Il terrorismo alza il tiro
BESLAN, OSSEZIA
È stata di dolore e di orrore la reazione del mondo alla strage di innocenti, in massima parte bambini, perpetrata nella scuola di Beslan, in Ossezia del Nord, una delle tormentate Repubbliche caucasiche della Russia, dove un migliaio di persone erano state prese in ostaggio da un commando terroristico. Durante l";intervento delle «teste di cuoio» russe ci sono stati oltre 400 morti. In Ossezia del Nord si è ripetuto, in modo spaventosamente più sanguinoso, quanto avvenne nell";ottobre del 2002 a Mosca, dove un commando ceceno prese in ostaggio 800 persone nel Teatro Dubrovka. Una vicenda conclusasi con un attacco delle forze di sicurezza che portò alla liberazione di 650 ostaggi, ma anche alla morte di più di 130 di loro, oltre che dei sequestratori.
Alla crisi della vicina Cecenia e, più in generale, della tormentata regione del Caucaso è legato anche lo spaventoso massacro di Beslan. I sequestratori avevano chiesto il rilascio dei guerriglieri separatisti catturati in Inguscezia, un";altra di quelle insanguinate Repubbliche durante un cruento raid condottovi nel giugno scorso dalle forze federali russe, e il ritiro di queste ultime dalla Cecenia.
Al lutto e all";inequivocabile condanna dei terroristi si accompagnano domande inquietanti. E non tutti i dubbi appaiono dissipati. Le autorità russe hanno detto che a Beslan l";uso della forza non era programmato: è stata un";esplosione all";interno della scuola, provocata quindi dai terroristi, a dare il via alla fuga di alcuni ostaggi che poi ha innescato gli spari del commando e la reazione delle forze di sicurezza. Prima del blitz, l";associazione dei parenti delle vittime del sequestro del Teatro Dubrovka, aveva fatto appello al presidente russo Putin affinché dimostrasse «compassione per i bambini di Beslan» e facesse «tutto il possibile per non ripetere la tragedia». Lo stesso Putin aveva assicurato la priorità «di salvare la vita degli ostaggi», garantendo che tutto sarebbe stato «subordinato esclusivamente a questo obiettivo». Il precipitare degli eventi e il loro tragico epilogo ha bruscamente vanificato le speranze suscitate da quell";impegno. E agli interrogativi sulla dinamica dei fatti si sono aggiunti quelli sulla loro genesi. L";Unione Europea, mentre l";azione delle «teste di cuoio» era ancora in corso, chiedeva spiegazioni al Cremlino con una dichiarazione del ministro degli Esteri olandese e presidente di turno della Ue, Bernard Bot. Di fronte alla furiosa reazione di Mosca "; il cui governo ha parlato di «sacrilegio» e di «aperta contraddizione» con la solidarietà espressa da tutto il mondo al popolo russo "; la presidenza di turno della Ue ha chiarito, ma anche ribadito la propria posizione. Bot ha detto che fare domande «è legittimo» proprio se si vuole una «cooperazione più stretta» nella lotta al terrorismo, e che non può esserci fraintendimento «volontario o meno», sulla posizione della Ue.
Sullo sfondo della polemica, c";è proprio la questione cecena: «Se c";è un conflitto, forse sarebbe saggio consultare gli altri sulle origini e su come prevenirlo; così ci potremmo aiutare», ha detto ancora Bot. Da tale posizione ufficiale della Ue non sono mancate peraltro le prese di distanza o le minimizzazioni esplicite o implicite da parte di alcuni governi europei. Non è la prima volta che accade. Proprio sulla Cecenia, ad esempio, lo scorso anno il presidente del Consiglio italiano, Berlusconi, all";epoca presidente di turno della Ue, durante una conferenza stampa congiunta con Putin, rispose lui ad una domanda fatta a quest";ultimo, equiparando l";indipendentismo ceceno al terrorismo, in esplicita contraddizione con quanto sostenuto più volte dalla Ue.
