Il Rinascimento di Donatello
Dopo la mostra «Giotto e il suo tempo» che ha proposto la città del Santo come capitale dell";arte nel Trecento, un'altra mostra «Donatello e il suo tempo. Il bronzetto a Padova nel Quattrocento e nel Cinquecento» conferma che, anche nel secolo del Rinascimento, il capoluogo euganeo non è stato secondo a nessuno. A farlo diventare un polo d";attrazione per gli artisti del tempo, non solo padovani, è stata la presenza in città di uno straordinario maestro, Donatello "; e in seguito anche Mantegna ";, che ha traghettato l";arte veneta, già splendida ma ancora ingabbiata nei rigori schematici del tardogotico, verso il mare aperto e luminoso della Rinascenza.
Rinascimento vuol dire interesse rinnovato per la realtà , recupero della cultura classica greco-romana, rivalutazione dell";«uomo» e del suo mondo, dopo secoli di esclusiva attenzione ai misteri e ai simboli dell";aldilà . Portata nell";arte, la classicità ridefinisce il «bello» come proporzione e armonia: ad essa gli artisti s";ispirano ricercandone le tracce, ristudiandone le opere, riprendendone alcuni elementi formali, come capitelli, colonne, timpani, nell";architettura ma anche nella pittura. Rinascimento è anche prospettiva, una nuova tecnica di raffigurazione che, servendosi di regole matematiche e grafiche, consente di riprodurre la realtà nella sua completezza di dimensioni.
Con queste esplosive novità , apprese e maturate a Firenze alla scuola di Lorenzo Ghiberti, assieme all";amico Filippo Brunelleschi, Donatello portava a Padova "; come scrive Marco Pizzo nel Catalogo della mostra "; «non solo una bottega, ma una vera ";officina";, popolata di collaboratori e di esperti artieri, dai fonditori ai facchini, tutti coinvolti in imprese che riverberarono in maniera determinante in tutto il panorama artistico circostante». In quell";officina nasceva una tradizione artistica tra le più interessanti del Rinascimento: la creazione di piccole sculture in bronzo, con figure mutuate dal mondo classico, ma anche di oggetti di uso comune, investiti anch";essi (non più solo la grande opera religiosa) dal canone dell";estetica, della bellezza.
Donato de"; Bardi, detto Donatello, giungeva a Padova da Firenze nel 1443. Scultore notissimo per aver creato nella sua città straordinari capolavori di scultura in marmo, in legno policromo, ma soprattutto in bronzo. Opere splendide e innovative, frutti maturi di uno studio costante dell";artista, attento al passato classico ma anche impegnato nella ricerca di soluzioni nuove che gli permettessero di tradurre un";ispirazione sempre fervida e prolifica in spazi, volumi, forme sempre più espressive ed eleganti.
Non si sa chi abbia chiamato a Padova Donatello. Chiunque lo abbia fatto, sapeva che lo scultore fiorentino era perfettamente in grado di rispondere alle esigenze dei francescani che, probabilmente anche in vista del Giubileo del 1450, sotto papa Nicolò V, avevano trasformato la basilica antoniana in una fucina d";arte vivacissima. Presbiterio e dintorni erano coinvolti in un";importante trasformazione: si stavano innalzando le cortine per delimitare il coro; si pensava a un grande crocifisso da porre al centro della chiesa per la venerazione dei fedeli; si progettava di popolare di statue il vecchio altare maggiore gotico.
Ma anche committenti laici erano interessati a Donatello. Gli eredi di Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, capitano generale della Serenissima, morto nel 1443, intendevano dedicare un monumento equestre al loro illustre familiare.
Il Crocifisso e una selva di statue
La prima opera cui Donatello pose mano fu il monumento equestre al Gattamelata, ma impreviste difficoltà lo costrinsero a sospendere il lavoro che porterà a termine solo nel 1453. Intanto, i frati gli commissionavano il Crocifisso. Vi pose mano subito, e cinque anni dopo, l";artista consegnava ai frati e alla città un capolavoro assoluto. Basta osservare la morbidezza con cui è modellato il corpo del Cristo morente; la sapienza anatomica (Donatello deve aver frequentato i già prestigiosi Studi di medicina e anatomia dell";Università padovana); l";armonia delle proporzioni nella figura atletica e muscolosa del Cristo; la serena dignità che promana dal volto pur contratto dall";agonia, rivelata da una vena rigonfia sulla fronte.
