Italiani bravi a scuola?
In Germania vivono circa 771 mila persone di origine italiana: una grande comunità che si è andata formando nella seconda metà del Novecento e che oggi abbraccia diverse generazioni. Molti dei giovani italiani che frequentano le scuole e tentano di inserirsi nel mercato del lavoro sono ormai i nipoti dei primi emigrati. Dai media e dall’opinione pubblica gli italiani in Germania vengono considerati ben integrati.
Se per integrazione, però, si intende una positiva inclusione nel sistema sociale, economico e culturale di un Paese, allora i conti non tornano. Le statistiche indicano chiaramente che gli italiani di origine sono tra i gruppi emigrati con meno qualifiche professionali, con un tasso bassissimo di alunni che frequentano il liceo e un’elevata percentuale di scolari nelle scuole di livello più basso e in quelle differenziali (cioè per ragazzi con gravi difficoltà di apprendimento). Queste carriere scolastiche rendono ovviamente più difficile l’accesso al mercato del lavoro e fanno aumentare la probabilità della disoccupazione.
I dati statistici riguardanti l’insuccesso dei giovani italiani nel sistema scolastico tedesco sono noti da tempo, ma gli studi al riguardo sono ancora insufficienti per dare risposte a questa situazione.
Per questo motivo i Comitati degli Italiani all’Estero (Com.It.Es.) di Colonia, Dortmund, Francoforte, Friburgo, Hannover, Saarbrücken e Stoccarda hanno commissionato una ricerca su questo tema. Ha, così, preso avvio lo studio pilota condotto dalla dottoressa Edith Pichler dal titolo: «Giovani italiani tra inclusione ed esclusione». Si tratta di un’indagine qualitativa, svoltasi nel corso di nove mesi con interviste a 22 giovani di origine italiana residenti in 5 Länder (regioni) della Repubblica Federale, con percorsi di studio diversi. Il volume, pubblicato alla conclusione di questa fase iniziale della ricerca, presenta i primi risultati, che verranno successivamente analizzati in ulteriori pubblicazioni. Il metodo qualitativo di ricerca non fornisce dei dati rappresentativi dal punto di vista statistico, ma permette di mettere in luce i processi e i fattori che influenzano la carriera scolastica di una persona.
Risultati della ricerca
Il testo della Pichler tiene prima di tutto presente la storia migratoria degli italiani in Germania. La maggior parte di loro proveniva negli anni Sessanta da regioni agricole o scarsamente industrializzate. Le loro competenze professionali, quindi, non potevano essere impiegate e riconosciute nella Repubblica Federale, dove venivano prevalentemente occupati come operai. Se con la crisi economica degli anni Settanta il numero degli italiani in Germania rimane stabile, dopo un periodo di stagnazione, si può osservare negli anni Novanta una ripresa dell’emigrazione italiana. La crisi dell’industria di massa, il trasferimento della produzione in Paesi terzi e i processi di terziarizzazione hanno, però, fortemente contratto la disponibilità di posti di lavoro nell’industria. Mentre gli emigrati della prima generazione erano ancora inclusi nel sistema del welfare, gli italiani della seconda e terza generazione e i nuovi arrivati si trovano sempre più confrontati con un mercato del lavoro segmentato, dominato dal terziario, con posti di lavoro precari, ad esempio nel settore della gastronomia e delle pulizie.
La seconda generazione ha avuto grosse difficoltà d’inserimento nella scuola e questo si ripercuote ancora sui figli. Gli studi Pisa dell’OECD hanno rilevato, infatti, che in Germania il successo scolastico dipende in maniera più rilevante rispetto ad altri Paesi dalla condizione sociale e culturale di partenza dell’alunno. Chi proviene da famiglie meno abbienti e dotate di scarso capitale culturale ha molte meno chances in un sistema selettivo come quello tedesco, in cui i bambini al quarto anno (al sesto in alcuni Länder) passano alla scuola secondaria e vengono suddivisi nei tre rami che la compongono in base ai loro risultati scolastici. Ciò indica uno dei motivi per cui gli italiani, anche nella terza generazione, presentano una quota così alta di alunni che vengono assegnati alla Hauptschule, il ramo «residuo» della scuola dell’obbligo, frequentato da scolari che, a motivo dello «scarso rendimento scolastico», non hanno accesso ai due rami superiori del Gymnasium (Liceo) e della Realschule (scuole tecniche).
Attraverso le interviste, la dottoressa Pichler è arrivata, però, ad altri interessanti risultati che danno dei segnali di cambiamento in senso positivo. Per esempio, anche quei giovani che sono stati assegnati alle scuole di livello più basso cercano il più delle volte di continuare la loro formazione professionale, consapevoli che la sola scuola dell’obbligo non basta per trovare un lavoro. Si nota, in alcuni casi, che i ragazzi arrivano a conseguire la maturità, non per via diretta, ma riuscendo con il loro impegno a superare gli esami per passare da un tipo di scuola a un’altra.
Ma quali sono le barriere che bloccano inizialmente il passaggio al ginnasio? L’autrice dello studio indica, da una parte, gli errori di valutazione degli insegnanti, che spesso, anche inconsapevolmente, tendono a non considerare adatti al liceo i ragazzi di famiglie straniere, con genitori poco preparati. Dall’altra parte, sono a volte i genitori o gli alunni stessi che non hanno fiducia nelle proprie possibilità e vedono in un lungo percorso scolastico un investimento troppo grande sia in termini finanziari che di energie da parte della famiglia. Si attua così un meccanismo di auto-eliminazione o di riduzione delle proprie aspirazioni.
Molti italiani in Germania negli ultimi decenni per superare la crisi occupazionale nell’industria si sono dedicati alla cosiddetta economia etnica, con piccole aziende a conduzione famigliare, soprattutto nell’ambito della gastronomia. Secondo la Pichler questo fenomeno non implica automaticamente che i ragazzi rinuncino agli studi per lavorare nell’impresa di famiglia, anche se questo può succedere.
Per un buon successo scolastico, risultano molto importanti le reti sociali, i legami sia con gli autoctoni che con i connazionali, per dare ai giovani dei modelli di persone riuscite e un sostegno in caso di difficoltà. Ciò che danneggia i ragazzi è soprattutto l’isolamento delle famiglie.
Mentre spesso si afferma che l’integrazione implica l’abbandono dell’orientamento verso il Paese di origine e verso il proprio gruppo etnico, per alcune persone intervistate, invece, il mantenimento e la cura della cultura d’origine diventano un veicolo verso l’inclusione: competenze linguistiche e sociali multiple sono un’ulteriore risorsa e qualificazione che li rende concorrenziali sul mercato del lavoro.
Lo studio effettuato da Edith Pichler conferma ancora una volta che l’appartenenza socioeconomica e il grado di istruzione dei genitori sono elementi decisivi per il successo scolastico e sono fattori che richiedono molto tempo – a volte intere generazioni – per essere compensati.Il sistema scolastico tedesco non favorisce affatto questo processo e andrebbe ripensato – come avviene di fatto in alcuni Länder – per includere meglio l’ampia fascia dei giovani con retroterra migratorio. D’altra parte, vi sono anche questioni che richiamano la responsabilità della comunità emigrata nei confronti dei propri giovani: si mette in luce la necessità di superare l’isolamento delle famiglie, di creare collegamenti tra coloro che hanno sperimentato dei percorsi positivi e chi invece ancora incontra degli ostacoli. Si evidenzia che la cura della lingua e cultura di origine non è una barriera all’inclusione.
Quest’indagine rappresenta dunque un passo avanti verso una maggiore assunzione di responsabilità e di impegno a favore dei giovani.