Cara Valentina…
In ogni continente trovo dei giovani trevisani che hanno deciso di lasciare l’Italia per un futuro migliore. Li trovo anche in Svezia, dove ora risiedo. Nell’immaginario tradizionale, parlare di emigrazione voleva dire fermarsi a scenari epici, con esodi vecchio stile, approdi spesso ignoti e dai risvolti ambientali di duro impatto. Spaccati drammatici da libri di storia con falangi di «umanità della speranza» a cercare spazi alla ricerca di un mondo vivibile.
L’intraprendenza giovanile è la stessa di un tempo ed è pari la dignità, ma la preparazione ora ha affilato le armi ed è aumentata. Perché a partire, oggi, sono giovani laureati a volte con tanto di master o comunque formati professionalmente, che in Italia non trovano riscontri ai loro anni di studio e sacrifici. È la «fuga dei cervelli», slogan di massima in questi casi, anche se la centralità dell’uomo non è fatta di solo cervello. A costituirla sono, infatti, molto di più le storie di tanti ragazzi e ragazze, come Valentina da Istrana, in Svezia da anni, precisamente nella capitale Stoccolma. Ci ha inviato questa lettera.
«Mi è capitato di sfogliare la vostra rivista e di commuovermi di fronte alle tante storie di conterranei costretti ad andarsene, ma forse la commozione è stata grande perché, nel mio piccolo, mi sento anch’io una persona costretta a dover scegliere tra un futuro di incertezze e andare in un Paese che, sia pure risentendo della crisi, non abbandona i suoi giovani e crede ancora nella potenzialità delle nuove generazioni. Ho scelto la Svezia, dove nel mio status di emigrata sono considerata una risorsa. Perché vi ho scritto? Perché siamo in tanti, troppi, ragazzi e ragazze che non vogliono combattere e giocarsi la vita per un Paese che li ha messi da parte».
Parole dure, che continuano così: «Facciamo meno rumore perché viaggiamo comodamente in aereo e non in navi stipate e macilente, perché siamo europei, ma stiamo lasciando casa anche noi. Cerchiamo appartamenti via internet e parliamo inglese, ma la nostalgia è la stessa di cinquant’anni fa. Vi scrivo perché è bello ricordare, e voi lo fate egregiamente, perché i lettori, dall’Italia, potrebbero avere un punto di riflessione in più su un problema sottovalutato».
Grazie del contributo, cara Valentina! Una lettera che è un capolavoro di essenzialità umana e di concetto. È certo che la memoria è storia e insegnamento di vita, ed è consolidato il fatto che ogni epoca cammina sui binari delle proprie realtà, che fanno sempre grappolo attorno all’indole umana. Quest’ultima, in fondo, è sempre la stessa, intrisa di aneliti e sentimenti, dove non si può mettere sotto chiave nemmeno la nostalgia.