Una piaga nel corpo dell’umanità
C’è un’attività criminale in rapido aumento che nei media seri, come è il nostro «Messaggero di sant’Antonio», deve trovare spazio, in modo tale da spingere chi ha il compito di agire – governi e Nazioni Unite, società civile e Chiesa – a intervenire, con urgenza ed efficacia. Si tratta di quella moderna schiavitù che papa Francesco, accogliendo i partecipanti alla recente Conferenza internazionale sulla tratta delle persone umane, ha definito «una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo».
Attuata in modalità e contesti diversi, la tratta di esseri umani è un vero e proprio delitto contro l’umanità. Disgrega, infatti, l’unità delle famiglie, degrada dignità e diritti delle persone, togliendo speranze e prospettive di vita a donne, giovani e bambini. Secondo i dati forniti dal Global Slavery Index, alla fine del 2013 le vittime del traffico di esseri umani in centosessantadue Paesi del pianeta erano quasi 30 milioni.
Per i cristiani, secondo l’insegnamento di Gesù, nessuno è straniero e nessuna rotta di emigrazione può trasformarsi in spazi di blocco, né l’essere migrante può diventare motivo di reclusione. Così, la Chiesa sta rispondendo (attraverso le Caritas diocesane e il volontariato) alle conseguenze negative non solo della tratta degli esseri umani, ma anche del fenomeno delle immigrazioni forzate, che costringono milioni di persone a fuggire dalla terra d’origine per non essere ridotte in schiavitù o a vivere in gravi situazioni di povertà. Le motivazioni di fondo di un fenomeno in rapido aumento sono legate alla mancanza, da parte di coloro che hanno potere e risorse, di politiche migratorie integrali e di efficaci contromisure capaci di bloccare la tratta di donne, giovani e bambini attuata da organizzazioni criminali.
Siamo di fronte a fatti e a situazioni che riguardano diversi continenti, a partire dall’Africa, dove una persona su due vive in situazioni di povertà e dove sono permanenti attacchi e attentati, come quelli di Boko Haram o quelli in atto nel Sud Sudan e nella Repubblica Centrafricana.
Ci sono situazioni che ci coinvolgono anche in altre realtà geografiche. È il caso dei territori di confine tra Messico e Stati Uniti, dove negli ultimi quindici anni, nella sola frontiera di Nogales, hanno perso la vita più di 6 mila persone, e dove la criminalità organizzata contribuisce a far crescere l’emigrazione dei minorenni. Altro segno negativo: sono oltre 11 milioni i migranti che, riusciti a rischio della vita a inserirsi irregolarmente in Usa, sono ancora senza un documento e senza una prospettiva di futuro.
Non si può, infine, dimenticare quanti continuano ad arrivare con imbarcazioni fatiscenti sulle coste siciliane e spagnole, e la profonda ferita recata all’umanità dalla morte di tante donne e bambini, nonostante i soccorsi offerti dalle navi della missione italiana Mare Nostrum. Un fenomeno, questo, che non potrà essere risolto se non matura la partecipazione di tutta la Comunità europea nel cercare una soluzione politica e sociale che parta dall’attivazione, nei Paesi d’origine dei migranti, di risorse sociali e strutturali che garantiscano un lavoro e la permanenza nella loro terra d’origine.
Abbiamo ricordato, nutrendo sentimenti di speranza, solo alcune situazioni nel «corpo dell’umanità contemporanea», che sta subendo le conseguenze di un vuoto di politiche sociali e umanitarie che rispondano, in una visione globale, ai bisogni di milioni di famiglie.