Il Duomo di Modena ha 900 anni
Modena
In epoca romana Cicerone la definì città «floridissima». Poi alterne vicende, fra cui le frequenti incursioni barbariche, la condussero al completo abbandono. Nel 387 il vescovo di Milano, Ambrogio, arrivò addirittura a descriverla come semirutarum urbi cadavera, cioè città cadavere semidiroccata.
Eppure, come la mitica araba fenice, da quelle ceneri è risorta. Oggi Modena è tra le più vivaci cittadine italiane. Fra i suoi 170 mila abitanti il tasso di disoccupazione è appena al 4,9 per cento a fronte del 12 per cento nazionale. Con le sue 62 mila imprese, quasi una ogni dieci abitanti, vanta un'altissima densità imprenditoriale; il reddito medio, nel 1997, si aggirava attorno ai 30 milioni pro-capite (fonte Assindustria Modena).
Ma operosità e ricchezza non hanno fatto dimenticare all'antica Mutina le sue origini. Il cuore della città rimane proprio Piazza Grande su cui si affacciano la parte absidale e il lato sud del Duomo e la Torre della Ghirlandina. E nel 1997 l'Unesco (l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la cultura e le scienze) ha decretato i tre monumenti modenesi «patrimonio dell'umanità » ponendoli sotto la sua tutela perché «il Duomo, la Torre e la Piazza di Modena sono una straordinaria testimonianza della tradizione culturale del XII secolo, e un esempio eminente di complesso architettonico in cui si intrecciano i valori religiosi e civili di una città cristiana del Medio Evo».
L'anelito di Lanfranco
Il Duomo, di cui quest'anno ricorrono i nove secoli dalla fondazione, viene unanimemente considerato un capolavoro dell'arte romanica non solo per la struttura architettonica opera di Lanfranco ma anche per l'apparato scultoreo di Wiligelmo. All'opera dei due maestri, quasi un compendio dell'arte e della cultura del basso Medioevo, si aggiunse in seguito, attorno al XIII secolo, quella dei Maestri Campionesi che realizzarono alcuni interventi di modifica al progetto originario.
La posa della prima pietra, che risale al 9 giugno del 1099 come testimonia la lapide posta all'esterno della facciata, avvenne sul luogo ove sorgeva una precedente chiesa paleocristiana. Già nel 1106 il Duomo venne consacrato; poi, nel 1184, vi fu l'ulteriore solenne consacrazione da parte di Papa Lucio III.
Come molte delle grandi chiese sorte nel Medioevo, il Duomo di Modena ebbe per i credenti che sostennero la sua realizzazione un significato particolare: nel cuore di una città semidistrutta che portava ancora i segni delle sofferenze patite, ma che al contempo assisteva alla nascita di nuovi fermenti in campo sociale ed economico, la crescita dell'imponente casa di Dio rappresentava quasi una preghiera corale, un anelito al cielo. La chiesa diveniva il simbolo di una speranza che aveva saputo mantenersi integra, di una volontà indomita di restare uniti attorno a quella che nei tempi più duri era stata l'unica autorità capace di esprimere l'identità cittadina: il vescovo.
La cattedrale venne dedicata a san Geminiano, vescovo di Modena nel IV secolo, perché a lui veniva attribuito un intervento miracoloso che salvò la città dall'assedio degli Unni attorno al 450.
Lanfranco, architetto molto noto all'epoca e di probabili origini comasche, ideò e diresse la costruzione che, rispetto al precedente Duomo paleocristiano si arricch' di due navate. Per l'interno, Lanfranco optò per i marmi policromi, creando così un effetto di delicata bicromia sui toni del rosso e del bianco, che fa sapientemente risaltare l'esterno caratterizzato, invece, dal candore dei materiali.
La fede di Wiligelmo
L'altro insigne maestro che lavorò al Duomo, lo scultore Wiligelmo, operò a Modena nel decennio tra il 1100 e il 1110. I numerosi studi e i restauri effettuati sull'edificio soprattutto a partire dagli anni Settanta, hanno saputo porre in evidenza il carattere di unicità e originalità dell'apparato scultoreo wiligelmiano. Alcune novità introdotte nel Duomo di Modena dallo scultore, erano infatti destinate a estendersi su un ampio bacino territoriale. È il caso, per esempio, del protiro, il baldacchino visibile alla porta occidentale della cattedrale, sorretto da leoni stilofori, che si trova per la prima volta a Modena, e che verrà successivamente riprodotto in tante architetture lombarde ed emiliane del XII secolo. Sulla facciata della cattedrale compare anche una delle prime attestazioni che si conoscano di firme di uno scultore, ed anche l'unica documentazione che attualmente si sia conservata del lavoro di Wiligelmo.
Ma la novità sostanziale dell'opera del grande scultore sta nei contenuti, nella rottura che l'artista seppe operare con la tradizione medievale, che si incentrava quasi esclusivamente sul tema del castigo: alla «condanna perpetua» egli seppe dare un senso di transitorietà , sostituendola con una costante fiducia nella redenzione finale.
Tra le opere di Wiligelmo, di particolare importanza sono i quattro bassorilievi che si possono ammirare sopra i portali laterali e accanto a quello centrale e che rappresentano alcune scene tratte dalla Genesi, e il motivo scultoreo del tralcio abitato, comune alle tre porte originarie del progetto di Lanfranco. Quest'ultimo particolare riconduce immediatamente alla memoria la «selva oscura» dantesca, metafora del mondo, della vita e del peccato.
Sul lato meridionale del Duomo si aprono la Porta dei Principi, opera del cosiddetto Maestro di san Geminiano e di altri seguaci di Wiligelmo, e la Porta Regia (1178 circa) in marmo rosso veronese. Sul lato settentrionale si trova invece la Porta della Pescheria, testimonianza dell'influenza borgognona, nel cui archivolto compaiono episodi tratti dal ciclo bretone di re Artù.
All'interno del Duomo, poi, attirano lo sguardo il pontile di Anselmo da Campione (1160-1180 circa) e il presepe in terracotta del modenese Antonio Begarelli (1527). Nella cripta, la tomba del patrono san Geminiano e la Madonna della pappa in terracotta policroma di Guido Mazzoni (1480).
Le manifestazioni del centenario Alle opere di Lanfranco e Wiligelmo, è stato reso omaggio con una recente mostra fotografica realizzata dall'artista modenese Ghigo Roli, «Il Duomo rivelato». Si tratta di splendide immagini destinate ad essere ora raccolte nei tre tomi dedicati al Duomo di Modena, in uscita, dall'editore Franco Cosimo Panini, all'interno della Collana «Mirabilia Italiae» (tel. 059-343572 fax 059-344274 e-mail: fcp@fcp.it). I volumi dedicati al Duomo modenese rappresentano il nono titolo della preziosa collana e rappresentano una ponderosa monografia articolata in due volumi di «Atlante fotografico» e in un terzo di «Saggio e schede». Curatrice dell'opera è Chiara Frugoni, docente di storia medievale all'Università di Roma II. |