I tragici avvenimenti a Beslan hanno dimostrato come l";Unione Europea sia ancora lontana dal parlare con una sola voce. Mentre nelle ore immediatamente successive al tragico epilogo del sequestro gran parte della stampa continentale denunciava l";inerzia politica di fronte all";annosa crisi cecena "; se non l";accondiscendenza alla scelta di Mosca di affidare alle armi le sue risposte "; non mancavano governi europei pronti ad escludere la necessità che le Nazioni Unite o qualche altro organismo internazionale si facessero carico della soluzione del prolungato e sanguinoso conflitto. La crisi cecena «sarà risolta dal governo russo» ha dichiarato il ministro degli Esteri britannico, Jack Straw, sostenendo che da parte britannica «assistenza e consigli continueranno ad essere offerti prontamente se e quando le autorità russe ne avranno bisogno» e aggiungendo, in merito agli aspetti più propriamente politici, che sarebbe «poco rispettoso nei confronti dei morti, dei feriti e dei loro parenti» discutere adesso con i leader russi del problema ceceno. Eppure, lo stesso Straw ha dovuto ammettere che un altro annoso conflitto, quello più che trentennale in Irlanda del Nord, è stato avviato alla pace solo quando il governo britannico ha accettato di internazionalizzare la «questione nordirlandese» aprendo con la mediazione dell";ex senatore democratico statunitense George Mitchell e con il sostegno dell";allora amministrazione Usa, guidata da Bill Clinton, quei negoziati con i rappresentanti locali e con il governo di Dublino che portarono allo storico Accordo cosiddetto del Venerdì Santo, firmato il 10 aprile 1998.
Se è vero che la lotta al terrorismo è una delle priorità assolute della comunità internazionale, altrettanto vero è che al terrorismo non si risponde riducendo gli spazi di democrazia, ma ampliando e garantendo i diritti.
E proprio questo aspetto Giovanni Paolo II ha accentuato nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della Pace del 2004. La parte centrale del messaggio è tutta incentrata sullo svolgimento del tema dell";educazione alla legalità , intesa come necessità «di guidare gli individui e i popoli a rispettare l";ordine internazionale. La pace ed il diritto internazionale sono intimamente legati fra loro: il diritto favorisce la pace». Per il Papa, la via per sconfiggere il terrorismo è sostituire «alla forza materiale delle armi, la forza morale del diritto», prevedendo appropriate sanzioni per i trasgressori, nonché adeguate riparazioni per le vittime.
Tra gli aspetti più atroci di quanto accaduto a Beslan, va ricordata la presenza di donne nel commando, lo sgomento e l";orrore nel vedere chi dà la vita farsi responsabile di una tale determinata ferocia contro dei bambini. C";erano donne, peraltro, anche nel commando entrato in azione nel teatro moscovita ed era una donna anche la terrorista suicida che il giorno prima dell";attacco a Beslan aveva compiuto una strage davanti ad una stazione della metropolitana di Mosca, così come sembra accertato che siano state due donne a far esplodere la settimana prima due aerei Tupolev, uccidendo 90 persone. La presenza di donne nelle organizzazioni del terrorismo non è certo nuova, né il territorio russo è l";unico ad essere insanguinato dal terrorismo al femminile, basti pensare a quanto accade in Israele. Tuttavia, la determinazione suicida e la programmata ferocia contro bambini da parte di donne costituiscono un «salto di qualità nell";orrore» che dà il segno della cupezza di questi nostri anni.
La scelta atroce di imbottirsi di esplosivo per uccidere e per uccidersi non può essere frettolosamente ricondotta alla categoria di «male assoluto». Essa investe anche altre categorie dell";animo umano, prima fra tutte quella della disperazione. L";Europa, dove la tutela dei diritti dell";uomo ha avuto la sua principale teorizzazione e affermazione, non può e non deve ignorarlo. Dialogo e confronto restano vie insostituibili. Gioverebbe che lo ricordassero, anche nelle ore più cupe, quanti affermano che l";unica scelta sia tra il cedere al terrorismo e l";usare la forza, costi quel che costi, e soprattutto quanti si arrogano il diritto di affermare che il dolore vieti di porre domande.