Una vita da chef
Che gli italiani in Inghilterra siano dei maestri nell’ambito della ristorazione è un dato di fatto. Ad accreditarlo, se ce ne fosse bisogno, i tanti locali sorti un po’ ovunque e la popolarità della nostra cucina presso gli inglesi. Molti emigrati, pur alle prese con ostacoli di vario tipo, sono sempre stati sostenuti dal sogno di avviare una propria attività nell’ambito delle eccellenze culinarie del territorio che pone ancora l’Italia ai primi posti nella classifica delle tavole più amate nel Regno Unito (anche se insediata dal cibo asiatico, altrettanto stimato dai britannici). Alcuni italiani hanno raggiunto il loro obiettivo soddisfacendo con successo i palati di molte generazioni. Altri, con altrettanta determinazione, si sono affermati in catene alberghiere, apportando il tipico savoir faire, lo stile inimitabile, la maestranza nell’arte di cucinare (e di servire) appresi nel nostro Paese.
È il caso di Carmine Supino, un «self made man» che, da Pisciotta in provincia di Salerno, ha scalato tutti i gradini di una lunga carriera negli alberghi più prestigiosi d’Europa, arrivando a ricoprire incarichi di responsabilità e prestigio: fin qui niente di nuovo, anche se già motivo di orgoglio per sé e per la comunità di italiani all’estero. Carmine, infatti, non ha limitato il suo contributo al solo ambito professionale, ma, ha sempre approfittato delle sue conoscenze e della sua esperienza per porsi a servizio del prossimo. Specialmente dei giovani che arrivano a Londra con tante speranze, ma poi rimangono schiacciati dagli ingranaggi della grande città che può fagocitare chi non è dotato di grande resistenza e spirito di adattabilità. Giunto alle soglie della pensione, grazie alla sua posizione di fiduciario dell’Amira UK (Associazione Maitres Italiani Ristoranti ed Alberghi) si propone di incrementare sia il numero dei membri dell’associazione – nata per volere di Sandro Pertini –, sia di aiutare un maggior numero di giovani che vogliono intraprendere la carriera nell’ambito dell’arte bianca. «La mia – esordisce – è stata una vocazione precoce, assecondata dallo studio alla scuola alberghiera di Salerno. Ho iniziato a lavorare subito dopo il diploma: a Sapri, Fiuggi, Milano, e all’Excelsior Lido di Venezia. Da qui ho iniziato la mia carriera internazionale dapprima in Svizzera e poi in Germania, perfezionando, con gli studi, anche il francese e il tedesco». Tempi duri gli anni Settanta anche se, per la verità, all’epoca gli italiani erano preceduti da una nomea in questa professione che apriva molte porte. E fu Londra a dare l’impulso a Carmine per riuscire a costruire una carriera ormai quasi quarantennale in Inghilterra (oltre a formarsi una famiglia con Onelia, da cui ha avuto due figli). «Nel 1973 – racconta – approdai all’Hilton Hotel di Park Lane. Avrei voluto restare soltanto il tempo necessario per imparare l’inglese, e invece ho festeggiato i 37 anni in questa azienda». Carmine ci spiega che all’Hilton dovette ricominciare daccapo, ritornando ai tempi in cui serviva le pietanze dalla cucina al ristorante. Poi arrivarono le prime promozioni. Da chef di rango alla direzione di un cocktail bar e, infine, ai banchetti, nella posizione di maitre d’hotel per poi diventare manager, lavoro che gli ha dato grandi soddisfazioni. «Questo mestiere non annoia mai – confessa –. Quasi ogni giorno dobbiamo organizzare conferenze, riunioni, premiazioni, serate di gala, matrimoni, sfilate di moda, feste di compleanno. Ogni volta bisogna personalizzare il servizio per i clienti, spesso anche molto esigenti, come nel caso di Barbra Streisand, Robert De Niro, Mohamed Ali, Nelson Mandela, il presidente Clinton e tutti i primi ministri inglesi degli ultimi decenni». Le celebrità che il signor Supino ha conosciuto sono molte, come la Regina Elisabetta II e il resto della famiglia reale, senza trascurare l’ereditiera Paris Hilton che, ci assicura, è molto più alla mano di quanto non possa apparire dai giornali scandalistici.
Avendone la possibilità, Carmine ha sempre cercato di reclutare giovani camerieri italiani per il coordinamento delle serate all’Hilton, puntando sulla loro preparazione e predisposizione a offrire un servizio di qualità. Ma l’Hilton è stato anche un modo per aiutare la comunità italiana. «Le sale dell’albergo hanno ospitato molte feste di associazioni italiane che, in quell’ambito, raccoglievano fondi per beneficenza. Ecco perché ho sempre prestato tutta la mia assistenza organizzativa». Si tratta di situazioni risalenti a molti anni fa, quando la comunità si dava appuntamento alle feste per incontrarsi, conoscersi e aiutarsi a vicenda. «Anche se i tempi sono cambiati – dice il nostro interlocutore – sopravvive il desiderio di sostegno reciproco. L’associazione Amira UK, per esempio, ha inviato un generoso contributo agli sfollati del terremoto dell’Aquila e si sforza non solo di promuovere l’industria alberghiera e la ristorazione italiana, ma cerca anche di indirizzare i giovani professionisti presso le strutture inglesi o italiane che ne abbiano bisogno».
Un compito codificato dallo statuto, che ognuno dei soci (a Londra sono 67) cerca di realizzare. Grazie a questo suo impegno nel lavoro e nel sociale, Carmine ha ottenuto la prestigiosa Stella al merito del lavoro, onorificenza concessa dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministero del Lavoro e consegnata il primo maggio in occasione della giornata dei lavoratori. Infatti l’alto riconoscimento, istituito in epoca regia, vuole premiare quei cittadini italiani, lavoratori dipendenti, distintisi per singolari meriti di perizia, laboriosità e buona condotta morale. Con una piccola punta di sano spirito polemico Carmine – che ha favorito il cambiamento dello statuto dell’Amira UK, affinché l’associazione accogliesse tra i suoi soci anche le donne – fa notare che la medaglia viene conferita soltanto ai lavoratori dipendenti, mentre potrebbe essere estesa anche ai liberi professionisti.
L’Associazione dei Maestri del Lavoro – di cui Carmine è vicepresidente – e l’Amira UK, si riuniscono regolarmente per promuovere attività e raccogliere fondi, specie per gli anziani meno abbienti. «Il problema più urgente è il ricambio generazionale. Se non saremo in grado di attirare i giovani, ogni nostro sforzo sarà vanificato e con esso la solidarietà, concreta e morale, che riusciamo a offrire. Sarebbe un altro modo per rinchiudersi nel proprio guscio a discapito di un aiuto reciproco che, specie in passato, era molto presente tra gli emigrati».
Ma Carmine è uomo d’azione più che di appelli e, mentre attende di concludere la sua lunga carriera alberghiera per dedicarsi ai suoi altri impegni e interessi, si mette a disposizione di tutti i giovani che vogliano approfittare della sua esperienza e generosa disponibilità.