sempre più contratto. Una domenica, insomma, sempre più week end con i suoi riti del divertimento e sempre meno giorno del riposo e delle relazioni, mentre è proprio la festa che consente «di dar ritmo ed equilibrio agli affetti e al lavoro» come ha più volte sottolineato l’arcivescovo di Milano Angelo Scola.
Non è un caso che la festa sia stato uno dei temi dominanti dell’ultimo Incontro mondiale delle famiglie, – «La famiglia: il lavoro e la festa» –, tenutosi a Milano dal 30 maggio al 3 giugno scorsi. In uno degli incontri, Luigino Bruni, professore di Economia Politica all’Università Milano Bicocca, sottolineava: «Oggi la società capitalistica e dei consumi conosce e ha bisogno di divertimento, ma ha timore della festa, non la capisce perché la festa è faccenda di relazioni non strumentali e di gratuità». Eppure, concludeva: «Senza festa non c’è lavoro e senza lavoro non c’è festa».
Questa radice relazionale e di gratuità della domenica che rende significativo il tempo del lavoro è la chiave che ci riporta alla domenica «giorno del Signore». Già i primi cristiani consideravano la domenica non l’ultimo ma il primo giorno della settimana, il giorno che dava corpo alla loro identità: «Senza domenica non possiamo vivere o dirci cristiani», usavano affermare. Con questo spirito si riunivano nelle case alla vigilia della domenica per celebrare l’Eucaristia. All’epoca la settimana era totalmente lavorativa eppure quei primi cristiani celebravano la loro festa fino a tarda notte, sospendevano per qualche ora di sonno e riprendevano i riti nelle prime ore del giorno.
Millenni dopo, i cristiani di oggi hanno reso sempre più sottile quel filo che li lega alla domenica «giorno del Signore». Solo i più anziani continuano a dirmi, quasi confidenzialmente: «Senza Messa non mi pare che sia domenica». Eppure la Chiesa, comunità di Gesù, è nata intorno all’Eucaristia. «Fate questo in memoria di me» ordinò Gesù ai discepoli. «Mangiatene e bevetene tutti, per la vostra salvezza eterna». La domenica cristiana libera e purifica con la sua profezia, fatta di unità nella diversità. È il ritorno nella nostra quotidianità della gioia della Pasqua, della vittoria di Gesù sulla morte. Difficile pensarsi cristiani senza questo fondamentale riferimento. Per capire cos’è rimasto oggi della domenica «giorno del Signore» ho chiesto la testimonianza di alcuni amici, sparsi per l’Italia.
Per Sofia, 23 anni, di Venezia, il senso della domenica è cambiato nel tempo: «Fino a qualche anno fa la passavo con il mio fidanzato. Mi alzavo tardi, per recuperare le energie spese nel sabato sera. Si andava a mangiare dalla nonna di lui, poi ci defilavamo per studiare o fare qualcosa con gli amici. D’estate il mare o la montagna, d’inverno i centri commerciali o il cinema. Poi, mi sono lasciata con il “moroso” e ho avuto un incontro particolare con il Signore, che mi ha cambiato la vita: oggi alla domenica pranzo con i miei, ma soprattutto vado a Messa, ben sapendo cosa questo significhi per me. Il resto è un po’ come prima: studio, gioco, vado al cinema, al mare, mangio la pizza, ma ho un Amico in più». Daniele è quasi coetaneo di Sofia, ha 22 anni e abita nel padovano. Si professa cattolico praticante, ed è disoccupato. «La domenica mi consente soprattutto di concedermi una “ricarica spirituale”. Ora che sono disoccupato mi impegno a leggere e a meditare la Parola di Dio. Vado a Messa di buonora, per aiutare poi nelle faccende di casa. Direi che proprio di domenica la crisi economica non riesce ad abbattermi». Elisa (Trento) e Giovanna (periferia di Padova) sono, invece, due persone anziane. La prima, vedova, passa la domenica con qualche amarezza perché né la figlia né il genero né la nipotina sono praticanti: «Eppure noi genitori abbiamo sempre dato l’esempio». Giovanna, invece, è single da sempre e la solitudine le pesa: «Per me la domenica è il primo giorno della settimana e inizia al sabato pomeriggio con la partecipazione all’Eucaristia prefestiva in parrocchia. Il giorno di festa mi alzo verso le 8, quando tutti ancora dormono. Seguo in tv le Messe delle 10 e delle 11. Ascolto l’Angelus del Papa, poi consumo un pranzo frugale. Mi addormento sul divano in attesa di recitare il Rosario da Lourdes. E così diventa sera presto. Però sono stanca di non vedere e sentire anima viva anche di domenica».
Per una coppia di sposi, Andrea (36) ed Elena (32), genitori di Michele (9) il giorno di festa ha un significato pieno. Vengono entrambi da una conversione e fanno della domenica un dono per collaborare all’evangelizzazione, aggregati al Movimento Nuovi Orizzonti. Il loro punto di riferimento è Giovanni Paolo II, il Papa della loro giovinezza.
Giustina (Firenze) e Cecilia (Reggio Calabria) sono due madri di grande fede. Giustina ha due figli (18 e 16 anni). Cecilia ne ha cinque, una, ormai grande e autonoma, in affido. Giustina ci tiene a sottolineare di avere tra i cugini un sacerdote e una suora, ma anche due giovani coppie separate e un agnostico. La sua famiglia non manca mai alla Messa. Il figlio maggiore anima con la chitarra quella dei bambini, mentre il secondo, durante la funzione, si mette tra il papà e la mamma. «Fino a qualche tempo fa, al momento del “Padre nostro” ci teneva le mani e alla fine le stringeva. Quante tensioni di coppia ha allentato quel suo gesto affettuoso», ci confida. Per lei «una domenica senza Messa è come una giornata senza sole, una festa senza amici, un pranzo senza invitati». C’è però qualcosa che guasta la festa: «Mi manca la possibilità di condividere qualcosa in più con mio marito». Cecilia, al contrario, ha la fortuna di una condivisione più piena, ma c’è un altro vuoto che la cruccia. «Per la mia famiglia la domenica è senza dubbio “il giorno del riposo”. Si “pigreggia” in casa, senza orari, né impegni. Per mio marito la mattinata è sportiva e il pomeriggio casalingo. Io condivido, apprezzo e godo del loro piacere di stare in famiglia, un po’ assieme e un po’ soli. Mi fa piacere che nessuno di noi accolga gli inviti allo shopping o alle gite “quasi obbligatorie”, per stare insieme andando al cinema o a un incontro tra amici. Però a me manca la gioia di condividere la fede, alimentandola con la frequenza alla Messa. L’unica che ci va regolarmente sono io. Il papà lo fa qualche volta, la figlia più piccola mi accompagna, spesso di malavoglia, i figli più grandi non frequentano per nulla. Tutti loro rispettano e forse anche apprezzano il mio desiderio di crescita spirituale e di appartenenza alla Chiesa. Per molto tempo mi sono addolorata e ho speso un sacco di parole… poi ho capito che, messo il seme, a me ora resta la parte più difficile: l’esempio e la preghiera».