Baratto amministrativo, nuovo patto sociale?
Pagare le tasse senza avere un euro in tasca. Fino a ieri sembrava impossibile, oggi è una realtà «a portata di amministrazione comunale». Lo si deve al decreto «Sblocca Italia», approvato nel 2014, che all’articolo 24 introduce il cosiddetto «baratto amministrativo», cioè la possibilità per i Comuni di proporre piccoli lavori come la manutenzione del verde pubblico, la pulizia delle strade o la tinteggiatura delle aule di una scuola in cambio dell’esenzione parziale o totale da tasse comunali. E così è diventata una prassi in alcuni Comuni vedere squadre di cittadini, armati di zappa e decespugliatore, andare a regolare le aiuole del paese. Il decreto, venuto alla luce senza grandi clamori, ha fatto lentamente breccia soprattutto nei piccoli Comuni creando una varietà di applicazioni che strizza l’occhio a un nuovo modo di concepire il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. Ultimamente anche i grandi Comuni si sono convertiti al baratto amministrativo, tanto che Milano ne inizia l’applicazione proprio a gennaio e Bari la segue a ruota.
«Sono ormai più di cento i Comuni in tutta Italia che hanno già istituito il baratto amministrativo. E molti altri stanno valutando il modo in cui introdurlo – spiega Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno e presidente Ifel (Istituto per la finanza e l’economia locale dell’Associazione nazionale comuni italiani) –. Le iniziative più all’avanguardia sono soprattutto in Toscana e in Emilia Romagna». Un successo inatteso, anche a detta della madrina della norma, Antonella Manzione, capo Dipartimento affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi: «Ciò che più mi ha stupito è stata l’esplosione d’interesse che la norma ha suscitato. Ho osservato con piacere come i governi locali abbiano sfruttato al massimo le sue potenzialità, andando oltre le intenzioni del legislatore».
Il decreto ha in realtà maglie molto larghe, rimandando l’applicazione e il relativo regolamento ai singoli Comuni, che devono disciplinare ogni dettaglio. Il baratto amministrativo, infatti, può essere applicato in mille modi: può essere esteso a tutti i cittadini o solo a chi è in difficoltà economica. In genere riguarda le imposte comunali come Imu (tassa sugli immobili), Tasi (tassa per finanziare i servizi comunali) o Tari (tassa sui rifiuti), ma c’è chi lo utilizza anche per gli affitti arretrati della casa popolare o per i morosi della mensa scolastica. A seconda dei casi, si può estinguere un debito arretrato o uno futuro. Le tasse possono essere ridotte in tutto o in parte a discrezione del Comune, che sceglie pure gli interventi da effettuare: «Anche se in generale quelli a cui più si fa ricorso – chiarisce Castelli – riguardano la manutenzione delle aree verdi e la gestione del traffico davanti alle scuole». Tuttavia molti potrebbero essere gli ambiti di applicazione: per esempio, il Comune di Bari già intravede una «fase due» in cui prendere in considerazione anche alcuni servizi alla persona. Un occhio di riguardo va alle associazioni, che la legge agevola rispetto ai singoli, tanto che il baratto amministrativo può anche essere pensato, secondo Castelli, come un modo per ridurre la pressione fiscale sul Terzo settore. «Proprio alcuni giorni fa – racconta – un circolo di anziani nella mia città ha fatto ricorso al baratto amministrativo per pagare la Tasi, tassa particolarmente sgradevole per le associazioni».
Le due vie del baratto Ciò che si nota a vista d’occhio facendo una panoramica sulle esperienze in atto è che il baratto amministrativo ha preso due strade maestre: alcuni Comuni lo utilizzano principalmente per incentivare la partecipazione attiva dei cittadini; altri Comuni lo usano, invece, come mezzo per venire incontro ai cittadini in difficoltà economica. Sono due strade differenti, che portano a due visioni e a due risultati differenti.
Un Comune che ha scelto la prima strada è Massarosa, in provincia di Lucca, 22.500 abitanti, alle spalle una lunga esperienza di associazionismo. Qui il baratto amministrativo, realizzato a tempo di record, probabilmente per la prima volta in Italia, ha ormai superato la boa del primo anno di vita: «Abbiamo da subito scollegato l’accesso al baratto amministrativo dal censo e dai parametri Isee (Indicatore della situazione economica) – afferma Luca Canessa, direttore generale del Comune – e abbiamo dato a tutti quelli che aderiscono la possibilità di avere uno sconto del 50 per cento sulla Tari. Ciò perché siamo convinti che questa nuova possibilità debba rimanere nell’ambito del volontariato. La nostra intenzione non è quella di condonare un debito, ma di premiare il cittadino che s’impegna sul territorio. Per chi ha problemi economici i Comuni hanno altri strumenti e l’applicazione del baratto amministrativo a questi scopi potrebbe risultare ambigua».
Di tutt’altra opinione il Comune di Milano. Qui il baratto amministrativo sarà applicato solo ai «morosi incolpevoli», a persone, cioè, che non possono pagare tributi comunali di qualsiasi tipo, anche multe o rette scolastiche, per cause oggettive, come per esempio la perdita del lavoro, e che hanno un reddito Isee fino a 21 mila euro. I debiti devono essere antecedenti e devono avere un valore minimo di 1.500 euro. L’utilizzo del baratto amministrativo per agevolare i contribuenti in difficoltà è, a parere di Castelli, l’interpretazione più ricorrente: «Risponde all’esigenza di molti di poter rimanere, nonostante le difficoltà economiche, dentro il perimetro della legalità, evitando interventi coattivi e facendo qualcosa di buono per la collettività. Non è carità ma scambio».