Nel frattempo, i frati avevano affidato all";artista il compito di realizzare una serie di altre opere per l";altare maggiore: sei statue a tutto tondo, diverse formelle in bassorilievo con episodi della vita di sant";Antonio e altro ancora. Un lavoro imponente e faticoso per realizzare il quale Donatello si attorniò di un discreto numero di discepoli (Giovanni da Cortona, Giovanni da Pisa, Francesco del Valente, Niccolò Pizzolo, ecc.), ai quali affidò subito la realizzazione di dieci bassorilievi con angioletti musicanti e le formelle dei quattro evangelisti.
Piantato in asso dai collaboratori che mal tolleravano il suo caratteraccio, Donatello proseguì il suo lavoro creando sei statue di santi (Francesco d";Assisi, Giustina, Antonio di Padova, Ludovico d";Angiò, Daniele e Prosdocimo) tutti bellissimi nella loro quieta ma fremente classicità ; un Cristo morto sorretto da due angeli piangenti, al quale molti pittori veneti, dal Bellini al Vivarini, si ispireranno per le loro «Pietà »; due angioletti musicanti per completare la serie interrotta dai discepoli; una drammatica Deposizione in pietra di Nanto bronzata, nella quale l";espressionismo donatelliano raggiunse i vertici più alti; le quattro formelle raffiguranti altrettanti miracoli di sant";Antonio.
Queste ultime formelle sono considerate tra le più belle opere in assoluto del Quattrocento. In esse il Donatello ha sviluppato al massimo le sue qualità pittoriche, conferendo al bronzo prospettive e vibrazioni mai prima tentate.
Ultima in ordine di tempo, una Madonna seduta nell";atto di «offrire» alla devozione dei fedeli un delizioso Gesù Bambino. È una composizione inconsueta. Nella solennità della rappresentazione è più evidente il richiamo a modelli bizantini presenti nella vicina Venezia che a quelli del Rinascimento fiorentino.
L";altare di Donatello
Il vecchio altare gotico, cui le sculture donatelliane inizialmente erano destinate, si dimostrò inadeguato e il maestro fu invitato a realizzarne uno più adatto. Su di esso, alla fine, trovarono degna collocazione tutte le opere dell";artista, Crocifisso escluso.
Come fosse l";altare donatelliano non è dato saperlo. Ritenuto non più consono alla solennità della liturgia emersa dal Concilio di Trento, esso fu abbattuto e sostituito da uno più pomposo, ideato da Francesco Campagna e Cesare Franco: un gigantesco arco di trionfo sotto il quale era collocato un sontuoso tabernacolo. Nel macchinoso altarone avevano, tuttavia, trovato posto tutte le statue donatelliane che nel 1668, quando anche l";altare del Campagna fu sostituito, finivano sparse qua e là per la basilica.
Nel 1453 Donatello completava il monumento al Gattamelata: una straordinaria statua del condottiero a cavallo di metri 3,40 di altezza, issata su un piedistallo di metri 7,80. È la prima statua equestre dell";epoca moderna, di classica e vigorosa compostezza, e rappresenta «uno dei punti più alti della scultura occidentale di ogni tempo».
Donatello lasciò Padova inaspettatamente nel 1454, quando ancora non aveva condotto a termine l";esecuzione dell";altare. I motivi dell";improvvisa partenza, quasi una fuga, non sono noti. Andandosene da Padova, dove aveva vissuto una seconda giovinezza artistica, Donatello lasciava una schiera di discepoli: Bartolomeo Bellano, Andrea Briosco, Severo da Ravenna, Desiderio da Firenze, Giovanni Mosca detto il Padovanino, Tiziano Minio, Agostino Zoppo, Francesco Segala, Danese Cataneo, Girolamo Campagna e altri che, interpretando il suo spirito, hanno creato opere di indiscusso valore, alcune delle quali fanno degna corona ai capolavori del maestro esposti nella Sala della Ragione.