Un mantovano alla corte di Dilma

Studi in filosofia e in teologia, ex operaio, Gilberto Carvalho, di origine italiana, è stato il principale consigliere di Lula per otto anni. E adesso la presidente Dilma Rousseff lo ha voluto a capo di un ministero.
15 Marzo 2011 | di

I personaggi influenti, e per questo davvero importanti nella classe dirigente di un Paese, non misurano la loro autorevolezza con l’effimero metro della popolarità. Chi conta veramente non ama stare sotto i riflettori, non fa esternazioni pubbliche, ma preferisce vivere mantenendosi in ombra. Eppure, dietro a capi di stato e di governo, dietro a ministri, dietro alla firma di trattati internazionali in grado di cambiare le sorti politiche ed economiche di una Nazione, c’è spesso il prezioso lavoro di cesello di questi personaggi poco noti. Un lavoro di enorme responsabilità fatto di studi approfonditi, di consigli preziosi, di argute mediazioni, di una serie di relazioni nazionali e internazionali ad altissimo livello.
Gli otto anni di governo del presidente Lula (da gennaio 2003 a dicembre 2010) sono già entrati nella storia come uno dei periodi più floridi del Brasile. I risultati sono tangibili e sotto gli occhi di tutti: milioni di cittadini hanno scalato la «piramide sociale», passando dalla classe E (povertà ndr) alla classe C; l’occupazione ha fatto segnare milioni di nuovi posti di lavoro; la crescita economica non ha risentito della crisi internazionale; il Paese ha definitivamente affermato la sua autosufficienza energetica, grazie anche alla scoperta di nuovi, enormi giacimenti petroliferi...
Sono tutti successi che l’ex tornitore meccanico Lula – politico di grande spessore, ma con un bagaglio culturale per forza di cose limitato – non avrebbe potuto raggiungere se non avesse avuto l’intelligenza di mettere, nei posti chiave del suo governo, dei personaggi preparati e di grande levatura. Tra questi si distingue la figura del suo capo di Gabinetto personale, Gilberto Carvalho, che per otto anni ha occupato l’ufficio che sta a soli cinque passi da quello presidenziale, al palazzo del Planalto di Brasilia; l’unico uomo – si dice – al quale era concessa la libertà di entrare in qualsiasi momento (e senza bussare) nella stanza del presidente.
Nato a Londrina (la seconda città più importante, dopo la capitale Curitiba, dello Stato del Paraná) nel gennaio del 1951, dopo la laurea in filosofia all’università federale del Paraná, Gilberto Carvalho studia teologia per tre anni presso lo Studium Theologicum di Curitiba.
Nel 1975, con una scelta radicale, abbandona trattati di filosofia e tomi di teologia e per una decina d’anni va a fare il saldatore meccanico, dapprima a Curitiba e quindi nella grande San Paolo, la «locomotiva» brasiliana.
L’esperienza in fabbrica, a fianco di operai che nel Brasile di quegli anni erano costretti a lavorare in condizioni difficili e con scarse tutele sindacali, sarà fondamentale per la sua crescita di uomo e per la sua formazione politica.
Sono gli anni in cui milita nella Pastoral operária nacional della Chiesa Cattolica (ente all’interno del quale, alla metà degli anni Ottanta, ricoprirà il ruolo di segretario generale), ma soprattutto sono gli anni in cui nasce una profonda amicizia con il sindacalista Luiz Inácio Lula da Silva, futuro presidente della Repubblica federale del Brasile, e con i «companheiros» che lo affiancano.
Dopo la dura esperienza in fabbrica, Gilberto Carvalho entra nella politica attiva tra le fila del Partito dei lavoratori (PT) occupando, anno dopo anno, ruoli sempre più importanti: è presidente del direttivo del Paraná (1987-1989), segretario nazionale per la formazione politica e direttore del centro di formazione politica e sindacale Instituto Camajar (1989-1993), segretario generale nazionale (1993-1995), segretario nazionale per la comunicazione (1995-1997), assessore comunale della città di Santo André – San Paolo (dal 1997 al 2001).
Nel frattempo si consolida l’amicizia, la stima e la collaborazione con Lula, anche se i due saranno sempre divisi dalla fede calcistica: il filosofo è infatti uno sfegatato tifoso del Palmeiras, mentre il futuro presidente tifa per i rivali del Corinthians.
