25 anni di impegno civile

Nell'anima di ogni emigrato e rimpatriato c'è una spinta vitale, un'energia e una visione della realtà incomprensibili per chi non ha vissuto la diaspora.
05 Dicembre 2001 | di

Per i tre decenni di fine Ottocento e per altri sei decenni del Novecento, circa 27 milioni di italiani hanno battuto le vie del mondo: erano voluti, cercati, scelti, innestati in Paesi ricchi di spazi, di risorse naturali, di opportunità  d'impiego e di libertà  d'espressione produttiva, in una visione di sviluppo economico ben definito, volto a produrre e ad accumulare ricchezza per i nuovi Paesi e, in definitiva, nell'ottica di una vita dignitosa per chiunque volesse far parte attiva di questo sviluppo. In questi Paesi di grande immigrazione non c'era posto per gli avventurieri inutili, per i fannulloni e i fuorilegge. In questo quadro, pertanto, le famose valigie di cartone dei nostri emigrati sono ben presto svanite nel nulla per far posto alla realtà  dell'italiano nel mondo: un individuo dotato di buone braccia, di valori morali, di gusto culturale formalmente limitato ma radicato in embrione, pronto a scoppiare e a trovare espressioni nuove non appena avesse avuto la libertà  di farlo. La cultura, per un italiano (e per un europeo) è un'eredità  che si snoda lungo oltre tremila anni di confronti tribali ed etnici, di armonizzazioni, superamenti, competizione, sviluppo, comunque progresso di comunità  e individui; eredità  che si trova oramai nelle cose, nell'ambiente, per cui vi si nasce dentro, si rimane imbevuti, «contaminati». E che 27 milioni di italiani espatriati in 120 anni abbiano «contaminato» positivamente il mondo, non lo diciamo noi: lo dicono tutti i Paesi che ci hanno accolto senza pregiudizio.

Allora la libertà  d'espressione (inclusa quella della propria cultura d'origine), nel rispetto della legalità  ha dato spazio alla competitività  degli italiani con i nativi e con altri gruppi etnici: gli italiani hanno mirato fin dal primo giorno del loro arrivo, ad essere più bravi, più diligenti, più produttivi, più innovativi degli altri, sia per superare in fretta la condizione di disagio economico personale e familiare, sia per venire meglio accettati dai nativi anche nella loro ricca diversità  culturale.

Parallela alla rotaia della libertà  d'azione, che rende possibile la competitività  nell'abbondanza di spazio e di risorse, c'è stata per gli italiani nel mondo la cultura dell'associarsi fra loro, provocata dalla condizione di «doversi arrangiare» sulla via dell'inserimento prima, e di un'auspicata integrazione poi, condizione che ha richiesto che l'amico desse una mano all'amico in difficoltà , e in difficoltà  erano tutti. Qui entra in gioco la solidarietà  che, per essere più forte ed efficace, provoca e costringe a mettersi insieme, a unire le forze, ad associarsi, appunto. Le associazioni fra gli italiani nel mondo non si possono contare, e tutte sono frutto di aggregazione spontanea a copertura di una miriade di scopi comunitari. Per quanto ne sappiamo, le associazioni sono nate a causa del vuoto delle istituzioni, anche se poi a volte le istituzioni, facendole proprie, le hanno magari involontariamente stravolte nel loro spirito e nei metodi d'azione originari. L'associazionismo ci ha salvati dalla solitudine, dall'abbandono, dall'imbarbarimento, dall'esclusione del vivere civile, dal rimanere incollati all'infimo livello sociale, perché nessuno avrebbe preso nota di noi. Con l'associazionismo abbiamo potuto esercitare la pressione politica (al di là  di personali alleanze partitiche) sulle problematiche che riguardavano il nostro inserimento nei nuovi Paesi, divenuti a pieno diritto la nuova patria.

In conclusione, senza disponibilità  certa di risorse, senza libertà  ampia di espressione e senza generoso e spontaneo associazionismo proprio, l'esperienza migratoria italiana non avrebbe avuto quel successo che le viene unanimemente riconosciuto.

