Europa diversa non adversa
Le oltre 330 culture regionali che è possibile contare tuttora, tra sponda atlantica ed Urali, sono realtà radicate. Negli altri continenti, in Paesi sorti come risultato di grandi flussi d'immigrazione, dalle Americhe all'Australia, salvo piccoli gruppi aborigeni, non c'è popolo che sia vincolato all'ambiente da più di qualche secolo. Gli stessi nativi sono stati cacciati dalle terre d'origine, altri sono stati strappati a forza dall'Africa nell'abominio della schiavitù, gli emigranti si sono trapiantati di propria volontà provenendo da cento differenti Paesi.
Nel Vecchio Continente le singole etnie continuano invece, per gran parte, a vivere nello stesso territorio, magari da millenni. Anche se non sono mancati gli esodi forzati a causa di guerre o di vecchie e nuove pulizie etniche. Resta in ogni caso profondamente diverso il rapporto con il territorio, come fattore culturale, tra culture europee, americane o australiane. Senza andare oltre, questo lascia comprendere le maggiori difficoltà che incontra il processo di unificazione dell'Europa. Più che di natura politica, le resistenze, esplicite o meno, si legano a timori di dispersione della propria memoria.
La storia ci chiama alla convivenza
Non sarà facile ricondurre gli europei a un'identità solidale nella pluralità dei riferimenti etnici. S'imporrà una riscrizione della storia e delle storie, una risistemazione delle testimonianze in certi ambiti museali, una riformulazione degli atteggiamenti collettivi che si sono adagiati a lungo su stereotipi riguardanti l'altro, e particolarmente il vicino, colui che respira la nostra stessa aria mentre vive al di là di una frontiera, parla una lingua diversa e segue magari anche un'altra religione. Ricucire insieme popoli e frammenti di popoli che si sono guardati a lungo con diffidenza, magari giungendo ad essere definiti nei libri di scuola il nemico storico, è in ogni modo impresa eroica, traguardo ideale cui rendersi disponibili nell'interesse della preziosa accumulazione di conoscenza chiamata Europa, parte non trascurabile del patrimonio dell'umanità .
I suoi popoli hanno conosciuto, negli ultimi due secoli, la caduta di imperi, lo strazio di due guerre mondiali e ogni sorta di eccidi collettivi dettati dall'odio etnico come dalla contrapposizione ideologica, nonché imponenti flussi migratori verso altre parti d'Europa e verso altri continenti. Ma, al tempo stesso, anche grandi trasformazioni nel costume, nelle condizioni di vita, nello sviluppo economico, con il passaggio dalla società rurale alla società industriale.
Un ribollire di mutamenti che tuttavia non ha cancellato gli indispensabili riferimenti alla specifica identità culturale. Tentare un qualche bilancio minimo sul rapporto tra persistenza e mutamento nella società europea contemporanea, in tanta complessità di processi, può far tremare i polsi allo storico come a qualsiasi altro studioso di buona volontà . Ma è difficile negare che in tutto il continente le differenze, che ambiente e storia hanno definito, restano molte. In tanta varietà di popoli, il senso di appartenenza nazionale e locale si è venuto confermando nei secoli, al punto che neanche l'esasperazione totalitaria, nazionalista o marxista, che ha fatto scorrere la falce livellatrice sulla varietà delle culture locali, per raggiungere un'improbabile uniformità , è riuscita a rimuovere questo attaccamento alle tradizioni. Al punto che, sotto l'impulso omologante dei fenomeni legati ai processi di mondializzazione su piano planetario, le culture regionali, con le loro specificità , tornano a rivendicare quel ruolo di produttrici di senso esistenziale che sembra messo a rischio.
Il ruolo primario delle regioni
Il punto di riferimento per l'unità nella diversità , diventa l'auspicata Europa delle culture, piuttosto che il singolo Stato nazionale. In uno slancio ideale, dove il Vecchio Continente si confermi aperto alle ibridazioni e agli scambi, secondo il pensiero di antichi maestri come Abelardo, con la sua visione di un'Europa diversa, non adversa. Nel rifiuto di piccoli e grandi etnocentrismi. E nell'accoglimento dell'articolazione regionalista, che sollecita la regione, ogni regione storica d'Europa, a ritrovare un ruolo primario.
In questo senso si esprime anche la Risoluzione della Comunità Europea sulla politica regionale e il ruolo delle Regioni adottata dal Parlamento Europeo nel novembre del 1988, dove si riconosce questa dimensione culturale come connotata da una popolazione che condivide una pluralità di elementi significativi, quali la lingua, la cultura e la tradizione storica. Aspetti tutti che ne precedono altri, riconducibili nell'insieme alla dimensione economica (vie dei traffici, tipologia produttiva, modello degli insediamenti). Il sostrato socioculturale definisce lo scenario comunicativo dentro cui agiscono nel tempo le comunità locali. Si tratta di accogliere la sfida di un progetto educativo che allarghi la condivisione, partendo da valori essenziali nella loro universalità , religiosi e laici: la centralità della persona umana, come ha insegnato il cristianesimo; il pluralismo etnico, religioso, politico; lo spirito d'iniziativa e di responsabilità personale; il ruolo fondamentale della famiglia; i princìpi di reciprocità , solidarietà e adattabilità . Indispensabili questi per l'accoglienza dell'immigrazione extraeuropea in tutto il continente.
E ancora più per opzioni di sviluppo fondate sulla sussidiarietà e solidarietà , che rovescino l'ordine dell'iniziativa imposto da legislazioni accentratrici, opponendo la volontà di disporre del proprio capitale di risorse umane ed economiche per uno sviluppo endogeno e autocentrato. Nella solidarietà , così da aiutare le regioni dell'est europeo, dove mezzo secolo di comunismo collettivista ha mortificato ogni stimolo individuale, a ritrovare l'etica d'impresa, la cognizione del dovere, verso se stessi e la comunità . Una vocazione che rende ancora più evidente il comune interesse a realizzare un'area integrata, con dimensioni coerenti al divenire di un'Europa sempre più prossima alla sua immagine storica.