Quando, il 1° gennaio 2003, Lula si insedia ufficialmente a Brasilia, vuole proprio Gilberto Carvalho al suo fianco a fargli da consigliere, da guida e da amico fidato. Figura minuta (e per questo chiamato simpaticamente dal presidente «Gilbertinho»), dal carattere schivo e riservato ma cordiale e pronto al sorriso, lo sguardo profondo di Carvalho ha sempre guidato le scelte di Lula nei due mandati presidenziali.
È stato l’uomo che ne coordinava l’agenda, il primo che lo accoglieva al ritorno da qualche viaggio internazionale, il primo a portargli le notizie (belle o brutte che fossero). In altre parole, nei palazzi del potere a Brasilia si diceva che Lula non aprisse bocca senza aver prima ascoltato il parere di Gilberto Carvalho.
In una delle sue rare interviste televisive, rilasciata poco più di un anno fa, al cronista che gli chiedeva conto del suo enorme ascendente su Lula, Gilberto Carvalho ribadiva umilmente il suo ruolo con queste parole: «Di fatto non ho alcun potere formale, non godo del rango di ministro e mi rivolgo al presidente dandogli del lei».
Tuttavia i giornalisti più attenti, che ne hanno compreso il grande potere, lo hanno soprannominato «il nuovo Golbery», «il nuovo Chalaça» (in riferimento a personaggi del passato della storia brasiliana) o ancora l’«Henry Kissinger brasiliano».
San Giorgio (Mantova) nel cuore
Gilberto Carvalho ha origini italiane, e precisamente nella famiglia Ballorotti di San Giorgio di Mantova. E a San Giorgio ha voluto tornare qualche anno fa, seguendo le tracce dei bisnonni emigrati in Brasile alla fine dell’Ottocento, per incontrare i Ballarotti che ancora vivono da quelle parti. È altresì curioso sottolineare il fatto che altri due eminenti oriundi mantovani hanno fatto parte dell’entourage di Lula negli ultimi anni: l’ex ministro dell’Agricoltura Miguel Rossetto e l’ex ministro Luiz Dulci.
Se al termine del secondo mandato presidenziale di Lula il nostro pensava di concedersi un meritato periodo di riposo, si sbagliava di grosso. Dopo aver fatto parte dell’équipe che ha curato la fase di transizione con il nuovo governo di Dilma Rousseff, infatti, la prima presidente donna del Brasile gli ha affidato il prestigioso incarico di ministro della Segreteria generale della presidenza della Repubblica. E per un governo che vuole ancora fare delle politiche sociali uno dei punti chiave del proprio programma politico, si tratta di un Ministero di fondamentale importanza, chiamato a svolgere un ruolo di «ponte» tra Brasilia e i movimenti sociali dell’intero Paese.
Nel suo discorso di insediamento, il 1° gennaio a Brasilia, davanti alla moglie Flor, ai cinque figli, ai colleghi di lavoro, di partito e agli amici, l’oriundo mantovano ha prima di tutto voluto rendere omaggio ai compagni di lavoro dei primi anni, quelli nelle fabbriche: «Desidero ricordare quei compagni che abbiamo perso per strada e quegli operai che hanno perso il posto di lavoro, la famiglia, che hanno perso tutto dopo lo sciopero del ‘79 a Curitiba, come Juca Quiabo, Antônio, Roberto..., perché è grazie a loro se noi siamo qui, in questo momento». E riguardo alla proposta della Presidente Rousseff: «Qualche settimana fa Dilma mi ha chiamato e mi ha detto: “Gilbertinho, ho bisogno di una persona come te, al mio fianco, che mi dica sempre come stanno veramente le cose e voglio che tu mi riferisca dei problemi e delle sofferenze della gente, delle istanze dei movimenti sociali”; è esattamente questo l’impegno che mi assumo come ministro».
Ma c’è forse una frase che più di ogni altra ci può spiegare il pensiero di questo politico brasiliano di origine italiana, che nel giugno scorso ha ricevuto l’onorificenza di commendatore dell’Ordine della stella della solidarietà italiana: «Ho vissuto per un periodo della mia vita in una favela e mi è capitato tante volte di accompagnare al cimitero gente che moriva di broncopolmonite e malnutrizione. A ogni pugno di terra che gettavo nelle loro povere tombe giuravo a me stesso e a Dio che avrei fatto di tutto per far terminare questa miseria nel nostro Paese».
Un messaggio che è anche il motto del nuovo logo ufficiale del Governo brasiliano, che recita: «Un Paese ricco è un Paese senza povertà».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017