Perciò venticinque anni fa si costituiva spontaneamente l'Anea, l'Associazione nazionale emigrati ed ex emigrati, allo scopo di affrontare i problemi degli italiani d'Australia che si erano illusi, rientrando in Italia, di ritornare a casa, garantiti da mezzi propri sufficienti per ripiantare radici. Si trovarono invece, ri-emigrati, sradicati, spaesati, nella necessità  di affrontare il processo di reinserimento giuridico, culturale e sociale. Le istituzioni italiane, ad ogni livello, non erano preparate ad un consistente riflusso, addirittura impensato, che già  alla fine degli anni Sessanta arrivò a toccare il milione di persone da Paesi transoceanici (Australia, Canada, Americhe).

Quanti convegni, incontri, dibattiti, scritti, viaggi si sono fatti in venticinque anni! E quanta fatica ci è voluta per portare a questa visione altri gruppi associativi, fondati nelle nostre regioni e province, i quali continuavano a vedere negli emigrati i «poveri figli d'Italia esuli per il mondo!».

Quanto impegno ci è voluto per fare accettare l'idea dell'equità  della doppia cittadinanza, oggi divenuta una realtà . Sulla doppia cittadinanza, da otto anni abbiamo coinvolto l'Australia, ferma al concetto di cittadino legato ad uno specifico territorio geografico, non ad una cultura etnica.

Che dire poi del trasferimento delle pensioni australiane in Italia direttamente dall'Australia per via elettronica, cosa che noi chiediamo da otto anni? Ci siamo arrivati pochi mesi fa. Quanto impegno ci è voluto per portare sul tappeto la questione del voto politico per i cittadini italiani all'estero, questione che abbiamo sostenuto per molti anni. Quanto impegno (per ben 12 anni!) ci è costato la pressione politica al di qua e al di là  dell'oceano per vedere l'inizio e la conclusione dell'accordo di sicurezza sociale fra Italia e Australia. Quanto impegno è costato la promozione del nostro progetto «Finestra Aperta sull'Emigrazione» per lo studio sistematico della storia dell'emigrazione italiana nelle scuole medie e superiori, mediante corsi di aggiornamento per docenti, progetto sostenuto in Veneto dalla Regione, a Trento dalla Provincia Autonoma e in Friuli dalla sola Anea. Lo stesso vale per lo svolgimento di progetti didattici nelle scuole sullo stesso tema, coinvolgendo alunni e famiglie.

Parallelamente abbiamo organizzato, con il sostegno della Regione del Veneto, corsi di formazione professionale nello stesso Veneto, per giovani italo-brasiliani; corsi che servono, al di là  del valore professionale, a scoprire le proprie radici. Abbiamo organizzato, per giovani di origine veneta dall'Australia e dal Brasile, sempre con il sostegno della Regione, brevi soggiorni culturali, caratterizzati dallo stesso scopo di scoperta delle loro radici etniche. Abbiamo inviato in Brasile, in questi due ultimi anni, sei maestri d'arte, chiesti da nostre comunità , per promuovere la qualità  del prodotto artigianale raggiunta dal Nordest italiano.

Queste sono le nostre posizioni di politica migratoria sostenute per 25 anni con una gamma di attività  svolte da persone e nostri gruppi in Italia, Australia, Stati Uniti d'America e Brasile. A noi si aggiungono alcuni esterni che in tutta giustizia dobbiamo nominare: Anselmo Boldrin, già  assessore all'emigrazione veneta; Gianni Tosini, direttore dell'Inas-Cisl Internazionale; Bruno Fronza, presidente onorario dei Trentini nel Mondo; e padre Luciano Segafreddo, direttore del Messaggero di sant'Antonio, edizione italiana per l'estero.

L'associazionismo dell'Anea si è sempre attenuto strettamente al volontariato puro. La nostra testimonianza è stata, ed è, finché noi duriamo, insostituibile e per questa ragione non lasceremo eredi. I nostri figli vivono e vivranno in tempi migliori che starà  a loro mantenere. Il nostro associazionismo potrà  quindi, concludersi senza rimpianti e ce ne andremo certamente senza stracci e senza vecchie valigie di cartone, felici di essere stati cittadini di un mondo nel quale, quando si ama come abbiamo saputo e voluto amare noi, persone e cose sono diventate, ovunque, migliori.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017