Missioni, anno zero
Il delegato nazionale per le missioni cattoliche italiane in Germania e Scandinavia illustra le prospettive dell''impegno che attende religiosi e laici nella costruzione di nuovi rapporti all'interno della comunità italiana e nel Paese d'adozione.
Frankfurt
Nel cuore dell'Europa le missioni cattoliche italiane sono chiamate a raccogliere le sfide del terzo millennio. Singoli e comunità devono essere soprattutto propositivi, rompere l'isolamento e ogni eventuale contrapposizione, puntare al dialogo interetnico e fare in modo che la chiesa locale faccia propri e risolva i problemi dell'emigrazione, un fenomeno che, almeno in Germania, non sembra essersi esaurito. Di questo abbiamo parlato con padre Gabriele Parolin, delegato nazionale per le missioni cattoliche italiane in Germania e Scandinavia.
Msa. Qual è l'attuale situazione delle comunità cattoliche italiane in Germania?
Parolin. Direi che le comunità cattoliche italiane si trovano in una fase di evoluzione che rispecchia, peraltro, l'evoluzione di tutta la società , e l'evoluzione della chiesa qui in Germania. I rapporti con le persone e con il territorio, instaurati nel passato, sono cambiati, per cui risulta indispensabile trovare nuove forme e nuove relazioni. La Missione cattolica italiana è chiamata a cambiare volto e a ristrutturarsi in maniera diversa nell'organizzazione ecclesiale.
Cosa bisogna cambiare del passato?
Dagli anni Ottanta, le missioni si sono evolute come strutture parrocchiali al servizio delle collettività emigrate di lingua italiana, e hanno reso un ottimo servizio, sia a favore della famiglia, sia a favore della collettività in genere. Uno sviluppo in questo senso ha creato però delle distanze tra le missioni e le comunità parrocchiali di lingua tedesca, e ciò a scapito di una collaborazione reciproca. La chiesa, oggi, capisce sempre di più che è in cammino verso una maggiore cattolicità , e questo richiede un dialogo più intenso tra ogni tipo di comunità .
Può indicare una parola d'ordine che possa indicare e segnare il cammino futuro delle missioni nella chiesa in Germania?
«Comunionalità » è la parola che può indicare la tensione verso il futuro e, insieme, il programma di ogni comunità ecclesiale. Le missioni, come le parrocchie, non possono fermarsi al loro stadio attuale, bensì devono aprirsi le une alle altre in un rapporto di reciproca conoscenza e collaborazione. Ogni cristiano, sia autoctono così come di altra origine, deve sentire la chiesa locale come la propria madre, i problemi che essa vive come i propri problemi. Non è quindi pensabile che un missionario italiano si occupi solo degli italiani della sua missione, come non è pensabile che un parroco tedesco si occupi solo dei tedeschi. Ognuno deve sentirsi partecipe dello sviluppo degli uni e degli altri.
Questo significa, se capisco bene, che la missione, come la parrocchia locale, non dovranno più essere legate alla nazionalità , ma orientarsi a quello che si trova sul territorio...
Nelle diocesi tedesche si sente parlare sempre più di riorganizzazione delle strutture ecclesiali e di unità pastorali legate a un determinato territorio. In queste unità pastorali, che comprendono missioni e parrocchie, verranno discussi i problemi principali che si presentano, e insieme si cercheranno delle soluzioni. I problemi legati al mondo dei migranti non sono spesso molto diversi da quelli degli autoctoni. Presentano, forse, delle sfumature diverse. Per questo è indispensabile che ognuno, dal suo punto di vista, possa continuare a trovare delle soluzioni. Il grande vantaggio di entrare in queste unità pastorali è quello di far sì che la chiesa locale senta come suoi anche i problemi legati al mondo dell'emigrazione.
Le missioni assolvevano, però, a un compito di salvaguardia sia dell identità culturale sia di un modo particolare, vorrei dire addirittura «nazionale», di essere chiesa. In Germania, per esempio, la processione col santo patrono non si fa.
La sfida del futuro dipenderà dalla capacità che avranno le comunità straniere di essere propositive in questo dialogo all'interno delle unità pastorali. Se sapremo presentarci senza complessi di inferiorità , senza inutili passività , riusciremo a travasare nel mondo locale il meglio delle nostre tradizioni e della nostra cultura. Avremo così l'occasione di arricchire la chiesa locale con qualcosa di tipico del mondo latino, uscendo dall'isolamento nel quale spesso si trovano le nostre missioni.
Nel proposito di superare il concetto di «missione etnica», lei in fondo sta lavorando per il superamento dell'attuale struttura della Delegazione, così come è adesso?
Certamente anche il ruolo del Delegato dovrà cambiare. Già oggi è sempre più visto come Delegato dei vescovi tedeschi rispetto a un tempo in cui egli sembrava quasi la lunga mano della chiesa in Italia. Sia i vescovi che gli incaricati della pastorale per stranieri esigono che il Delegato agisca in stretta sintonia con le disposizioni delle singole diocesi e in comunione con il vescovo locale.
Le comunità locali tedesche sono pronte a raccogliere una sfida così potente, rappresentata dalla presenza e dalla vicinanza di comunità straniere, che non solo sono tali, ma anche molto diverse tra loro, e per di più non mediate da una struttura propria?
Le comunità locali hanno le stesse paure che spesso assillano le comunità di origine straniera. In più si ritrovano con una struttura parrocchiale a volte pesante, che impedisce talvolta un ripensamento profondo. In questo senso le comunità straniere sono più libere di inventare soluzioni nuove, anche se hanno l'handicap di un minore inserimento nel territorio. Ci vuole coraggio da una parte e dall'altra per entrare in dialogo, e ci vuole una profonda capacità di lasciare molti fardelli del passato.
E chi questo coraggio non ce l'ha? Chi è ancora culturalmente, pastoralmente, linguisticamente e sentimentalmente legato a una certa maniera di fare missione?
Forse non saranno solo i missionari italiani a traghettare la comunità verso soluzioni nuove. Sarà tutta la comunità che dovrà ritrovare il senso della sua presenza nella società . Mi auguro che i giovani nati e cresciuti qui in Germania, le donne alla ricerca di un nuovo ruolo nella chiesa, i laici impegnati nelle comunità di missione possano trovare iniziative nuove per creare la Missione del futuro.