I detrattori della norma Il baratto amministrativo non suscita solo entusiasmi, ma anche perplessità e critiche aperte. C’è chi scomoda anche la storia, come «il Manifesto», parlando provocatoriamente del ritorno alle corvée feudali (prestazione dovuta dal vassallo al signore feudale). I detrattori sottolineano che in questi tempi di vacche magre, con i Comuni strozzati dal Patto di stabilità, avere manodopera per i servizi di fatto «pagandola» con debiti che non potrebbero essere riscossi altrimenti è una soluzione piuttosto interessante e interessata. Per questa parte dell’opinione pubblica il problema sta proprio nel fatto che la norma sta a metà tra la cittadinanza attiva – che ha a fondamento il concetto di partecipazione volontaria e gratuita – e l’obbligatorietà di pagare le tasse. Ambigua anche la possibilità di ricevere comunque una ricompensa per il proprio impegno a favore del bene comune.
Non ci sta Antonella Manzione di fronte a queste interpretazioni: «Sono diversi modi di leggere una buona intenzione. La norma è stata pensata con lo scopo di valorizzare la partecipazione dei cittadini alla vita della propria comunità, incentivando questo coinvolgimento. L’effetto che stiamo riscontrando è sicuramente e volutamente partecipativo, a prescindere dalle difficoltà finanziarie dell’ente. Il focus, casomai, è su quelle del cittadino».
E in effetti i cittadini rispondono: «A Massarosa l’adesione è stata immediata e numerosa. Abbiamo persino dovuto riaprire il bando – racconta Canessa – su richiesta pressante dei cittadini. L’esperienza del baratto amministrativo ha di fatto saldato il legame tra Comune e cittadini e tra cittadino e cittadino. Ci sono arrivate proposte per migliorare il territorio e abbiamo discusso insieme. La ricaduta è sotto gli occhi di tutti: un territorio più curato e più solidale».
Rimane sul tappeto un tema delicato, che ogni Comune deve trattare secondo i propri parametri, perché un’amministrazione del Nord non è come una del Sud, e un piccolo Comune ha esigenze diverse rispetto a una metropoli. Il tema è come stabilire un valore equo rispetto alle ore lavorate, per fugare ogni dubbio di sfruttamento. «In effetti – precisa Castelli – è importante regolamentare bene sia “la misurazione” dell’apporto dei cittadini, sia il controllo delle attività svolte, sia la correlazione tra attività svolta e beneficio fiscale connesso». E anche qui le interpretazioni si sprecano. Invorio, un piccolo Comune in provincia di Novara, ha per esempio scelto come parametro il voucher di lavoro, oggi usatissimo per pagare prestazioni occasionali, stabilendo un compenso netto di 7 euro e 50 all’ora.
Insomma, tra contraddizioni e provvedimenti da mettere a punto, l’Italia dei Comuni sembra aver imboccato una nuova strada. Presto, però, per dire che l’era della vera sussidiarietà e della democrazia partecipata sia finalmente iniziata in tutto lo Stivale.
IL SOCIOLOGO L’obiettivo è la democrazia partecipata
Quali novità introduce il baratto amministrativo rispetto alla relazione tra cittadini e pubbliche amministrazioni? Risponde Michele Sorice, esperto in innovazione democratica e docente di Democrazia deliberativa e nuove tecnologie alla Luiss.
Sorice. La principale novità è che la legge favorisce l’intervento attivo dei cittadini, anzi lo prevede espressamente. Quindi istituisce una logica di collaborazione, almeno in via teorica, che introduce la possibilità per i cittadini di diventare parte attiva delle politiche pubbliche.
Perché «in via teorica»? Perché molto spesso le pubbliche amministrazioni utilizzano il baratto amministrativo come elemento di supplenza alle loro carenze e quindi diventa in realtà un dispositivo amministrativo finanziario, di tipo fiscale o parafiscale. Il rischio è quello di introdurre nella realtà un meccanismo surrettizio di lavoro non retribuito per le fasce più deboli.
E se il baratto amministrativo è slegato dalle condizioni economiche del cittadino? Lì si corre un altro rischio: che la logica del dono, della disponibilità e della gratuità a fronte di un vantaggio che alla fine è economico si trasformi in una finta disponibilità.
Ma allora il baratto amministrativo è un buco nell’acqua? Ho parlato di rischi possibili, su cui vigilare. Credo che il baratto amministrativo sia il primo gradino e potenzialmente un grande strumento per arrivare alla cittadinanza attiva; può funzionare se collocato nell’ottica di una maggior apertura educativa, di una maggiore partecipazione dei cittadini, ma non è ancora cittadinanza attiva.
Come riportarlo nei giusti canali? Collocandolo nelle logiche di governance collaborativa, in logiche, cioè, che coinvolgono davvero i cittadini nei processi decisionali e gestionali dell’amministrazione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di andare verso forme di reale democrazia partecipata.