I 50 anni della Mci di Colonia
Impegno sociale, culturale e pastorale. Sono questi i cardini dell’attività della Missione cattolica italiana di Colonia, in Germania, che ha superato il traguardo del mezzo secolo di vita. Ne ricostruiamo le vicende storiche con il responsabile, padre Baggio.
Msa. Che cos’ha rappresentato la Missione, per la nostra comunità italiana, in questi decenni?
Baggio. Potremmo dividere questi cinquant’anni in due periodi: nei primi venticinque anni è stata il centro di riferimento più importante per gli italiani che arrivavano a Colonia. Centro Caritas per pratiche e consigli, ufficio di collocamento, luogo di ritrovo quando ancora non c’erano locali italiani, centro di assistenza medica per fare da tramite con le strutture sanitarie tedesche, asilo infantile per i primi bambini giunti dall’Italia, centro parrocchiale e base per le missioni religiose nelle aree periferiche, punto di riferimento e di primo intervento per chi arrivava alla stazione ferroviaria e vedeva la scritta sul muro, adiacente ai binari: Missione cattolica italiana. Finita l’emergenza, questo luogo è andato sempre più identificandosi con la comunità cattolica di lingua italiana presente a Colonia, e con le attività religiose: catechesi ai ragazzi, organizzazione di gruppi giovanili, preparazione ai matrimoni e ai battesimi, conferenze sull’istruzione religiosa. Rimane tuttavia una pietra miliare utile soprattutto in mancanza di altri punti di riferimento.
Nel 1970 nasce l’opera più significativa della Missione cattolica italiana di Colonia: l’Istituto scolastico italiano Scalabrini (Isis), una scuola avviata da padre Giancarlo Cordani, mettendo a disposizione i locali del Centro di Ursulagartenstrasse. In questa sede, 452 giovani hanno conseguito il diploma di qualifica triennale per «Addetto alla segreteria d’azienda»; 280 il diploma di «maturità professionale per operatore commerciale»; 309 quello di «maturità magistrale»; 249 di «maturità linguistica»; oltre 3 mila giovani e adulti il diploma di «licenza media».
Può ricordare la comunità religiosa della Missione?
Nella Missione hanno operato due comunità: quella dei padri scalabriniani e quella delle suore della Divina Volontà. Tanti sono anche i collaboratori, il cui volto fa parte della storia della Missione, come quello dei sacerdoti e delle suore che vi hanno lavorato.
Lei però sostiene che la presenza della Missione cattolica italiana di Colonia risalga al gennaio del 1951. Perché?
L’attuale sede della Missione è stata inaugurata nel 1961, ma fin dal dopoguerra a Colonia era presente un sacerdote con un incarico ufficiale per l’assistenza agli italiani: don Pietro Turinetto di Torino. In una sua nota, non datata, ma presumibilmente del 1946, scrive: «In seguito allo scioglimento della Divisione Messina, presso la quale mi trovavo in qualità di cappellano militare, fui inviato in Germania con un convoglio di operai (…). Quando giunsi a Berlino, incontrai monsignor Prioni, ispettore dei cappellani degli operai in Germania. Egli mi inviò a Colonia. Il 1° agosto 1941 ricevetti dall’Ordinariato Militare un documento che mi dava la qualifica di cappellano addetto agli operai italiani della zona: Nord-Süd-Essen e Düsseldorf, Aachen, Köln, Koblenz, Trier».
Don Turinetto conclude: «Con gli americani arrivò la libertà. Io, senza chiedere il permesso a nessuno, presi un’automobile e incominciai a girare per i campi e ad organizzare funzioni religiose. A Gummersbach (…) davanti a una massa ingente di stranieri di ogni nazionalità, in una bellissima giornata di sole, celebrai la Santa Messa. (…). Molti ucraini, russi, jugoslavi non comprendevano del tutto che cosa si facesse (...); sentivano che si stava celebrando qualcosa di grande, e ascoltavano, in religioso silenzio, i canti liturgici che gli italiani (…) facevano risuonare su quelle alture davanti a quell’altare (…) sopra il quale sventolava il tricolore italiano». Nel 1951 arriva a Colonia don Meccheroni. Nello stesso anno nasce il periodico «La Squilla» che ha come sottotitolo: «Notiziario della Mci in Germania». Abbiamo quindi celebrato il cinquantesimo, ma poteva essere anche il sessantesimo o il settantesimo.
Recentemente avete organizzato un dibattito su Chiesa e integrazione. Sono emersi aspetti significativi?
È emerso il cosiddetto problema dell’integrazione. Noi speriamo che gli stranieri, in Italia, diventino italiani con il tempo, che – pur conservando le ricchezze delle loro culture – si sentano figli della nostra terra e nostri fratelli. Deve essere lo stesso per gli italiani in Germania? Nell’ultimo numero del nostro periodico «Insieme-Gemeinsam» ho scritto: «Il tema del dibattito al Domforum va ripreso. (…). Lo sappiamo tutti che non rientreremo in Italia e che, soprattutto, non vi rientreranno i nostri figli».
Scrive su «Die Zeit» Canan Topcu (giornalista, figlia di un emigrato turco): «Ci aspettiamo dai “tedeschi” che si interessino di noi e della nostra religione, che familiarizzino con i comandamenti e i divieti dell’islam, e ne tengano conto. Ma in tutta onestà: cosa conosciamo noi del cristianesimo? Ci interessiamo di questa religione? Chi di noi è entrato una volta in una chiesa? Chi di noi conosce la differenza tra cattolici e protestanti?».
Le parole di Canan Topcu mi hanno fatto riflettere: per noi, che siamo cristiani e condividiamo la religione con gran parte del popolo tedesco, è più facile formare con esso «un unico popolo»? O i musulmani diventeranno tedeschi prima di noi cristiani latini? San Paolo afferma: «Mi sono fatto Giudeo con i Giudei… pagano con i pagani… mi sono fatto debole con i deboli... mi sono fatto tutto a tutti... per diventarne partecipe con loro». È il caso di aggiungere: «Tedesco con i tedeschi?». L’emigrazione deve essere un’occasione per riscoprire la cattolicità della Chiesa. La cattolicità può offrire un contributo al cammino della storia e delle culture, e gli emigrati potrebbero avere un ruolo importante. Se sapranno vincere la tentazione di rinchiudersi nelle proprie particolarità.
Come si presentano, oggi, la Missione cattolica italiana e la nostra comunità in una città come Colonia, dagli antichi e particolari legami con l’Italia?
Descrivere una comunità non è facile, la «tua comunità» ancora meno. Nella città di Colonia siamo circa 20 mila italiani. Sappiamo tutti che non ritorneremo più in Italia, e non abbiamo ancora metabolizzato l’idea che il nostro futuro sia europeo-tedesco. Viviamo un po’ come un mondo a parte. Mentre il rapporto dei tedeschi con l’Italia scavalca gli emigrati italiani, essendo legato più alla cultura e all’arte, tutti noi apprezziamo l’efficienza del mondo tedesco. Eppure l’anima tedesca resta per noi un mistero.
Perfino l’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt, ne Il nostro secolo, scrive: «Devo riconoscere che la mia fiducia nei tedeschi non è incondizionata... il mio stesso popolo mi rimane, in fondo, un po’ inquietante». La sfida del futuro, per gli stranieri in Germania, resta il confronto con l’anima tedesca.