Acqua per lo sviluppo
Le conclusioni del IV Forum mondiale dell’acqua, l’incontro organizzato a Città del Messico dal Consiglio mondiale dell’acqua, un ente privato creato dalla Banca Mondiale, non hanno purtroppo fatto segnare progressi di rilievo rispetto a quelle della terza edizione tenuta nel 2003 a Kyoto, in Giappone e, anzi, hanno evidenziato gravissimi ritardi nell’effettiva attuazione della Dichiarazione ministeriale sottoscritta in quell’occasione e che sollecitava a passare all’azione per cominciare a risolvere sul terreno una drammatica emergenza di risorse idriche minacciosa per la sopravvivenza stessa dell’umanità su scala planetaria. Anche la Dichiarazione finale del IV Forum mondiale dell’acqua, al quale hanno partecipato 140 ministri di Paesi di tutto il mondo e oltre 10 mila esperti, ha evitato di definire l’accesso alle risorse idriche «un diritto umano», come chiesto dalla Bolivia, e non ha recepito neppure la proposta di definirlo «diritto fondamentale» avanzata dall’Unione Europea. Tali posizioni sono state solo inserite negli annessi al documento nel quale, peraltro, si ribadisce «la necessità di includere l’acqua e il suo risanamento come priorità dei governi, in particolare nell’ambito delle strategie nazionali di sviluppo sostenibile e di riduzione della povertà».
In pratica, nell’ambito del IV Forum, non si è fatto che ribadire «l’importanza dell’acqua per lo sviluppo», puntando sul fatto che ciò avvenga attraverso la decentralizzazione, insomma riconoscendo «il ruolo determinante che svolgono all’interno di ogni Paese i parlamentari e le autorità locali per consentire un incremento dell’accesso alle risorse idriche». In merito, Jaime Pittock, direttore del Programma globale dell’acqua del Fondo mondiale per la natura (WWF), ha seccamente contestato che «la Dichiarazione finale non apporta nulla di nuovo per migliorare la situazione attuale», ricordando le statistiche dell’Onu secondo le quali almeno un miliardo e cento milioni di abitanti del mondo non hanno accesso all’acqua, e due miliardi e seicento milioni non usufruiscono di basilari infrastrutture sanitarie.
Il ministro spagnolo per l’ambiente, Cristina Narbona, ha elogiato il fatto che la Dichiarazione per lo meno non abbia rappresentato un passo indietro, e che sia stata il frutto di un testo che ha riscosso il consenso di tutti (durante i lavori gli esponenti di Bolivia, Venezuela e Cuba avevano minacciato di non sottoscriverlo). La signora Barbona ha insomma parlato di conclusione «positiva» fondamentalmente perché «sebbene non si parli di diritto umano, nemmeno si parla di privatizzazione», come invece è stato di nuovo richiesto a Città del Messico da alcune parti, non solo Stati, ma anche e soprattutto privati portatori di interessi giganteschi come, ad esempio, il magnate messicano Carlos Slim. Una significativa risposta è giunta dall’Unesco, l’agenzia dell’Onu per la scuola, l’educazione e la cultura che nell’ultima parte dei lavori del Forum ha diffuso un appello affinché «l’acqua non sia ritenuta una merce in più».
Sul piano operativo, inoltre, va segnalato che ministri ed esponenti di delegazioni latinoamericane ed europee hanno siglato un «patto strategico» con l’obiettivo di instaurare una cooperazione tra le due aree del mondo con progetti relativi alle risorse idriche. L’intesa prevede che i Paesi dell’America latina e l’Unione Europea lavorino congiuntamente per ottenere sulla gestione delle risorse idriche «le mete di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) e del vertice mondiale di sviluppo sostenibile» a suo tempo organizzato dall’Onu a Johannesburg, in Sudafrica.
In conclusione, le principali questioni sembrano però rinviate al V Forum dell’acqua, già fissato per il 2009 a Istanbul, in Turchia. Né forse poteva essere altrimenti dato che sulle strategie da seguire, i diversi consessi internazionali susseguitisi in questi anni, hanno confermato profonde divergenze non solo tra la parte più fortunata e quella più bisognosa dell’umanità, ma anche tra gli stessi Paesi ricchi, con gli Stati Uniti su posizioni estremamente distanti da quelle dell’Unione Europea sui principali temi chiave, compreso quello di inserire il diritto all’acqua tra i diritti umani fondamentali, come chiedono le Organizzazioni non governative, in questo caso appoggiate dall’Ue e avversate dagli Usa. Così come non può essere certo ritenuta definitivamente rigettata la pretesa di poter privatizzare le risorse idriche, che vede anche in questo caso gli Usa favorevoli e l’Ue contraria.
Nessuno può ignorare che in mancanza di misure immediate e concrete, milioni e milioni di persone resteranno condannate alla tragica alternativa di morire di sete o di morire per essere costrette a bere acqua non pulita. I dati di tutti gli studi internazionali concordano nel descrivere l’emergenza idrica come una vera e propria catastrofe umanitaria: l’uomo può usare oggi solo l’1% delle riserve d’acqua dolce del pianeta, mentre quasi un quarto della popolazione mondiale, un miliardo e mezzo di persone, non ha accesso ad acqua potabile, e oltre tre milioni di persone, soprattutto bambini colpiti da diarrea, muoiono ogni anno per le malattie associate al consumo di acqua non pulita. Per parlare chiaro, cioè, muoiono di sete. Muoiono perché la maggior parte dell’acqua potabile del mondo non è accessibile e perché oltre la metà degli esseri umani vive in case sprovviste di sistema fognario.
Purtroppo, finora tutte le iniziative della comunità internazionale (comprese quelle promosse nel 2003, dichiarato dall’Onu Anno internazionale dell’acqua), sono state costrette a limitarsi alla semplice dimensione della denuncia e dello studio, senza aver trovato nella maggior parte dei Governi l’impegno ad individuare e ad adottare concreti strumenti per avviare soluzioni alla crisi o quanto meno per rallentare la dinamica peggiorativa alla quale contribuisce, ad esempio, l’inquinamento delle falde sotterranee, cioè dei maggiori bacini d’acqua potabile.
Qualunque ragionamento onesto in materia deve partire da una tale realtà che oltretutto va via via peggiorando in vaste zone del mondo, in Africa come in Asia, in America come in Medio Oriente, contribuendo con tale peggioramento ad aggravare le già immense crisi con le quali convivono le sventurate popolazioni di quelle zone. Così come, fatte le debite proporzioni, anche nel Nord ricco del mondo non mancano situazioni di forte discriminazione sull’accesso all’acqua: basti pensare a quanto accade praticamente ogni estate nel Sud dell’Italia, nonostante che la disponibilità idrica di quelle regioni sia più che sufficiente al fabbisogno.
Smettere di rinviare le decisioni necessarie a dare soluzione a questo problema cruciale prima che la crisi diventi irreversibile, significa oltretutto lavorare per la causa della pace, anche perché purtroppo non manca la tentazione di affidarsi alla forza e non alla via maestra della cooperazione internazionale. Gli scenari strategici più pessimisti dei diversi stati maggiori di vari eserciti, oltre che di analisi politico-militari, prospettano infatti quello appena cominciato come un secolo di guerre per l’acqua feroci quanto quelle finora combattute per le risorse energetiche. E se, con amaro gioco di parole, l’acqua sfugge dalle dita del mondo, dalle mani degli uomini, la pace e lo sviluppo sono destinati ad allontanarsi dall’orizzonte dei popoli.